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Libretto “Giulio Cesare in Egitto” di Antonio Sartorio

Giulio Cesare in Egitto

Dramma per musica

Libretto di Giacomo Francesco Bussani
Musica di Antonio Sartorio

Prima esecuzione: 17 dicembre 1676, Venezia, Teatro San Salvatore.
Video dell’opera

Interlocutori

Romani
GIULIO Cesare primo imperator de’ Romani soprano
CURIO tribuno del popolo di Roma tenore
CORNELIA moglie di Pompeo Magno soprano
SESTO Pompeo, figlio di Pompeo, e di Cornelia soprano
Egizi
CLEOPATRA regina dell’Egitto soprano
TOLOMEO re giovine dell’Egitto, fratello di Cleopatra contralto
ACHILLA duce generale dell’armi, e consigliero confidente di Tolomeo basso
RODISBE nutrice di Cleopatra tenore
NIRENO paggio di corte, e confidente di Cleopatra soprano

Voci de’ Congiurati.

La scena in Alessandria d’Egitto.

Libretto – Giulio Cesare in Egitto

Madamoiselle
Sotto l’ombra d’una beltà britannica risorge dall’urna de’ secoli su la famosa scena dell’Adria il primo imperatore de’ Romani. Cotesto fulmine di Marte si fa vedere sotto il patrocinio di v. s. illustrissima, ch’essendo nipote di quel gran capitano il duca d’Albimarle, il quale col folgore della spada nella destra avendo gloriosamente stabilito il diadema su le tempia del suo re, diede a conoscere, che questa nobilissima stirpe è destinata alla protezione della virtù. Se v. s. illustrissima si degnerà d’accogliere con la sua innata benignità il mio Giulio Cesare, farà vedere a chi legge, che un cigno, il quale più volte spiegò il volo su le amene falde dell’Adria dovea consacrarsi allo splendore delle sue ammirande virtù col dichiararsi.

Di v. s. illustriss.
umiliss. devotiss. obblig. ser.
Il Bussani

Lettore
Ecco il Giulio Cesare. Spero che lo aggradirai rappresentato da cantanti, ogn’uno de quali saprà darti virtuosamente nel genio. La musica ti basti, che fia sempre singolar composizione del sig. Antonio Sartorio maestro di cappella dell’altezza serenissima del duca Gio. Federico di Brunsvic, e Lunem. e c. vice maestro di questa serenissima dominante.
Vieni, e compatisci.

 

Argomento
Giulio Cesare dittatore dopo soggiogate le Gallie non avendo potuto per opra di Curio Tribuno ottenere il consolato, si portò con tant’impeto all’eccidio della libertà latina, che si dimostrò più nemico di Roma, che cittadino romano. Ai torrenti, che dall’Alpi nevose diruparono dell’armi cesaree, non essendo argine valevole l’autorità opposta del senato intimorito, s’involò questi al furore di quella fortuna, che combatteva per Cesare, ricovrandosi co’ suoi concittadini nella Farfaglia sotto la condotta di Pompeo Magno. Nel memorabil conflitto di quella battaglia fatale non avendo Roma più che vincere al mondo, soggiogò sé medesima per essere sempre vittoriosa anco nelle proprie perdite. Non potendo Pompeo Magno sostenere più il lampo della spada trionfatrice di Giulio Cesare, memore de’ benefici prestati alla corona de’ Tolomei si salvò con Cornelia la moglie, e Sesto Pompeo il figlio nell’Egitto in tempo, che Cleopatra, e Tolomeo re giovine, tiranno, e lascivo, più crudelissimi nemici, che germani vicendevolmente armavano per la pretendenza dello scettro. Cicerone rimase prigioniero. Il buon Catone si svenò in Utica, e Scipione colle reliquie delle legioni latine errò fuggitivo per l’Arabia. Conscio Giulio Cesare, che la sola depressione di Pompeo poteva essergli base per ascendere al trono di Roma solo imperatore dell’universo, lo seguitò nell’Egitto. Tolomeo per obbligar Cesare al suo partito contra Cleopatra, barbaro di costumi, ed empio di fede fattone scempio per consiglio di Achilla fecegli presentar ‘l di lui capo tronco dal busto. Pianse Giulio su la testa del nemico. Tacciò di troppa arditezza Tolomeo, il quale a suggestione del consiglier scellerato violando con ordita congiura la fede dell’ospizio necessitò poco dopo Cesare istesso a scagliarsi dalla reggia nel porto. Si salvò Giulio a nuoto. Mosse l’armi all’espugnazione del tiranno. Ed acceso dalle bellezze di Cleopatra, la sollevò al soglio regina dell’Egitto, calcando egli il trono del mondo primo imperator de’ Romani.
Su la base di questa famosissima, e grand’istoria sta fondata la vasta mole del presente dramma intitolato Giulio Cesare in Egitto.

Atto primo

Scena prima
Campagna d’Egitto flagellata dai raggi del sole con antico ponte di pietra sopra un ramo del Nilo.
Giulio Cesare. Curio, che passano il ponte.

GIULIO
Curio, Cesare venne, e vide, e vinse.
Già il pompeian sconfitto
ode muggir sotto al cesareo giogo
punto da l’armi ‘l Tauro, e mal soffrendo
tinte di sangue imporporar le sponde
del Tigri, e del Peneo mormoran l’onde.
Così vedrà Pompeo
l’alloro serpeggiar su la mia chioma.
Cesare solo imperator di Roma.

CURIO
Giulio, se dal tuo ferro
già de l’Idra latina
caddero inceneriti
i sette colli a ferrea selva in seno,
Roma incolpi sé stessa,
che ti mandò sin de le Francie ai lidi
acciò imparasti ad imitar gli Alcidi.

GIULIO
Al ventilar di militar bandiere
passate, o duce.
Su trombe guerriere.
Tra bellici lampi
allaghino i campi
diluvi di schiere.
Su trombe guerriere.
Qui al fremito delle trombe mentre passa il ponte l’Esercito cesareo, si oscura l’aria dall’eclissi del sole.

CURIO
Ma qual portento io scorgo?
Al balenar del tuo fulmineo telo
gira il lampo del ciglio: osserva, e mira,
come abbagliato occhio non ha più il cielo.
Son presagi i prodigi. E solo a’ grandi
sovrastano i portenti orror de’ troni.
A’ suoi disegni unqua non sceglie il fato
fra il volgo de le stelle astro plebeo.
Né tuona mai d’intorno
al tetto umil del villan bifolco
quel fulmine, che sdegna
scuotendo un soglio arruginirsi in solco.

GIULIO
Se gli eventi de’ grandi ‘l ciel predice,
invano il mio nemico
pe’ rinforzar de’ suoi guerrier sconfitti
le reliquie disperse
ricorse a Tolomeo.
Vincerà Giulio.

CURIO
E perderà Pompeo.

GIULIO
Che più si tarda, o mie falangi arciere?
Su trombe guerriere.
Fra nembi d’armati…

CURIO
Ferma, signor. Qual Briareo natante
co’ le braccia de’ remi
sferza del Nilo il vagabondo argento?

Scena seconda
Cornelia, Sesto, sopra dorato naviglio.
Detti.

CORNELIA
Stelle, non m’uccidete.
Se voi non secondate
la speranza del cor,
se m’ingannate,
voi con troppo dolor
mi trafiggete.
Stelle, non m’uccidete.
(sbarcano)

GIULIO
Questa è Cornelia.

CURIO
O sorte!
Del nemico Pompeo l’alta consorte?
Cesare, a questa un tempo
sacrai la libertade.
Con sua rara beltà trofeo sì vago
ben può far, che trionfi
in Roma il Tebro, e in sì bel crine il Tago.

CORNELIA
Gran dio de le vittorie.

SESTO
De l’alta Roma, o domator feroce!

CORNELIA E SESTO
Baciam, se pur t’aggrada,
il fulmine di Giove in questa spada.

GIULIO
Da Cesare, che chiedi,
gran germe de’ Scipioni, alta Cornelia?

CORNELIA
Signor, Roma è già tua. Teco han gli dèi
oggi diviso il regno. A lor non resta
più impero alcun qua giù. Questi è per legge,
che del grand’orbe al pondo
Giove regoli ‘l ciel, Cesare il mondo.

SESTO
Da’ pace a l’armi. Dona
l’asta al tempio, ozio al fianco, l’ozio a la destra.

CORNELIA
Mostra de l’alma a la regal clemenza,
non che del brando a le fulminee prove,
ch’egli è un Cesare in ciel, tu in terra un Giove.

SESTO
Ah che in quel crine in aureo nembo ei piove!

GIULIO
Virtù è de’ grandi il perdonar l’offese.
Venga Pompeo, Cesare abbracci, e resti
l’ardor di Marte estinto:
sia vincitor del vincitor il vinto.
Abbiano fine i militar contrasti.

SESTO
Sei Cesare.

CORNELIA
Sei Giulio.

CORNELIA E SESTO
E tanto basti.

Scena terza
Achilla con numeroso stuolo d’Egizi carichi d’aurei bacili. Antedetti.

ACHILLA
Eccelso eroe, la di cui spada insegna
a l’oriente a partorir il sole,
pe’ dar riposo al faticato usbergo
la reggia Tolomeo t’offre in albergo.
E in un ti manda in dono
quanto può dar un tributario trono.

GIULIO
Ciò, che di Tolomeo
offre l’alma regal, Cesare aggrada.
Obbliga questa destra, e questa spada.

ACHILLA
Acciò l’Italia ad adorarti impari
con ossequio profondo
re degl’imperi, e imperator del mondo,
in pegno d’amistade, e di sua fede
questa del gran Pompeo superba testa
di base al regal trono offre al tuo piede.
Uno degli Egizi svela un bacile, sopra il quale sta il capo tronco di Pompeo Magno.

GIULIO
Giulio, che miri?

SESTO
Oh dio! Che veggio?

CORNELIA
Ahi lassa!
Consorte! Mio tesoro!

CURIO
Grand’ardir!

CORNELIA
Tolomeo,
barbaro traditor! Io manco, io moro.
(sviene)

GIULIO
Curio, su porgi aita
a Cornelia, che langue.

CURIO
Che scorgo, o stelle? Il mio bel sol esangue?

ACHILLA
Questa è Cornelia! O che beltà! Che volto!
Porta in que’ chiusi lumi amor sepolto.

SESTO
Padre! Pompeo! Mia genitrice! Oh dio!

GIULIO
Per dar urna sublime
al suo cenere illustre
serbato sia sì nobil teschio.

ACHILLA
O dèi!

