Il Pompeo

Dramma per musica

Libretto di Nicolò Minato
Musica di Alessandro Scarlatti

Prima esecuzione: 25 gennaio 1683, Roma, Palazzo Colonna.

Interlocutori:

POMPEO Magno tenore
CESARE console di Roma basso
SESTO figlio di Pompeo contralto
GIULIA figlia di Cesare contralto
CLAUDIO figlio di Cesare soprano
SCIPIONE Servilio soprano
MITRIDATE re di Ponto, privo di regno riconosciuto tenore
ISSICRATEA sua moglie, prigione di Pompeo soprano
FARNACE suo figlio fanciullo, prigione di Pompeo soprano
HARPALIA schiava di Issicratea tenore

Cori di Milizie, Schiavi.

Libretto – Il Pompeo

Ecc.ma sig.ra
Questo Pompeo, primario cittadino nella Roma repubblicana, che dopo tante gloriose battaglie per divertimento del popolo eresse con superbe strutture de’ marmi il primo teatro in Roma, oggi comparisce egli medesimo sul Teatro colonnese, ambizioso d’inchinarsi al merito singolarissimo di vostra eminenza. Ei nell’istesso tempo che vanta su’ carri trionfali le vittorie, conducendo prigioni, e riportando spoglie de’ nemici, si mostra schiavo d’amore. Non pregiudicano però simili catene alla magnanima libertà dell’animo di lui, poiché sempre i cavalieri grandi ebbero per gloria di soggettarsi all’imperio della bellezza.
Che se le nostre passioni si misurano dall’oggetto, dalla grandezza di questo invaghito il nostro appetito merita anzi lode, che scusa, mi persuado, che non vi sarà chi condanni ne’ suoi amori il nostro grande, se rapito dalle meravigliose bellezze di Giulia, confessa, che una nuova virtù lo illustra: e ne autentica l’assioma platonico Erote, che Amore vien detto, e gran genitore della virtù, la quale pur dicesi eroica, poiché per mezzo di essa ebbero nome immortale gli eroi, de’ quali così gran numero risplende nella prosapia de la Cerda, e colonnese. Mi si permetta adunque, che io dedichi le glorie del maggior guerriero, e le nozze della maggior dama, che vantasse in que’ tempi il Campidoglio, ad una principessa, quanto a me, la maggiore, che potesse venire dai regni delle Spagne, nella regia del mondo a recar per ornamento del cielo latino gli splendori de’ suoi natali, ed i raggi delle sue virtù. Io come servitore riverentissimo di questa gran casa, che ho altre volte avuto la fortuna di onorar le mie stampe coll’opere in essa non senza universal godimento rappresentate, mi faccio lecito di dare di nuovo alla luce questo dramma sotto la benignissima protezione di vostra eccellenza, sospendendolo alle sue trionfali colonne, come trofeo della mia servitù, e alle regie torri del suo stemma, come voto del mio ossequio, e umilmente me le inchino.

Roma 23 gennaio 1683.
Di vostra eccellenza
umilissimo servitore
Carlo Giannini

Al benigno lettore
Ti presento, o cortese lettore, in questo dramma il famoso personaggio di Pompeo lavorato di nuovo a mosaico. Tu ben sai che in simili figure ritrovandosi diversità di pietre, e varietà di colori, pur vi si mira con meraviglia la maestria dell’artefice. Vedrai quivi incastramenti di arie trasportate da diversi luoghi del medemo autore, che non escono però dal disegno, ne sconcertano i lineamenti del contorno. Tutto è seguito per maggiormente dilettarti, così richiedendo la delicatezza del secolo desideroso dell’opere ripiene di armoniose canzonette; mal soddisfacendosi di quei gravi e necessari recitativi dei Pastor fidi, delle Filli di Sciro, delle Aminte, e delle Arsinde. Non si può far altro, bisogna secondar la corrente, e conformarsi al genio universale.
Compatisci tu l’uso introdotto la necessità dei troncamenti delle scene, de’ personaggi, e di molte aggiunte; e loda il generoso pensiero di chi si affatica ne’ giorni carnevaleschi di nobilmente divertirsi. Or se per far venerabile l’arenosa, e vil tomba di Pompeo nelle campagne dell’Egitto, Codro soldato scrisse sopra di un sasso, non ostante i poetici risentimenti di Lucano:
Hic situs est magnus.
Basterà a me per renderti ammirabile quest’opera il dirti esser componimento del sig. Nicolò Minato. Ingegno, che ha fatto in tanti drammi stupir l’Europa, e meravigliar la fama.
Mi persuado in tanto, che egli per sua gentilezza saprà scusare la confidenza di chi ha quasi lacerato questa sua bellissima statua; ma tu nulladimeno dalle rovine di essa conoscerai la grandezza del colosso, come dall’unghia si ravvisa il leone. Sta’ sano.