GIULIO
E m’involati, parti. Al tuo signore,
che l’aquila romana
impoverì del fulmine più degno
di’, che l’opre de’ regi,
sian di bene, o di mal, son sempre esempio.

SESTO
Che non è re, chi è re fellon, chi è un empio.

ACHILLA
Cesare, frena l’ire,
sappi, che Tolomeo…

GIULIO
Non più, condono
a la sua poca etade il molto ardire.
Vanne. Verrò a la reggia
pria, ch’oggi ‘l sole a tramontar si veggia.
(parte)

ACHILLA
(guardando Cornelia)
Parto. Ma già in quel volto
pallido, e scolorito
miro, benché non suole,
in faccia a l’alba a tramontar il sole.
Per saettarmi ‘l cor,
bendato amor,
tu m’attendesti al varco.
Quel vago ciglio ner,
o faretrato arcier,
ti servì d’arco.
Per saettarmi ‘l cor,
bendato amor,
tu m’attendesti al varco.

Scena quarta
Curio. Sesto. Cornelia, che ritorna in sé.

CURIO
Già torna in sé.

SESTO
Madre!

CURIO
Cornelia.

CORNELIA
O stelle!
Ed ancor vivo? Ah tolga
quest’omicida acciaro
il cor, l’alma dal sen.
(vuol rapire la spada dal fianco di Sesto per isvenarsi. Curio la frastorna)

CURIO
Ferma. Invan tenti,
tinger di sangue in quelle nevi ‘l ferro.
Curio, che ancor t’adora,
e sposa ti desia, se pur t’aggrada,
vendicarti saprà co’ la sua spada.

CORNELIA
Sposa a te?

CURIO
Sì.

CORNELIA
Ammutisci.

SESTO
Tu nemico a Pompeo cotanto ardisci?

CURIO
Cornelia, se m’aborri,
m’involerò al tuo aspetto.
Sol per non molestarti
giurerà questo cor di non amarti.
Cercherò maggior fortuna.
Se mi togli ogni speranza,
forse un dì la mia costanza
moverà a pietà qualcuna.
Cercherò maggior fortuna.
Forse un giorno la mia fede
troverà qualche mercede?
Né sarà sì cruda ognuna.
Cercherò maggior fortuna.

Scena quinta
Sesto. Cornelia.

SESTO
Madre.

CORNELIA
Viscere mie.

SESTO
Or che farem tra le cesaree squadre,
tu senza il caro sposo, il senza il padre?
Io sempre piangerò.
Se il fato ci tradì
sereno, e lieto dì
mai più sperar potrò.
Onde sarà il mio cor
in lagrimar cotanto
stemprato dal dolor
in pioggia, e in pianto.

CORNELIA
Non lagrimar, mio ben.
Chissà, che un giorno il ciel
non vibri ‘l giusto tel
del traditor nel sen.
Onde non più turbar
i rai di quella fronte,
converso in flebil mar,
in fiume, e in fonte.

Scena sesta
Sala di Cleopatra.
Cleopatra sotto real baldacchino. Rodisbe.

CLEOPATRA
Regni Cleopatra. Ed al mio seggio intorno
popolo adorator arabo, e siro
su questo crin la sacra benda adori.
Ostie sian l’alme, ed olocausti i cori.

RODISBE
Giovine Tolomeo,
tenero Adon di Veneri lascive
pretende invan di stabilirsi al regno,
per dominar non ha né cor, né ingegno.

CLEOPATRA
Su. Chi di voi, miei fidi,
ha petto, e cuor di sollevarmi al trono,
sorga, e qui al piè della regal mia sede
giuri su questa destra eterna fede.
Qui mentre sorgono in piedi molti Satrapi suoi confederati per portarsi a giurar fede sopraggiunge Nireno.

Scena settima
Nireno, Cleopatra, Rodisbe.

NIRENO
Reina, infausti eventi.

CLEOPATRA
Che fia? Narra.

RODISBE
Che tardi?

NIRENO
Troncar fe’ Tolomeo
il capo.

RODISBE
Ohimè!

CLEOPATRA
Di chi?

NIRENO
Del gran Pompeo.

CLEOPATRA
Stelle! Costui che apporta?

RODISBE
Purch’io salva ne sia, poco m’importa.

NIRENO
Ma v’è di peggio.

RODISBE
E che?

NIRENO
Pe’ stabilirsi al soglio
a Cesare mandò fra doni involto.

CLEOPATRA
Che gli mandò?

NIRENO
L’esanimato volto.

CLEOPATRA
(sorgendo)
Sì. Partite, miei fidi. E tu qui resta.
(partono i satrapi, e resta Nireno)

CLEOPATRA
Vieni. Accorri, o nutrice. E il crin m’infiora.

RODISBE
Che pensi far?

CLEOPATRA
Alle cesaree tende
sotto povera gonna a tutti ignota
son risolta portarmi. E tu, Nireno,
mi servirai di scorta.

NIRENO
Che dirà Tolomeo?

CLEOPATRA
Non paventar. Co’ un guardo
meglio, ch’egli non fece
col capo di Pompeo
Cesar obbligherò.

RODISBE
Figlia, ma avverti bene
non avvilir la maestà, il decoro.

CLEOPATRA
Non dubitar! Vieni a intrecciar quest’oro.
Voglio far col mio sembiante
mille cori sospirar,
e col ciglio fiammeggiante
cento amanti lagrimar.
Voglio far col mio sembiante
mille cori sospirar.
Con la neve, c’ho nel petto,
mille fiamme io vo’ scagliar,
e dall’aria dell’aspetto
cento dardi io vo’ scoccar.
Voglio far col mio sembiante
mille cori sospirar.
(si porta per abbigliarsi ad un tavolino)

Scena ottava
Tolomeo, che sopraggiunge inosservato. Detti.

RODISBE
Mìrati nello specchio; e ben vedrai,
che un ciel d’amor è tua beltà divina.

NIRENO
Altro che Tolomeo!
Oh questo sì, ch’è un volto di reina.

CLEOPATRA
Invano aspira ad usurparmi ‘l trono.
Egli è il germano, e la regina io sono.

TOLOMEO
Tu di regnar pretendi,
donna superba, altera?
A questa destra è chi rapir presume
con l’avite grandezze il patrio soglio?

NIRENO
Resta, Rodisbe, addio, non voglio imbroglio.

RODISBE
(piano a Cleopatra)
Non ti smarrir fa’ core.

CLEOPATRA
Io ciò, ch’è mio,
contendo, e la corona
giustamente dovuta alla mia fronte
giustamente pretendo.

TOLOMEO
Vanne, e torna omai, folle,
a coltivar del crin d’odori intriso
il lascivo ornamento;
e qual di donna è l’uso,
di scettro invece, a trattar l’ago, e il fuso.

CLEOPATRA
Anzi tu pure effeminato amante
di profane bellezze
va’ dell’età sui primi nati albori,
di regno invece, a coltivar amori.
Pensa solo ad amar, ch’avrai fortuna.
Trono, e amor non vanno insieme.
Puoi dar morte a quella speme,
che di regno in te s’aduna.
Pensa solo ad amar, ch’avrai fortuna.

Scena nona
Achilla. Tolomeo.

ACHILLA
Sire, signor.

TOLOMEO
Achilla,
come fu il capo tronco
da Cesare aggradito?

ACHILLA
Sdegnò l’opra.

TOLOMEO
Che sento?

ACHILLA
T’accusò d’inesperto, e troppo ardito.

TOLOMEO
Tant’osa un vil romano?

ACHILLA
Il mio consiglio
apprendi, o Tolomeo.
Verrà Cesare in corte, in tua vendetta
cada costui, come cadé Pompeo.

TOLOMEO
Che direbbe l’Egitto?

ACHILLA
Che d’un romano audace
troncar sapesti ‘l baldanzoso orgoglio,
che fosti saggio in conservarti al soglio,
che pensi, o Tolomeo?
Ti provocò. Ti stimolò allo sdegno.
S’hai brama d’imperare
cessa d’esser pietoso, o lascia il regno.
E, se pur non isdegni, io ti prometto
darti estinto il superbo al regio piede.
Di tant’opra in mercede
a me sol, basta,
che propizia la sorte
Cornelia un dì conceda a me in consorte.

TOLOMEO
Chi?

ACHILLA
Cornelia, la moglie
del già morto Pompeo.

TOLOMEO
Dove soggiorna?

ACHILLA
Là nel campo latin.

TOLOMEO
Cotanto è vaga?

ACHILLA
Lega col crine, e col bel volto impiaga.

TOLOMEO
Amico, il tuo consiglio è la mia stella.
Con la fronte ridente, e lieto ciglio
accoglierò questo latin superbo.
Tu allor tenta, e procura.
Chissà, che di costui dopo l’eccidio
non permetta fortuna,
che di Cornelia un giorno
l’amorosa pupilla
baciata anco non sia? (Ma non da Achilla.)

ACHILLA
Se l’impresa sortisce, io son felice.

TOLOMEO
Come ha bianco il sembiante?
Come bionda la chioma?

ACHILLA
La fenice è de’ volti, il sol di Roma.
Non volevo innamorarmi,
ma non posso far di men.
Il suo labbro i cori impiaga.
Ha la guancia troppo vaga,
troppo candido il bel sen.
Non volevo innamorarmi,
ma non posso far di men.

Scena decima
Tolomeo.
Oh se mai la fortuna
così bella romana
mi scorge a’ piè del soglio?
Quanto Achilla s’inganna! Io goder voglio!
Son rege al trono, e son amante a letto.
Questo cor non meno apprezza
del diadema al crin ristretto
il tesor d’una bellezza,
o l’avorio d’un bel petto.
Son rege al trono, e son amante a letto.
L’aureo scettro è mio tesoro,
un bel volto è mio diletto,
se m’alletta il serto d’oro
a ciascuna do il mio affetto.
Son rege al trono, e son amante a letto.

Scena undicesima
Quartieri del campo cesareo con l’urna in mezzo, che racchiude le ceneri del capo di Pompeo Magno sopra eminente cumulo di trofei guerrieri.
Giulio Cesare. Dopo Curio.

GIULIO
Alma del gran Pompeo,
che al cener suo d’intorno
invisibil t’aggiri,
fur’ombre i tuoi trofei,
ombra la tua grandezza, e un’ombra sei.
Così termina alfine il fasto umano:
ieri chi vivo occupò un mondo in guerra,
oggi risolto in polve un’urna serra.
Tal di ciascuno (ahi lasso!)
il principio è di terra, e il fine è un sasso.
Misera vita! Oh quanto è fral tuo stato!
Ti forma un soffio, e ti distrugge un fiato.

CURIO
Alto signor invitto,
povera sì, ma nobile donzella
chiede inchinarsi al Cesare di Roma.
(Labirinto dell’alme, è la sua chioma.)

GIULIO
Venga.

Scena dodicesima
Cleopatra in abito di damigella. Rodisbe. Nireno. Giulio Cesare. Curio.

NIRENO
Signora, ardir.

RODISBE
È quest’il tempo?

CLEOPATRA
Cesare, la tua spada
moltiplicato ha in oriente il sole.
Se di quel brando al lume
l’aquila degl’imperi,
che osò accostarsi, incenerì le piume.

GIULIO
Che sirena de’ cori!

CURIO
Stanno in quegl’occhi i faretrati amori.

NIRENO
(piano a Cleopatra)
Alle parole aggiungi l’arte.

RODISBE
Un riso
ti può giovar.

GIULIO
Che maestà!

CURIO
Che riso
se Cornelia mi sprezza,
oggi a costei rivolto
collocherò quest’alma in sì bel volto.

GIULIO
Dimmi, o bella, che chiedei?
Svelami l’esser tuo, la patria, e il nome.
(Val un fil di quel crin per cento Rome.)

CLEOPATRA
Tra stuol di damigelle
i’ servo a Cleopatra.
Lidia m’appello, e sotto il ciel d’Egitto
ebbi illustri le fasce in aurea cuna;
ma Tolomeo mi toglie
barbaro usurpator la mia fortuna.

CURIO
(Quanta bellezza in un sol volto aduna!)

GIULIO
Tolomeo sì tiran?

CLEOPATRA
Di ciò ch’io narro
testimoni ne sian questi miei servi.

NIRENO
È ver, signor. Oh quante volte, oh quante
piansi al rigor degli astri suoi protervi.

CLEOPATRA
Avanti ‘l tuo cospetto, avanti Roma,
mesta, afflitta, e piangente
chieggo giustizia, esclamo.

RODISBE
Non lagrimar, signora.
Il ciel t’assisterà.

GIULIO
(Come innamora?)
Sfortunata donzella,
tergi le meste luci, in breve d’ora
deggio portarmi in corte.
Oggi colà stabilirò tua sorte.
(Che bel crin!)

CURIO
Che bel sen!

GIULIO
Che labbro d’ostro!

RODISBE
L’hai colto; e che diss’io?

NIRENO
Cesare è nostro.

CLEOPATRA
Signor, i tuoi favori
legan quest’alma.

GIULIO
(E la tua chioma i cori.)
(parte)

CURIO
Lidia, se pur t’aggrada,
t’offro anch’io questa destra, e questa spada.

RODISBE
(piano a Cleopatra)
Non rifiutar.

CLEOPATRA
Sì generosa offerta
non sia giammai, ch’io seppellisca in Lete.

NIRENO
A fé ch’è ancor costui preso è alla rete.

CURIO
Io non ho maggior contento,
che servire la beltà.
Sin che spirto in seno avrò,
per quel labbro, che pregò,
questo cor s’impiegherà.
Io non ho maggior contento,
che servire la beltà.
Per quei rai di vivo ardor
sarà pronto questo cor,
sin che l’alma spirerà.
Io non ho maggior contento,
che servire la beltà.

Scena tredicesima
Cleopatra. Rodisbe. Nireno.

RODISBE
Cleopatra, sortì l’opra.

NIRENO
Dal tuo sembiante accesi
i’ giurerei, ch’ambi restarno presi.

CLEOPATRA
Quando voglio, con un vezzo
so piagar, chi mi rimira.
Ed al brio d’un mio disprezzo
ha un gran cor, chi non sospira.
Quando voglio, con un vezzo
so piagar, chi mi rimira.
Quando voglio, con un riso
saettar so, chi mi guarda.
Ed al moto del mio viso
non v’è seno, che non arda.
Quando voglio, con un riso
saettar so, chi mi guarda.

RODISBE
Ferma, Cleopatra. Osserva
qual femmina dolente
con grave passo, e lagrimoso ciglio
quivi si porta.

CLEOPATRA
Al portamento, al volto
donna volgar non sembra.

RODISBE
Ambe in disparte
osserviamola ascose.

CLEOPATRA
Ritirati, Nireno.

NIRENO
Son pur curiose.

Scena quattordicesima
Cornelia. Detti in disparte. Dopo Sesto, che sopravviene.

CORNELIA
Nel tuo seno, amico sasso,
sta sepolto il mio tesoro.
Calamita del mio passo
è quel cenere, ch’adoro.
Solo brama il mio cor, che a te si volve,
misurar l’ore sue con quella polve.
Ma che! Vile, e negletta
sempre starai Cornelia?

CLEOPATRA
È Cornelia costei?

RODISBE
La moglie di Pompeo?

NIRENO
Strano accidente!

CORNELIA
Ah no!
(si porta a sceglier armi tra cumuli di arnesi guerrieri)
Tra questi arnesi
mi sceglierò l’usbergo.
Vestirò di lorica il molle seno.
E con vindice ferro
contra di Tolomeo dentro la reggia…

SESTO
(che sopravviene)
Madre. Ferma che fai?

CORNELIA
Lascia quest’armi.
Voglio contro il tiranno
uccisor del mio sposo
tentar la mia vendetta.

SESTO
Questa vendetta a Sesto sol s’aspetta.
(togliendo l’armi a Cornelia)

CORNELIA
O dolci accenti! O care labbra! Dunque
sull’alba de’ tuoi giorni
hai tanto cor?

SESTO
Son Sesto, e di Pompeo
erede son dell’alma.
Figlio non è, chi vendicar non cura
del genitor la morte.

RODISBE
Se ancide Tolomeo,
tu se’ regina.

CLEOPATRA
O sorte!

CORNELIA
Animo, o figlio, ardire, io coraggiosa
ti seguirò.

SESTO
Mah (oh dio) chi al re fellone
ci scorgerà?

Scena quindicesima
Cleopatra, che sbalza fuori impetuosamente. Detti.

RODISBE
(piano a Cleopatra)
(Cleopatra,
non ti scoprir.)

NIRENO
Di Lidia.

CLEOPATRA
E Lidia ancora,
perché quell’empio cada,
ti saran scudo, e t’apriran la strada.

CORNELIA
E chi ti sprona, amabile donzella,
oggi in nostro soccorso offrir te stessa?

CLEOPATRA
La fellonia di un re tiranno, il giusto.

SESTO
Resto di pietra.

CLEOPATRA
Sesto,
sotto il nome di Lidia
io servo a Cleopatra.
Se in virtù del tuo braccio ascende al trono,
sarai felice, e scorgerai qual sono.
(parte)

CORNELIA
Seguimi, o figlio, e a vendicarti impara;
tardanza di vendetta è troppo amara.
(parte)

RODISBE
Sinché t’offre la chioma,
prendi la sorte, amico.

NIRENO
Vieni, che fortunato io ti predico.

NIRENO
Con le donne s’ha fortuna.
San premiar ogni favore;
alma cruda, o ingrato core
non si dà in femmina alcuna.
Con le donne s’ha fortuna.
Può sperarsi ogni mercede,
e per lieve, e poca fede
il suo cor dona ciascuna.
Con le donne s’ha fortuna.

Scena sedicesima
Sesto.
Armerò questa destra, al suo trafitto
caderà,
perirà
questo tiran d’Egitto.
Speranza mi dice,
che questa mia mano
vendetta farà.
Il cor mi predice,
che rege inumano
svenato cadrà.
Speranza mi dice.
Mi dice il pensiero,
che l’empio regnante
esangue sarà.
Che rege severo
trafitto, e spirante
quest’alma vedrà.
Speranza mi dice.

Scena diciassettesima
Atrio del palazzo reale de’ Tolomei con concorso di Popolo. Al suon delle trombe precedono Cavalieri egizi, e romani.
Giulio Cesare. Achilla. Dopo Tolomeo, che viene ad incontrarlo.

GIULIO
Al tonar di brando invitto
più non s’oda tromba audace.
Sol germoglin sull’Egitto
verdi olivi, eterna pace.

TOLOMEO
Cesare, alla tua destra
stende fasci di scettri
generosa la sorte.
(Empio tu pur venisti in braccio a morte.)

GIULIO
Tolomeo, a tante grazie
io non so dir, se maggior lume apporti,
mentre l’uscio del giorno egli disserra,
il sole in cielo, o Tolomeo qui in terra.
Ma sappi, ch’ogni mal’opra ogni gran lume oscura.

ACHILLA
(piano a Tolomeo)
Sino al real aspetto egli t’offende?

TOLOMEO
(Temerario latin.)

GIULIO
(So, che m’intende.)

ACHILLA
Codesti regi alberghi
siano, signor, in tuo soggiorno eterno.
(Piomberai tra le furie, alma d’inferno.)

TOLOMEO
Alle stanze regal questi, che miri,
egizi eroi ti sian di scorta.

GIULIO
Amici,
obbligate quest’alme.

TOLOMEO
(Cerbero t’inghiottisca, o indegna salma.)

GIULIO
Questo core incatenato
prigioniero sempre sarà.
Sono carceri i favori,
aurei ceppi son gli onori,
che ci privan di libertà.
Questo core incatenato
prigioniero sempre sarà.

Scena diciottesima
Cornelia. Sesto. Nireno. Tolomeo. Achilla.

CORNELIA
Nireno, ov’è il tuo rege?

NIRENO
Ecco d’Egitto
la maestà real.

ACHILLA
Che scorgi, o core?
Sire, con Sesto il figlio
questa è Cornelia.

TOLOMEO
Oh che sembianze, amore!

SESTO
È costui Tolomeo?

CORNELIA
No. È un traditore.

SESTO
Dimmi, barbaro, come
svenar potesti ‘l gran campion di Roma?

CORNELIA
Ingrato a quel Pompeo, che al tuo gran padre
il diadema real
stabilì sulla chioma.

SESTO
Empio ti sfido a singolar certame.
Veder farò con generosa destra
in faccia del tuo regno,
che non sei Tolomeo, che se’ un indegno.

NIRENO
Che parli? Ohimè! Deh taci
hanno un gran cor questi romani audaci.

TOLOMEO
Olà. Da vigil stuol sian custoditi
questi romani arditi.

NIRENO
Miseri! Son spediti.

ACHILLA
Alto signor, condona
il lo cieco furor.