Protesta
Si rinnovano qui le dichiarazioni già fatte dal medesimo autore in altre stampe, con le quali si è protestato, che le parole dèi, fato, destino, idolo, adorare, e simili, dovendo far parlare personaggi gentili, sono vaghezze, e necessità di poesia, e non sentimenti di chi professa di vivere, e morire cristiano cattolico romano.
Argomento di quello che si ha dall’istoria
Tre volte trionfò Pompeo in Roma. Il più pomposo de gli altri fu il terzo trionfo, nel quale condusse molti prigioni, e aveva soggiogate varie provincie, e diversi regni, e tra gli altri cattivi, condusse Farnace figlio di Mitridate re di Ponto, il di cui regno avea debellato. Mitridate fuggì vinto, e Issicratea parimenti sotto abito persiano, e egli consegnò ad Issicratea, e a suoi familiari il veleno, acciò costretti dalla fortuna a cader nelle mani de’ nemici, non avessero a rimanervi se non volontari, mentre se ne averebbero potuto liberar col veleno. Pompeo doppo questo trionfo si maritò a Giulia figliuola di Cesare, ch’era destinata a Scipione Servilio. Per condurre a fine le nozze di Pompeo, e tesser l’intreccio del dramma, si fingono li seguenti verisimili.
Si finge.
Che Issicratea con la presa del regno di Ponto fosse fatta prigioniera di Pompeo con Farnace picciolo suo bambino, ma non conosciuta, e che per il corso d’anni cinque avesse tenuto occulto il suo stato, e quello di Farnace, facendosi creder donna privata per tutto questo tempo, nel quale Pompeo guerreggiò, e ebbe varie vittorie, e finalmente venne a Roma trionfante.
Che Mitridate incognito arrivi in Roma nel dì del trionfo di Pompeo, per veder come si porti la moglie, e che Farnace cresciuto per il corso d’un lustro dalli due anni, che aveva all’or che fu fatto prigioniero, non conosca il padre, non gli lo permettendo l’età, in cui fu preso, e il tempo trascorso.
Che d’Issicratea fosse innamorato Sesto figliuolo di Pompeo, ma che, credutala privata, frenasse il suo amore, come che per l’incontro scopertala regina, gli lo palesasse, ma che da lei rigettato, riduca l’affetto a modestia tale di non esser mai per oscurare la di lei fama.
Che Scipione, a cui era destinata Giulia per sposa, vedendo Pompeo di lei innamorato domini i suoi affetti, e risolva ceder il suo amore a quello di Pompeo per generosità d’animo.
Con questi verisimili suppositi si forma l’intreccio di questo dramma, a cui presta il nome Pompeo.

Atto primo

Scena prima
Piazza di Trionfo con portici di palazzo.
Pompeo sopra un carro, Cesare, Claudio, Sesto, Issicratea, Farnace, Milizie, Schiavi, e Harpalia.

CORO DI MILIZIE
Ecco arriva
chi soggioga le provincie,
chi di fasto i regni priva:
viva, viva.
Per far serti immortali a le sue chiome
crescan lauri al Tebro in riva.
Viva, viva.

CESARE
Vieni felice, vieni,
o gran Pompeo debellator de’ regni,
che di duo poli opposti
sotto il giogo latino
le regioni unisci, e trionfante
hai posto i ceppi al Gange, e al mar d’Atlante.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
Per vedere il libretto completo diventa parte di "Opera Libretto Club".
È gratuito, basta che ti registri qui sotto (nel form dopo quello per gli utenti iscritti).
Se sei già iscritto, effettua il log in.

This content is restricted to site members. If you are an existing user, please log in. New users may register below.

Accesso per utenti iscritti
   
Registrazione nuovo utente
*Campo obbligatorio