TOLOMEO
Per or mi basta,
ch’abbia garzon sì folle
di carcere la reggia,
costei, che baldanzosa
vilipeso il rispetto
di maestà regnante,
nel giardin del serraglio abbia per pena
il coltivar i fiori.
(piano ad Achilla)
Io per te serbo
questa dell’alma tua bella tiranna.

ACHILLA
Felice me!

TOLOMEO
(Quanto costui s’inganna!)

SESTO
Cesare a tuo dispetto
saprà involarci alla servil catena.

TOLOMEO
Taci, dell’ardir tuo giusta è la pena.
Donna da’ tregua al duolo,
che del tuo ciglio il bel sereno imbruna.
La bellezza in Egitto ha sol fortuna.
Porti un volto sì bianco, e sì vago,
che aspetto più bello
non vidi già mai.
Sì bel sole non nasce dal Tago
al pari di quello,
che porti in que’ rai.
Porti un volto sì bianco, e sì vago.
Spargi un lume dagli occhi sì acceso,
che un raggio sì biondo
non ha il cielo seren.
Fai col crine, che porti disteso,
tesoro del mondo
sì candido sen.
Spargi un lume dagli occhi sì acceso.

Scena diciannovesima
Achilla. Cornelia. Sesto.

ACHILLA
Olà, per regal legge omai si guidi
prigionier nella reggia
così audace garzon.

CORNELIA
Seguirò anch’io
l’amata prole, il caro figlio mio.

ACHILLA
Tu ferma il piè.

SESTO
Madre!

CORNELIA
Mia vita!

SESTO
Addio.
(vien condotto via Sesto)

CORNELIA
Dove, dove, inumani,
l’anima mia scorgete. Empi lasciate,
che al mio core, al mio bene
io porga almen gli ultimi baci. Ahi pene!

ACHILLA
Cornelia, in que’ tuoi lumi
pirausta è questo cor. Se all’amor mio
giri sereno il ciglio,
e i talami concedi,
sarà la madre in libertà col figlio.

CORNELIA
Barbaro, una romana
sposa ad un vil Egizio? A te consorte?
Ah no! Pria della morte.

ACHILLA
Parto resta, o superba.
Se il fior della bellezza è quel tuo volto,
acciò pietà del pianger mio un dì apprendi.
Va’ del giardin nel campo. E impara intanto,
che al lagrimar dell’alba
proprio è de’ fiori il serenarsi al pianto.
Sei bella, e vezzosa,
ma troppo crudel.
Amor ti compose
le guance di rose,
ma l’alma di gel.
Sei bella, e vezzosa,
ma troppo crudel.
Sei vaga, amorosa,
ma senza pietà.
Beltà sì ritrosa,
sì cruda e sdegnosa
Cupido non ha.
Sei vaga, amorosa,
ma senza pietà.

Scena ventesima
Cornelia.
Empio, t’inganni. Io se perdei lo sposo,
mai d’alto foco avrò farfalla il core,
mai d’altro sol m’avrà Fenice amore.
Se d’idolatra un volto,
troppo si pena allor, quando si perde.
Bellezza è come un fior,
una volta se mor,
mai più rinverde.
Se d’idolatra un volto,
troppo si pena allor, quando si perde.
Speranza, che dà amor,
se un dì langue nel cor,
non ha più verde.
Se d’idolatra un volto,
troppo si pena allor, quando si perde.

Scena ventunesima
Cleopatra. Rodisbe.

CLEOPATRA
Prigioniera Cornelia?
E ciò fia fer?

RODISBE
Nireno
il tutto vide.

CLEOPATRA
Amica,
è pietà dar soccorso a un’innocente.

RODISBE
Io con l’arte, e d’inganno
saprò involarla al regnator tiranno.

CLEOPATRA
Mancava alle mie pene
questo novo martir.

RODISBE
Qual altra nube
turba il seren del ciglio?

CLEOPATRA
Oh dio!

RODISBE
Sospiri?

CLEOPATRA
Ben si dée sospirar, quando si parte
l’anima fuor dal seno.

RODISBE
Danno indizio d’amor questi tuoi sensi.

CLEOPATRA
Eh sentirai ciò, che sentir non pensi.
A Cesare mi porto. Io là nel campo
lo contemplo. Mi guarda. Io lo rimiro,
ma del suo guardo, (Oh dio!)
prima che me n’avveda,
di predatrice invece io fui la preda.

RODISBE
Cesare adori?

CLEOPATRA
Sì, che mi consigli?

RODISBE
Sin tanto, che t’avvedi,
se gradisce il tuo foco,
nutrir tu puoi nel petto il vivo ardore,
che uguaglianza in amor non macchia il core.

CLEOPATRA
Non voglio amar, o voglio amar per sempre.
Se mi pongo in servitù,
più non torno in libertà.
E se giuro fedeltà,
questo cor non frange più
d’una chioma l’auree tempre.
Non voglio amar, o voglio amar per sempre.
Se nel petto m’entra amor,
più non m’esce fuor dal sen.
E se volto sì seren
m’incatena questo cor,
mai più sciolgo l’auree tempre.
Non voglio amar, o voglio amar per sempre.

Scena ventiduesima
Rodisbe.
O povere fanciulle!
Voi credete col guardo, e col bel viso,
d’imprigionar ciascun, né v’accorgete,
che in guisa tale ordite a voi la rete.
Voi scherzate, o giovinette,
per l’acquisto d’un amante.
Ma in tal guisa, o semplicette,
v’incatena un crin vagante.
V’adornate il crine, il petto,
v’abbigliate nel sembiante.
Ma in tal modo il vostro affetto
vi rapisce il dio volante.
Segue il ballo dei Cavalieri.

Atto secondo

Scena prima
Galleria.
Cleopatra, che pensierosa sta sedendo ad una spinetta.
Nudo arcier, se non sospendi
l’aureo stral, che mi piagò…
E sarà ver che due pupille vaghe
qui dell’Egitto in seno,
dove il balsamo nasce, apran le piaghe?
Nudo arcier, se non sospendi
l’aureo stral che mi piagò,
sopra l’arco, che distendi,
saetta io morirò.
Dio de’ cori…

Scena seconda
Nireno, Cleopatra.

NIRENO
Reina, alla tua destra
stende la sorte il crine. A queste soglie
volge Cesare il passo.

CLEOPATRA
Ah non è il tempo,
ch’io mi scuopra qual son, tu là in disparte
Cesare attenderai. Poi d’improvviso
a lui per nome mio fingi ‘l tuo arrivo.

NIRENO
Per qual cagione?

CLEOPATRA
Ascolta. Gli dirai,
che per dargli contezza
di quanto dal suo re gli si contende,
alla fonte d’Adon Lidia l’attende.

NIRENO
Intesi, tu vuoi dir che di mezzano…

CLEOPATRA
Che parli? Olà. Simili accenti ammorza.

NIRENO
(Quanti servi oggidì lo fan per forza.)

CLEOPATRA
Nella vicina stanza io mi ritiro:
per iscoprir ‘l mio sepolto ardore
stratagemma bizzarro
mi suggerisce in questo punto amore.
Chi tace le catene,
onde imprigiona amor,
moltiplica le pene
dell’amoroso ardor.
Sì, sì, mio core, adir. Scopri la face,
che mercede non ha quel cor, che tace.
Chi porta il sen piagato
dal faretrato arcier,
lo stral del dio bendato
non deve mai tacer.
No, no, non celi mai l’ardor vorace,
che mercede non ha quel cor che tace.

Scena terza
Nireno.
Mostra Cleopatra al favellar del labbro,
che la punse nel cor il dio d’un fabbro,
a fé se qualche bella
s’invaghisce giammai del mio sembiante,
saria felice, e fortunata amante.
Se qualcuna mi bramasse,
non vorrei farmi pregar.
Se di me s’innamorasse,
la vorrei sempre baciar.
Se qualcuna mi bramasse,
non vorrei farmi pregar.

Scena quarta
Giulio Cesare. Cleopatra di dentro. Nireno in disparte.

GIULIO
Son prigioniero
del nudo arciero
in laccio d’or.
Ma non so come,
m’hanno due chiome
legato il cor.
Vaga Lidia, ove sei? Se un sol tuo sguardo
trasse quest’alma ad abitarti ‘n fronte,
fu in sì bel ciel d’amore
aquila un occhio, e Ganimede un core.

NIRENO
(Ora è il tempo opportuno.)

CLEOPATRA
V’adoro pupille
saette d’amore.

GIULIO
Qual voce ascolto mai?

NIRENO
(Questa è Cleopatra.
Intendo. Del suo amor son arti, e frodi,
femmina innamorata
per discoprirsi amante ha mille modi.)

CLEOPATRA
Le vostre faville
son faci del core.

NIRENO
Signor.

GIULIO
Nireno, udisti
quest’angelica voce?

NIRENO
Qual voce? Io nulla udii. (Finger conviene.)

CLEOPATRA
V’adoro, pupille,
saette d’amore.

NIRENO
Questa, è Lidia, o signor.

GIULIO
Virtù cotanta
Lidia possiede? Ah che se già piangente
mi saettò tra l’armi, io ben m’avveggo,
che bellezza sì vaga
cantando lega, e lagrimando impiaga.

NIRENO
Signor, se amor t’accese,
non t’affligger no, no. Lidia è cortese.
Anzi, se non t’è grave, ella t’attende
della fonte d’Adone al colle aprico.

GIULIO
Lidia mi brama?

NIRENO
Sì.

GIULIO
Dopo Cleopatra
a lei mi porterò.

NIRENO
(Che bell’intrico!
Qui fa d’uopo d’ingegno.) Un sol momento,
Cesare, che tu indugi,
ogni grave suo affar scorre un periglio.
Di portarti pria a Lidia io ti consiglio.
Verrai, signor.

GIULIO
Verrò. (Giubila, o core.)

NIRENO
(partendo)
Di me non ha mezzan più scaltro amore.
A la carcere d’un crine
questo core è condannato!
Libertà più non t’adoro,
voglio star tra ceppi d’oro
d’un tesoro inanellato.
A la carcere d’un crine
questo core è condannato!
È quest’anima legata
prigioniera d’una chioma.
Libertà, ti do già bando,
le catene sto adorando
d’un volume coltivato.
È quest’anima legata
prigioniera d’una chioma.

Scena quinta
Curio. Giulio Cesare.

CURIO
Cesare, tutto il campo
cangiar l’elmo in alloro, al crin ti brama,
signor di Roma, e imperator t’acclama.
Ma se a mille falangi
esposi ‘l sen, e se più d’un’asta ultrice
di Cesare a favore
nel sangue ostil imporporai pugnando,
Cesare sol può rendermi felice.

GIULIO
Tutto ciò, ove si stende
questo mio acciar, da Curio sol dipende.

CURIO
Un sol lampo amoroso
di Lidia…

GIULIO
(Ohimè, che sento!
Saldo mio cuor, non ti mostrar geloso.)

CURIO
Strisciò, sfavillò appena
sul bel sentier della celeste fronte,
che fe’ cader questo mio cor Fetonte.
Onde a sì vasto lume
nella sua chioma egli ha per tomba un fiume.
Da Cleopatra in consorte
sol può Cesare (oh dio!)
impetrarla per Curio.

GIULIO
Amico, addio.

Scena sesta
Curio solo.
Amico, addio? Quai stravaganze incontro?
Ah, so ben io. L’intendo,
del bell’idol mio,
Cesare vive amante. Amico, addio?
Ma che parlo? Ciò forse
mi recherà cordoglio?
Eh che in amor rivalità non voglio.
In amor voglio esser solo.
Voglio senza gelosia
una bella tutta mia
per non viver sempre in duolo.
In amor voglio esser solo.
Sin che trovo un’altra bella,
or a questa, ed or a quella,
vo’ che il cor dispieghi ‘l volo.
In amor voglio esser solo.

Scena settima
Giardino del serraglio, dove corrisponde quello delle fiere.
Achilla. Nireno.

NIRENO
Io tentar, che Cornelia?…

ACHILLA
Olà. Ubbidisci.
Fa’, che si pieghi all’aspro mio cordoglio.
So, che tu se’ bastante.
Adempisci i miei cenni: io così voglio.

NIRENO
Il servir nelle corti è un grand’imbroglio

ACHILLA
Mira, che già s’en viene
dei sette colli ‘l mio bel sol superbo.

NIRENO
Signor…

ACHILLA
Animo, ardisci.

NIRENO
Ma se…

ACHILLA
Non più eseguisci.
Fingerò di partir, ma qui ‘n disparte
il tutto ascolto, e osservo.

NIRENO
Così avviene sovente a chi fa il servo.
(si ritira)

ACHILLA
Nudo bendato amor,
insegnale ad amar,
non mi lasciar morir.
Questo povero cor
solo può ristorar
uno de’ suoi sospir.
Nudo bendato amor,
insegnale ad amar.
Nume volante arcier,
saettala nel sen,
non mi lasciar penar,
troppo rigido, e fier
gira il ciglio seren
per farmi lagrimar.
Nume volante arcier,
saettala nel sen.

Scena ottava
Cornelia, che con picciola zappa nelle mani vien coltivando i fiori. Achilla. Nireno in disparte.

CORNELIA
Mentre piange l’alba in fasce,
presta il riso al fior nascente,
e al vagir del sol, che nasce,
ride il giorno in oriente.

NIRENO
Bella, non lagrimar.

CORNELIA
Sei qui, Nireno?

NIRENO
Cangerà il tuo destin sue ferree tempre.

CORNELIA
Chi nacque da un sospir, pianger dée sempre

NIRENO
Un consenso amoroso,
che tu presti ad Achilla,
può sottrarti al rigor di servitù.

CORNELIA
Olà. Così non mi parlar più.
(alza la zappa per dargli. Esce Achilla, che frastorna la destra)

ACHILLA
Ferma. Cotanto sdegni,
chi ti porta nel cor?

CORNELIA
Tu qui al mio aspetto?

ACHILLA
Oh dio! Ascolta. Ove vai?

CORNELIA
Fuggo da te per non mirarti mai.

Scena nona
Mentre Cornelia fugge incontra Tolomeo, che la prende per la destra. Detti.

TOLOMEO
Bella, placa lo sdegno,
che non ponno albergar odi, ed amori
in sì bel volto, in sì bel ciel de’ cori.

CORNELIA
Lasciami, iniquo re.

NIRENO
E in buona mano a fé.

ACHILLA
Sire, qua mi portai
per ammollir questa crudel, che adoro.
Ma come avessi (ahi lasso!)
sembiante di Medusa
al mio solo apparir si fe’ di sasso.

TOLOMEO
Così appunto esser vuole,
che riesce più gustosa,
ottenuta che s’ha, beltà ritrosa.

CORNELIA
Ah indegno cor!

TOLOMEO
Nireno,
custodisci costei. Tu bella intanto
sdegno sì fiero ammorza.
(piano ad Achilla)
Amico, ebben?

NIRENO
(piano a Cornelia)
Signora,
meco non t’adirar. Lo fo per forza.

ACHILLA
Già sta di cento armati
l’alta congiura ordita. Oggi vedrai
Cesare estinto al suolo,
re vendicato, e regnator tu solo.

TOLOMEO
Parti. Eseguisci, e spera. Avrai ‘n mercede
la tua crudel. (Folle costui se ‘l crede.)

ACHILLA
(a Tolomeo)
Con dolce mio ristor
alimento del cor
è la speranza.
(verso Cornelia)
Forse un giorno a pietà,
crudel, ti muoverà
la mia costanza.
Con dolce mio ristor
alimento del cor
è la speranza.

Scena decima
Tolomeo. Cornelia. Nireno.

TOLOMEO
Bella, cotanto aborri
chi ti prega ad amar?

CORNELIA
Un traditore
degno non è d’amor.

TOLOMEO
Tanto rigore?
Ma se un re ti bramasse?

CORNELIA
Sarei una furia in agitargli ‘l core.

TOLOMEO
Possibil, che in quel volto
non alberghi pietà, che in questo seno…
(stende la destra al seno di Cornelia, che sdegnosa lo scaccia, e si ritira)

CORNELIA
Freni l’anima insana
lo stimolo del senso.
Pensa, che son Cornelia, e son Romana.

TOLOMEO
Senti, donna ostinata, o tu risolvi
di soddisfar d’un re amator le brame,
o verrai condannata
di quelle fere a satollar la fame.

CORNELIA
Pur che viva l’onore,
morrò contenta, o regnator infame.

TOLOMEO
Olà, cotanto ardir?

NIRENO
(piano a Cornelia)
Fuggi, o signora.
Impenna l’ali al piè.

TOLOMEO
Mira dunque, o superba,
ciò, che sa far un risoluto re.
(usa forza per baciarla, ella si difende)

CORNELIA
Barbaro, ferma.

TOLOMEO
Taci.
Sul temerario labbro
le mie vendette ora farò coi baci.

CORNELIA
Perfido, tenti invano.

TOLOMEO
Ti bacerò.

CORNELIA
No.

TOLOMEO
Sì.

CORNELIA
Resta inumano.
(scioltasi a forza delle sue braccia fugge)

Scena undicesima
Tolomeo. Nireno.

TOLOMEO
Niren, vola a Rodisbe, e fa’, che in breve
scorga con l’altre ancelle
questa ritrosa ai regni.
Là in sì bel sen senza lorica, o scudo
farò le mie vendette a petto ignudo.

NIRENO
Con le donne, o signore,
voglion esser preghiere, e non rigore.
Ogni bella fa la ritrosa.
Se per forza si pretende,
mai contento alcuno rende,
e fa sempre la sdegnosa.
Ogni bella fa la ritrosa.

Scena dodicesima
Tolomeo.
Duo numi, che son ciechi,
sono l’aspra cagion del mio cordoglio
Amor con sì bel volto
mi porta guerra al cor, Fortuna al soglio.
Mi tormentano duo pensieri.
L’uno di regno, l’altro di amore,
che nel darmi pena, e dolore
sono all’anima troppo fieri.
Mi tormentano duo pensieri.
Ho nell’anima duo tormenti.
L’un d’amore, l’altro del soglio,
che nel darmi cruccio, e cordoglio
sono rigidi, e severi.
Ho nell’anima duo tormenti.

Scena tredicesima
Cornelia, che ritorna.
Su, che si tarda? Or, che partì ‘l lascivo,
un generoso ardir l’onor mi salvi.
Pria che ti stringa al seno
il barbaro amator, mori, o Cornelia.
Tra le fauci de’ mostri
mi scaglierò da queste eccelse mura.
Cibo sarò di fiere. E questi ferri
serviran di salita.
Non paventa il morir un’alma forte.
Addio, Roma. Addio, Sesto, io corro a morte.

Scena quattordicesima
Mentre Cornelia corre per scagliarsi nel serraglio delle fiere sopraggiunge Sesto in abito d’eunuco, che la trattiene. Dopo Rodisbe.

SESTO
Ferma, che fai?

CORNELIA
Chi mi trattiene? Audace,
lascia.

SESTO
Ferma, Cornelia.

CORNELIA
Lasciami, dico, o temerario eunuco.

SESTO
Madre.

CORNELIA
Madre? Che veggio?
Figlio, Sesto, mio core,
cor dell’anima mia,
come tra finte vesti io qui ti trovo?

SESTO
Io per sottrarti al regnator lascivo
col mezzo di Rodisbe
penetrai nel serraglio in questi arnesi.

CORNELIA
E come fuggirem, se d’ogni intorno
vigilato è l’ingresso?

RODISBE
A me non manca
arte, modo, ed ingegno.

Scena quindicesima
Nireno. Detti.

NIRENO
Rodisbe, infauste nove. Il re t’impone,
che tra le sue dilette
guidi Cornelia ai bagni.

CORNELIA
Oh dio!

SESTO
Che sento?

RODISBE
Non vi turbate. Sesto,
s’il mio consiglio apprendi,
vendicherai del genitor la morte.
(piano a Nireno)
E con esempio degno
avrà salvo, ed illeso
l’onor di Cornelia
e Cleopatra il regno.

SESTO
Penderò da’ tuoi cenni, e infin che spiro
dell’opre tue, Rodisbe,
io memore sarò.

CORNELIA
Stelle, respiro!

RODISBE
Nelle vicine stanze ambi accorrete.
Ci minaccia un periglio ogni momento.
(parte)

NIRENO
Star in man de’ tiranni è un gran tormento.

CORNELIA E SESTO
Mia speranza. Dolce amore.
Sarai sempre in questo core.
Tu conforti le mie pene.
O mia fortuna! O sospirato bene!

Scena sedicesima
Loco di delizie.
Cleopatra nel suo abito reale. Dopo Nireno.

CLEOPATRA
Sulla rota d’un ciglio, ch’è nero,
l’armi affila! O aligero arciero.
Con un labbro, e la corda d’un crin
forma l’arco di vivo rubin.

NIRENO
Signora.

CLEOPATRA
Ebben, Nireno,
eseguisti i miei cenni?
Verrà Cesare?

NIRENO
Sì, ma non potresti
penetrar ciò, che avvenne
all’armonia de tuoi canori accenti.

CLEOPATRA
Parla, che avvenne mai? Tu mi tormenti.

NIRENO
Credé canto di Lidia
le tue armoniche voci.

CLEOPATRA
O cari eventi!

NIRENO
Ma v’è di meglio.

CLEOPATRA
E che?

NIRENO
Con fioca voce, e favellar tremante…

CLEOPATRA
Che disse? Di’.

NIRENO
Si palesò tuo amante.

CLEOPATRA
Amante? O me felice!

NIRENO
Mira appunto, ch’ei viene.

CLEOPATRA
Parti. Involati presto.

NIRENO
Brami sola restar?

CLEOPATRA
Sì.

NIRENO
Intendo il resto.
(parte)

CLEOPATRA
Per discoprir se porta il cor piagato,
fingerò di dormir, porterò meco
mascherato nel sonno amor, ch’è cieco.
Io non ho più bel diletto
della speme, c’ho nel petto.
Non dispero, e sto adorando.
Sol costante è quel cor, ch’ama sperando.
Io non ho piacer maggiore
della speme, c’ho nel core
sempre spero, e sto penando.
Sol costante è quel cor, ch’ama sperando.

Scena diciassettesima
Giulio Cesare, Cleopatra, che si finge addormentata.

GIULIO
Spunta Febo in oriente,
e col raggio sfavillante
porge vita al novo giorno.
Ma quell’occhio rilucente,
che mi rese il core amante,
maggior lume del suo sparge d’intorno.
Ma che veggo? Il mio sol, Lidia qui dorme?
Di ricche perle adorna
fa impallidir il fasto, e venir meno
sì bel candore al paragon del seno.

CLEOPATRA
(Fortunata! Che ascolto?)

GIULIO
Bellezza idolatrata,
dormi, riposa.

CLEOPATRA
(O finzion beata!)

GIULIO
Io t’amo, e tu no ‘l sai. Beltà adorata,
dormi riposa.

CLEOPATRA
(O finzion beata!)

GIULIO
Ah se di tanto incendio,
che mi bolle nel seno,
ti penetrasse al cor qualche scintilla,
ben potresti sperar dalla tua sorte
d’essermi forse un dì sposa, e consorte.

CLEOPATRA
(sorgendo)
Sposa? T’adorerò sino alla morte.

GIULIO
Olà.

CLEOPATRA
Che? Ti conturbi?

GIULIO
Una donzella
serva di Cleopatra a tanto aspira?

CLEOPATRA
Cesare, frena l’ire.
Già che desta m’aborri,
perché m’abbi ad amar, torno a dormire.
(va per tornare al suo loco)

Scena diciottesima
Curio con la spada impugnata. Detti.

CURIO
Cesare, sei tradito.

GIULIO
(impugnando la spada)
Io tradito?

CLEOPATRA
Che sento?

CURIO
Mentr’io nelle tue stanze,
signor t’attendo, odo di genti, e spade
ripercosso fragor, al fier rimbombo
corro veloce, e in su la soglia i’ scorgo
assalite le guardie.
De’ feritori, e de’ feriti ai gridi
spiccar sento una voce:
mora Cesare, allor io d’improvviso
a te ne volo ad arrecar l’avviso.

GIULIO
Così dunque in Egitto
regna la fellonia?

CURIO
Ma v’è di più. Del re tiran per legge
sta chiusa nel serraglio
prigioniera Cornelia.

GIULIO
E a tanto arriva
di Tolomeo l’ardir? Bella rimanti.
Sono infausti per noi cotanti lidi.

CLEOPATRA
(lo trattiene)
Fermati, non partir, che tu m’uccidi.

GIULIO
Lascia Lidia.

CLEOPATRA
Che Lidia,
io volerò al conflitto, in tua difesa
sino agli stessi abissi
scenderia Cleopatra. (Ohimè che dissi.)

GIULIO
Cleopatra?

CLEOPATRA
Sì.

GIULIO
Dov’è?

CLEOPATRA
Cesare volgi
in questo seno, e non altrove il lampo
di que’ occhi, che adoro.
Cleopatra io sono, e non più Lidia in campo.

GIULIO
Cleopatra sei?

CURIO
Che ascolto, o cieli?
De’ congiurati ‘l temerario ardire.

CLEOPATRA
In breve
questo aspetto regal sarà, che cada.
Torna al fianco, o signore, quella tua spada.

Scena diciannovesima
Giulio Cesare, Curio.

GIULIO
Curio, a sì strani eventi
resto immobile sasso.

CURIO
Stupido son.

GIULIO
Che udisti mai, cor mio?
Lidia è Cleopatra? E la spregiasti? Oh dio!

Scena ventesima
Cleopatra, che frettolosa ritorna. Detti.

CLEOPATRA
Fuggi, Cesare, fuggi.
Dalle regie tue stanze a questa fonte
volano i congiurati.

CURIO
Come? Nemmen Cleopatra
valse a frenar sì perfido ardimento?

CLEOPATRA
La porpora reale
scudo non è bastante al tradimento.

GIULIO
Ch’io m’involi!

CLEOPATRA
Sì.

GIULIO
No, morrò da Cesare.

CLEOPATRA
Oh dio! Tu il cor mi struggi.
Sàlvati, o mio bel sol, Cesare, fuggi.

GIULIO
No, che Cesare non fuggirà.
O che in pelago di gente
il naufragio non avrà,
o di sangue ampio torrente
il terreno inonderà.
No, che Cesare non fuggirà.
(parte)

CLEOPATRA
Curio, dal tuo valore oggi dipende
di Cesare la vita.

CURIO
Dentro schiera ostile, orribile
invincibile
questo brando impugnerò.
E di Cesare a favore
questo petto, e questo core
io tra l’armi porterò.
Dentro schiera ostile, orribile
invincibile
questo brando impugnerò.

Scena ventunesima
Voci de’ congiurati di dentro. Cleopatra.

VOCI
Mora Cesare, mora.

CLEOPATRA
Che sento? Oh dio!
Morrà Cleopatra ancora.
Anima vil, che parli mai? Deh taci.
Avrò per vendicarmi
in bellicosa parte
di Bellona in sembianza un cor di Marte.
È de’ cori un dolce affanno
la speranza di vendetta,
col tormento ci diletta,
ma il diletto è un cieco inganno.
È del senso un finto vezzo
il pensiero di vendetta.
Spesso cruccia, e spesso alletta,
ma ci alletta col disprezzo.

Scena ventiduesima
Bagni del serraglio.
Cornelia negli abiti di eunuco di Sesto. Sesto in abito da donna colle vesti di Cornelia. Rodisbe.

CORNELIA
Resta, anima del mio cor! A te, Rodisbe
il mio tesor consegno.

RODISBE
Non dubitar.

CORNELIA
Fuggo il tiranno indegno.
Ti lascio, mia vita,
mio sole seren,
sempre il core
nel dolore
languirà, venirà men.
Ti lascio, mia vita.

Scena ventitreesima
Rodisbe. Sesto.

RODISBE
Sesto, è d’uopo, ch’io vada
delle altre ancelle ad introdur lo stuolo.
Con la materna gonna a queste in mezzo
ti fingerai Cornelia, e allor, che l’empio
disarmato, ed ignudo
vorrà stringerti al sen, tu d’improvviso
la di lui spada impugna;
e fa’ che cada entro la conca anciso.

SESTO
Ma s’egli pria mi scuopre?

RODISBE
Arte ci vuole,
tu d’un pianto mentito
fingendo d’asciugar l’umido ciglio
copri ‘l tenero volto in guisa tale,
ch’ei non ti raffiguri.
Del resto poi lasciane oprar Rodisbe.
(parte)

SESTO
Seguirò il suo consiglio
un cor latino non sa temer periglio.
In sembianza oggi di donna
io sarò novello Achille.
Pianti, e vezzi più di mille
fingerò sotto la gonna.
Sotto spoglia femminile
mascherata ho la mia sorte,
così ancora Alcide, il forte,
nascondea l’alma virile.

Scena ventiquattresima
Tolomeo circondato dalle Femmine del serraglio sue favorite condotte da Rodisbe. Sesto, che fingendo di piangere si va coprendo il volto con un fazzoletto.

TOLOMEO
Belle dèe di questo core,
voi portate il cielo in volto,
non ha il ciel più bel splendore
di quel, ch’avete in doppie stelle accolto.

SESTO
Numi! Che fia di me?

RODISBE
(piano a Sesto)
Sesto, fa’ core.

TOLOMEO
(gettando il fazzoletto a Sesto)
Questo candido lin prendi, o Cornelia.
Il segno sia secondo il mio costume
di quella, che destino
al regio letto, alle notturne piume.

SESTO
Oh dèi! Che fia!

RODISBE
Che veggo?
Semplicetta, tu piangi?
Eh rasserena omai quel ciglio mesto.
Non lagrimar.
(piano)
Sì, sì fingi pur, Sesto.

TOLOMEO
Bella, perché m’ascondi
quel volto, che innamora?
Leva…
(vuol levarle ‘l fazzoletto dal volto, Rodisbe lo frastorna)

RODISBE
Ferma, signore
io farò, che abbandoni
sì modesto rossor.

TOLOMEO
Fa’, che si spogli
nella conca real meco la voglio.
(si porta alla conca del bagno dove si spoglia)
Vadano queste vesti.
Questa spada, ch’io cingo,
disarmi ‘l regio fianco.

RODISBE
Osserva, o Sesto,
dove il brando depone.

SESTO
Io già lo veggo.
A un disperato cor cresce l’ardire.
Son risolto svenarlo, o di morire.

RODISBE
Animo, è quest’il tempo.

SESTO
Or sul terreno
prendo quel brando? E sveno all’empio il seno.

Scena venticinquesima
Mentre Sesto va per impugnar la spada di Tolomeo per isvenarlo, è prevenuto da Achilla, che la prende, e la rende a Tolomeo. Rodisbe.

ACHILLA
Sire, prendi.

TOLOMEO
Chi fia?

SESTO
(Stella contraria
arma la man real, che non è tempo
di star tra vezzi in amorosa parte.
Queste veneri lascia, e vola a Marte.)

TOLOMEO
Qual nemica fortuna?

ACHILLA
Odo, signor, che Cesare dimora
alla fonte d’Adon con Cleopatra.
Io colà volo. E di costui la spada
fa grande strage de’ nostri.
Ma il numero de’ molti
alla virtù d’un solo alfin prevale.
Fugge con Curio, e da balcon sublime
si scaglian d’improvviso in mezzo al porto.
Miro così in un punto
Curio sommerso, e Cesare già morto.

SESTO
(Cesare morto?)

RODISBE
(Oh numi!)

ACHILLA
Or Cleopatra
con cento armati abeti
vola al campo romano,
e delle trombe ai bellicosi carmi
in vendetta di Cesare dà a l’armi.

TOLOMEO
D’una femmina imbelle
non pavento i furori. Avran fra poco
le sue querci volanti
le tempeste, e il naufragio in mar di foco.

ACHILLA
Ti resta solo.

TOLOMEO
E che mi resta? Chiedi.

ACHILLA
Che in premio di tant’opra
in isposa costei tu mi concedi.

TOLOMEO
Temerario, beltà, che non ha pari
d’un tradimento in guiderdon pretendi?

ACHILLA
Sire…

TOLOMEO
Ammutisci, e parti.
Son re. Saprò premiarti.

ACHILLA
Il mio servir questa mercé riceve?

TOLOMEO
Olà.

ACHILLA
(A chi fede non ha, se non si deve,
mi volgerò a Cleopatra. In un momento
vendicarmi saprò col tradimento.)
(parte)

TOLOMEO
Rodisbe alle mie stanze
tu scorgerai Cornelia.

SESTO
(Oh dio.)

RODISBE
Non ti smarrir.

TOLOMEO
Io di Cleopatra
mi porto ad atterrar gli alti pensieri.
Poi vincitore amante
in sì bel sen ritornerò ai piaceri.
Mi fa guerra Marte, e amore.
L’un de’ timpani al fragore
vuol, che afferri scudo aurato.
L’altro poi d’un ciglio armato
mi combatte questo core.
Mi fan guerra Marte, e amore.
L’un di tromba al rio clangore
chiama in campo questo petto.
L’altro poi mi sfida al letto,
dove all’armi dà il mio core.
Mi fan guerra Marte, e amore.

Scena ventiseiesima
Sesto, Rodisbe.

SESTO
Or, ch’è Cesare estinto
che fia di me, Rodisbe?

RODISBE
Animo, ardire.
Di Tolomeo alle stanze
ti condurrò. Tu scaltro
fingendo vezzi, e simulando baci
da me avrai l’arte, onde il tiran monarca,
in vece del tuo sen, stringa la parca.

SESTO
Con più baci, e con amplessi
la vendetta io comprerò.
Con lusinghe, e vezzi spessi
il mio sdegno coprirò.
Con più baci, e con amplessi
la vendetta io comprerò.
Con più frodi, e con più vezzi
di svenarlo io tenterò.
Con amori, e con disprezzi
il tiranno ingannerò.
Con più baci, e con amplessi
la vendetta io comprerò.

Scena ventisettesima
Rodisbe.
Semplice Tolomeo! Tu pur deluso
fosti fin sulla faccia.
Semplicetti uomini sciocchi,
certe vecchie, che si sprezzano,
ve la fanno fin sugli occhi.
Donne canute
son troppo astute,
spesso far sogliono.
Che nell’inganno
a lumi aperti
l’uomo trabocchi.
Certe vecchie, che si sprezzano,
ve la fanno fin sugli occhi.
Son più dell’altre
le vecchie scaltre.
Fanno, se vogliono,
che quel diletto,
che voi bramate
mai non vi tocchi.
Certe vecchie, che si sprezzano,
ve la fanno fin sugli occhi.
Segue il ballo dei Guerrieri.

Atto terzo

Scena prima
Riviera del porto d’Alessandria illuminata in tempo di notte, dove segue battaglia navale, e terrestre. Con Popolo spettatore.
Cleopatra. Tolomeo in abito guerriero sopra armate navi.

CLEOPATRA
Seguaci campioni,
è tempo di guerra.
Al suon della tromba
il mar già rimbomba,
già freme la terra.
Seguaci campioni,
è tempo di guerra.

TOLOMEO
Impugni la destra
il brando guerriero.
Sia pronta alle voci
di tromba feroci
con l’asta, ch’afferra.
Impugni la destra
il brando guerriero.

TOLOMEO
(sbalzando nella nave di Cleopatra)
Cedi, o femmina altera.

CLEOPATRA
Non cederò.

TOLOMEO
Sei vinta, e prigioniera.
Qui segue la battaglia in terra tra Soldati di Cleopatra, e di Tolomeo.

Scena seconda
Tolomeo, che sbarca con tutte le sue Genti. Cleopatra prigioniera con molti altri Cavalieri suoi confederati. Nireno.

TOLOMEO
Vinta cadesti. Al balenar di questo
mio fulmine real, lampo guerriero
sì memorabil notte
più illustre assai si rese,
che allo splendor di tante faci accese.

CLEOPATRA
Tolomeo non mi vinse,
mi tradì quella cieca,
che tiran ti protegge
senza onor, senza fede, e senza legge.

TOLOMEO
Olà. Sì baldanzosa
del vincitor al riverito aspetto?
S’incateni costei.

CLEOPATRA
Empio! Crudel! Ti puniranno i dèi.

Scena terza
Cornelia, che in abito guerriero, e coperta d’elmo sbalza fuori della schiera de’ Cavalieri prigionieri di Cleopatra. Detti.

CORNELIA
Ferma o tiran, che non dée star tra ceppi
quel piè, che nacque a calpestar il soglio.

TOLOMEO
Chi se’ tu, che sì ardito
t’opponi a un re con temerario orgoglio?

CORNELIA
Io mi son un, che pone
nella spada ogni legge, ogni ragione.

TOLOMEO
(levando l’elmo a Cornelia)
Cavaliero fellon, leva quell’elmo.

NIRENO
(Ohimè! La scopre.)

CLEOPATRA
Avverso ciel.

TOLOMEO
Che veggo?
Questa è Cornelia. E come
uscì fuor della reggia in questi arnesi?

NIRENO
Placa l’ira, o signor. Costui, che porta
nella tenera imago
di Cornelia l’effige, il volto vago,
con quella s’introdusse
dentro la reggia. E cavalier romano
Scipion s’appella, è suo minor germano.

TOLOMEO
Oh come porta in volto
il volto di colei, che il cor m’ha tolto.
Si trattenga il guerrier.

CORNELIA
Stelle! Che fia?

NIRENO
(piano a Cornelia)
Deh taci! Non dir altro.
(Quanto giova alle volte un paggio scaltro.)

TOLOMEO
Costei, che per germana aborro, e sdegno,
si conduca alla reggia, io colà voglio.
Che ad onta del suo ardire
genuflessa m’adori a piè del soglio.

CLEOPATRA
Senti, barbaro, senti. Io dalla sorte
vedrò domato il tuo superbo orgoglio.
La fortuna è una sirena.
Ci lusinga, e ci tradisce.
Con l’inganno ci ferisce,
prima alletta, e poi dà pena.
La fortuna è una sirena.
Cieca sorte è una tiranna.
Ci dà morte con l’amplesso,
il diadema bene spesso
cangia in ceppo, ed in catena.
Cieca sorte è una tiranna.

Scena quarta
Tolomeo, Cornelia, Nireno.

TOLOMEO
Odi, o Scipione. In questa man reale
sta chiusa la tua sorte.
Cornelia, tua germana
prigioniera è d’un re. Se ti dà core
di far, che in questa notte
volontaria m’accolga entro il bel seno,
a momenti vedrai
ciò, che per te sa far un dio terreno.

NIRENO
(piano a Cornelia)
Di secondar tu fingi ‘l suo desire.

CORNELIA
M’adoprerò per compiacerti, o sire.

TOLOMEO
Niren dentro la reggia
ti servirà di guida.

NIRENO
Obbedirò, signore.
(Folle colui, che di garzon si fida.)

TOLOMEO
Vieni, procura, e prega.
A intercessor, che può, nulla si niega.
Chi mi dona un bel sen, mi dona un mondo.
Una donna, che sia bella,
stimo più d’ogni tesoro.
E fra tutte assai più quella,
nel cui sen diluvia l’oro
d’un capel sottil, e biondo.
Chi mi dona un bel sen, mi dona un mondo.
Più del sole stimo ognuna.
Ogni bella più d’ogni astro.
Stimo più d’ogni fortuna
un bel petto d’alabastro,
nel cui latte mi confondo.
Chi mi dona un bel sen, mi dona un mondo.

Scena quinta
Cornelia, Nireno.

CORNELIA
Amico, se in virtude
dell’opra tua restò il tiran deluso,
io di avanzar prometto
le tue fortune alla romana corte.
Seguimi a Roma.

NIRENO
Vengo.
Spesso cangiando ciel si cangia sorte.

CORNELIA
Sin che il fato sì crudo sarà,
penerò,
languirò,
ma quest’alma giammai cederà,
sin che il fato sì crudo sarà.

Scena sesta
Curio, Giulio Cesare inosservati. Achilla steso sul margine del porto mortalmente ferito. Cornelia, e Nireno in atto di partire.

GIULIO
All’ondoso periglio
tolto, o signor, sull’arenoso piano
io ti depongo imperator romano.
Egitto traditor! Rege inumano!

ACHILLA
Hai vinto, o fato.

CORNELIA
Quai tronche voci?

ACHILLA
Avete vinto, o stelle.

CURIO
Due guerrieri, o signor.

GIULIO
Taci. In disparte
de’ loro accenti al suono
udir potremo, e penetrar chi sono.
(si ritirano in disparte)

CORNELIA
È questi Achilla in mezzo al sen piagato.

CURIO
Achilla è il moribondo?

NIRENO
Amico, amico.

ACHILLA
O cavalier ignoto,
che con voci d’amico
articoli ‘l mio nome,
deh se fia mai, che ti conceda il fato
di favellar un giorno
alla bella Cornelia, al sol di Roma,
dille, che quell’Achilla,
che consigliò del gran Pompeo la morte…

CORNELIA
Ah scellerato!

GIULIO
Ah iniquo!

ACHILLA
Che per averla in moglie
contro Cesare ordì l’alta congiura.

CURIO
Ah traditor!

GIULIO
Fellone!

ACHILLA
Sol per cagion di vendicarsi un giorno
contra il re Tolomeo
giunse in tal notte a spirar l’alma in guerra.
Questo sigil tu prendi.
Nel più vicino speco
cento armati guerrieri
a questo segno ad ubbidir stan pronti.
Con questi puoi per sotterranea via
penetrar nella reggia. E in breve d’ora
torre all’empio Cornelia,
e insieme far, che vendicato io mo… ra.
(spira)

NIRENO
Spirò l’alma il fellon.

CORNELIA
Tu scagli ‘n tanto
il cadavere indegno
del traditor nell’onde.

Scena settima
Giulio Cesare, che rapisce il sigillo a Cornelia. Curio. Nireno.

GIULIO
Lascia questo sigillo.

CORNELIA E NIRENO
Oh dèi!

GIULIO E CURIO
Che veggio?

GIULIO
Dormo?

NIRENO
Veglio?

GIULIO
Son desto?

CURIO
Amor, vaneggio?

CORNELIA
Signor.

GIULIO
Cornelia.

CURIO
Ella è pur d’essa?

CORNELIA
E come
vivo, o Cesar, e illeso
ti sottrasti alla parca?

GIULIO
Tra l’ondose falangi
io per aprirmi ‘l varco
feci notando al lido
del piede un dardo, e delle braccia un arco.

NIRENO
(a Cornelia)
Lo preservò per tua fortuna il cielo.

GIULIO
Ma tu come in tal spoglia
t’involasti al tiran? Come fuggisti?

CORNELIA
In sembianza d’eunuco
ricorro a Cleopatra. In tua vendetta
in abito guerrier seco mi vesto.
In marzial conflitto
del tiran prigioniera, ella rimane
ed io tolta al periglio
sospiro (ahi lassa!) in suo poter il figlio.

GIULIO
Non ti turbar, co’ le più sciolte schiere
mi porterò alla reggia.
Io m’aprirò con tal sigil l’ingresso.
O che terrò alla sorte
Sesto, e Cleopatra, o incontrerò la morte.
In difesa d’un sembiante
mi farò veder amante.
Avrà il piede scatenato,
chi mi stringe questo core
dentro il carcere dorato
d’un volume sfavillante.
In difesa d’un sembiante
mi farò veder amante.

Scena ottava
Curio. Cornelia.

CURIO
Cornelia, or di che spada
armi ‘l fianco amoroso, e di lorica
copri le membra tenere
di Pallade in sembianza è la mia Venere.

CORNELIA
Tali accenti sopprimi.
Ogni amoroso ardor risolvi ‘n cenere.
Mai più, mai più Cupido
di nodo marital m’avrà in catena.
Amar per pianger sempre è una gran pena.
Voglio perder questo core,
se mai più mi lega amore.
Egli ‘n van m’attende al varco,
tende invan per me su l’arco
l’aureo stral colmo d’ardore.
Voglio perder questo core.

Scena nona
Curio. Nireno.

CURIO
O d’implacabil alma
sovr’umana bellezza!

NIRENO
Curio, non istupir, se ti disprezza.
Non hai volto, che innamori.
Tu non hai labbra vezzose,
né pupille sì amorose,
che impiagar possino i cori.
Non hai volto, che innamori.

Scena decima
Curio.
Gradimento di fede in fin che trovo,
io pregherò ciascuna. I miei pensieri
rivolgerò a’ più soli in più sembianti
elitropi amorosi, e Clizie amanti.
Non diran tutte di no.
Sin che trovo una pietosa,
che non sia meco ritrosa
cento donne io pregherò.
Non diran tutte di no.
Sin che trovo un bel sembiante,
che m’accetti per amante
mille belle adorerò.
Non diran tutte di no.

Scena undicesima
Stanze reali.
Cleopatra. Sesto.

CLEOPATRA
La speranza mi parla nel core,
e mi dice, ch’avrò libertà.
La sua rota
sì fissa, ed immota
la fortuna non sempre averà.
La speranza mi parla nel core,
e mi dice, ch’avrò libertà.

SESTO
Libertà ti promette la sorte,
e mi dice, che l’empio cadrà.
Questa mano
regnante inumano
al tuo piede svenato darà.

CLEOPATRA E SESTO
La speranza mi parla nel core,
e mi dice, ch’avrò libertà.

CLEOPATRA
Sesto, sarà tua gloria
troncargli co’ lo stame ogni vittoria.

Scena dodicesima
Rodisbe tutta anelante. Detti.

RODISBE
Cleopatra, Sesto (oh dio!)
vincitor Tolomeo
Marte già abbandonò. Campion d’amore
lasciò l’aste pugnaci
e al campo del tuo volto
s’en viene per trattar l’armi de’ baci.

CLEOPATRA
Se vezzi, ed amori
tu finger saprai,
quel mostro de’ cori
svenato vedrai.
Se brami vendetta,
un bacio, che alletta,
tu finger dovrai.
Quel mostro de’ cori
svenato vedrai.
Se frodi, ed inganno
tu finger saprai,
trafitto il tiranno
al suolo vedrai.
Il cor d’ogni pena,
il piè de’ catena
disciolto averai.
Quel mostro de’ cori
svenato vedrai.

Scena tredicesima
Sesto. Rodisbe.

SESTO
Venga il crudel! L’attenderò in disparte.

RODISBE
In altra parte io corro.
Cadrà in tal di questo tiran, che aborro.
(parte)

SESTO
Non mi perdo di speranza.
Il suo verde m’alimenta,
e sostenta
immortal la mia costanza.
Non mi perdo di speranza.
(si ritira in disparte)

Scena quattordicesima
Tolomeo, che incontrata Rodisbe la riconduce seco. Dopo Sesto.

TOLOMEO
Rodisbe.

RODISBE
(Oh me infelice!)

TOLOMEO
Placasti ancor l’idolo mio superbo?

RODISBE
Mio sire, a queste stanze
volgesti ‘n vano il passo.
Ha nel tenero seno un cor di sasso.

TOLOMEO
Scipione, suo germano
saprà placar.

SESTO
(che sbalza fuori)
Chi placherà, inumano?

TOLOMEO
Te, mio bel sol.

SESTO
Non t’accostar.
(qui Sesto si lascia cader la gonna, e si fa veder armato di spada)

TOLOMEO
Che veggo?
Io son tradito.

RODISBE
Il ciel gli assista.

SESTO
Io sono
quel Sesto, o traditor, che nel tuo seno
sa far le sue vendette. Empio, ti sveno.
(mentre Sesto sfodera la spada, Tolomeo s’avanza, e d’improvviso lo afferra)

TOLOMEO
Contra d’un re? Garzon superbo, ardito
cedi quel brando.

RODISBE
Ohimè! Lo atterra.

SESTO
Iniquo ti svenerò.
(Tolomeo sottopone Sesto, a cui leva la spada)

TOLOMEO
Morrai sotto il mio piede,
o scellerato Sesto.

Scena quindicesima
Mentre Tolomeo sta in atto di trafigger Sesto, sopraggiunge Curio, che d’improvviso gli leva il brando. Detti.
Dopo ad un tocco di tromba Giulio Cesare con numerose Schiere.

CURIO
Ferma, o fellon. T’inganni.
Sesto non morirà.

TOLOMEO
Che miro?

SESTO
O sorte!

RODISBE
Quai stravaganze, o cieli!
(qua s’ode la tromba)

TOLOMEO
Ma qual fragor?…

GIULIO
Di Cesare all’aspetto
spoglia omai, traditore
del diadema real quelle tue chiome.
(gli getta di capo la corona reale)
Di re tu porti indegnamente il nome.

TOLOMEO
Cesare vive? Ah traditor. Achilla!

GIULIO
Vieni. Seguimi, o Sesto.
Ti renderò alla madre, all’aureo soglio
innalzerò Cleopatra, e voi, mie schiere,
incatenate il re fellon. Lo voglio
dall’aquila romana
divorato Prometeo in Campidoglio.
(parte)

SESTO
Empio titan cadesti pur dal soglio.
(segue Cesare)

TOLOMEO
(mentre vien incatenato)
Perfidissimi dèi!

RODISBE
Strani accidenti.

CURIO
Così sa Giulio Cesare in Egitto
vendicar o fellone i tradimenti.
Al traditor il tradimento è pena.
Con frodi, ed inganni
mai stabil non è
fortuna mortale,
o scettro di re.
Sovente a’ tiranni
il scettro reale
si cangia in catena.
Al traditor il tradimento è pena.

Scena sedicesima
Tolomeo incatenato. Rodisbe.

TOLOMEO
Fortuna, che m’atterri,
le tue strane vicende in me contempla.
Ieri re al trono, ed oggi reo tra ferri.

RODISBE
Non te ‘l dissi, figlio mio,
ch’eri troppo lascivetto.
Cieco amor ti bendò i lumi.
T’han punito i giusti numi.
Ora va’. Fa’ il superbetto.
Non te ‘l dissi, figlio mio,
ch’eri troppo lascivetto.
(parte)

TOLOMEO
Ah giusto è ben nel mio infelice stato,
che sieno uniti insieme
destin di pietà nudo, e re spogliato.
Crudo ciel, spietata sorte,
senza legge, e senza fede!
O voi datemi la morte,
o sciogliete questo piede.

Scena ultima
Salone reale.
Giulio Cesare. Cleopatra. Cornelia. Curio. Sesto.

CLEOPATRA
Dolce fiamma del mio seno,
sleghi ‘l piè ma non il core.

GIULIO
In quegli occhi…

CLEOPATRA
In sì bel volto…

CLEOPATRA E GIULIO
Porti l’arco,
sta raccolto
ogni stral del dio d’amore.

CLEOPATRA
Cornelia.

CORNELIA
Alta reina.

CLEOPATRA
Io pur t’abbraccio in libertà col figlio.

SESTO
Madre, da Curio solo
riconosco la vita.

CURIO
Altra mercede,
che il nodo marital, Curio non chiede.

CORNELIA
Or, che del gran Pompeo
vendicata è la morte,
ecco la destra, e con la destra il core.

CURIO
Io son beato, io son felice, amore.

GIULIO
Bellissima Cleopatra,
quel diadema, che miri, a te s’aspetta.
Tu con lo stesso crine
regina dell’Egitto
darai norma alle genti, e legge al trono.

CLEOPATRA
Cesare, questo regno è sol tuo dono.

GIULIO
Quel d’Arianna è in cielo,
io di corona in vece
poter vorrei quella sua fronte in terra
incoronar di stelle.
(Amor, chi vide mai guance più belle?)

CLEOPATRA
Tributaria regina
imperator t’adorerò di Roma.
(Amor, chi vide mai più bella chioma?)
Ho un’alma, che brilla,
ho un core, che ride.
Pupilla sì bella
e un sole, una stella,
che al regno m’arride.
Ho un’alma, che brilla,
ho un core, che ride.

Fine del libretto.

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