Site icon Opera Libretto

Libretto “Isabeau” di Pietro Mascagni

Isabeau

Leggenda Drammatica in tre parti

Musica di Pietro Mascagni
Libretto di Luigi Illica

Fonti letterarie: Leggenda di Lady Godiva
Prima rappresentazione: 2 giugno 1911, Teatro Coliseum di Buenos Aires.

Personaggi
Isabeau
Ermyntrude
Ermyngarde
Giglietta o Giglieretta
Donne di popolo
Dame della corte
Folco
Re Raimondo
Messer Cornelius
Il Cavalier FaàDit
L’araldo Maggiore

Arundel di Westerne
Ethelbert D’argile
Randolfo di Dublino
Ubaldo di Guascogna

Dignitari e Consiglieri del trono
Paggi – Famigli – Donzelli
Scudieri – Araldi – Armieri
Gente di Popolo e di vassallaggio

Libretto – Isabeau

L’EPOCA
A’ bei di lontani
quando la Leggenda correva il mondo,
quando, al caldo soffio di una primavera di idealità ,
su da tutte le terre pullulava il fiore della Fantasia
e sbocciava l’Eroe o l’Eroina, giù nei tuguri
o su in alto nelle aurate Reggie,
tra i figli della gleba e del bosco
o tra le bionde pulzelle incoronate:

PRIMA PARTE

IL MATTINO

LA SCENA
Dove ha la sua reggia il vecchio Re, piuttosto che un Castello,
è un palazzo aperto poichè, invece che muri, intorniato da
corsie a larghe arcate su colonne binate che lasciano libere
passare aria e luce e insieme sguardi, suoni, voci, clamori e
giubili, tutte le espressioni di vita infine di un popolo e di
una città .
La magnifica « Rotonda » – la gran sala a Reggia che si
disnoda obbediente seguendo la curva che le impone l’ampio
scalone a spirale che ne forma la vertebra — domina alto tutta
la città ; la piazza turrita le si allarga innanzi; dove dovrebbe
cadere o sollevarsi un ponte levatoio, o stridere saracinesca
e catena, una larga gradinata, per la maggiore arcata che un
ricco e pesante cortinaggio chiude, si stacca e scende giù nella
piazza. Così la Reggia penetra dentro nella esistenza del suo Regno!
Il ponte levatoio – così come fu de’ muri intorno e dei fossati –
amore di Re e di popolo l’hanno soppresso.
Questa gradinata che unisce la Città  alla Reggia è dunque il
simbolo di un saldo e forte abbraccio fra popolo vassallo
e Re Raimondo.
Dalla piazza sguisciano, diffondendosi capricciosamente, strade
che per altre vie, per viuzze, per viottoli corrono per tutta
la Città ; cosicchè dalle arcate, dalle ampie finestre colonnate
in alto, dal suo giardino pensile e dalle ogive di una cappella
votiva che lo fronteggia, il meraviglioso spettacolo di tutta
la Città , fino al mare da un lato, fino ai monti dall’altro,
è sempre aperto innanzi agli occhi del vecchio Re.
Non atrii, non vestiboli quindi; la gradinata per la arcata
maggiore introduce subito nella Sala che è Sala di Trono e
di Giustizia, di Editti e di Convivii, di Corti Bandite e di
Adunanze, sala a tutto, per tutto e di tutti.

Come RAIMONDO RE – mortigli nelle lotte per il Regno
i suoi due figli maschi – nella assenza della unica figlia
Isabeau la casta e sempre velata Reginotta, ita colle due fide
ancelle Ermyntrude ed Ermyngarde in pio pellegrinaggio a un
santo eremo tra i monti, avendo dato ascolto finalmente ai
consigli per alta ragion di Stato suggeritigli dal suo Cancelliere
CORNELIUS: Sulla suprema necessità  di essere finalmente più
« Il Re » che « il Padre!»; udisse al ritorno degli araldi ripetere
il bando della « Lizza aperta per una Tenzone di Amore »
onde, nel vittorioso cavaliero, trovare un marito ad Isabeau
casta ed al Trono un successore:

Sta IL VECCHIO RE in atto di supremo scoraggiamento
seduto in trono, il capo abbandonato sul petto.
In diversi atteggiamenti lo intorniano, muti, i suoi
Dignitari, il suo Cancelliere Cornelius, uomini di
scienza, di religione, d’arme e di giustizia.
Ed ecco, dalla sottostante piazza, un clangore
improvviso di clamanti, tube.
E di nuovo e più squillanti le tube convocano!
Or ecco; tuona una voce solenne e grave:
È la voce di

ROGER ARALDO, MASTRO DI CAVALLERIA:
Oggi, dì quinto del Fiorito Maggio – nell’anno
del Signor mille e dugento –
nel nome del possente nostro Re
– apro la Lizza a una
« Tenzon d’amore » !
« Per gli occhi del Core » è il Motto . .
e indìce l’armi:
(La voce dell’Araldo si fa ora più enfatica ed anche più
solenne nell’esporre le condizioni della Lizza Cortese che
spiegano il Motto:)
Non con ferro ferir di lance, stocchi,
azze o pugnali, ma ferir « cogli occhi: »
Non sorte d’armi ma l’umano ardore
d’una pupilla che riveli: Amore!
Avrà  in soave premio il Vincitor:
« d’Isabeau casta la persona e il cor! »

(E più energicamente trionfali concludono le tube.
Gli araldi, si allontanano per altri crocicchi delle Città
traendosi dietro il tumulto delle voci e della curiosità  umana.)
Sempre silenziosi i Dignitari del Trono, i Consiglieri
della Corona, Messer Cornelius sopra tutti., il Cancelliere
del Regno – l’uomo politico, il cortigiano necessario;
il consigliere di ogni giorno, di ogni ora – stanno innanzi
al vecchio Re, immoto sempre, come se non ne avvertisse
la presenza, come se non li vedesse!

MESSER CORNELIUS:
(colla sua voce si frappone
e arditamente scuote il Re
dalle sue meditazioni:)
Squillan le tube e vociano gli Araldi!
Erette innanzi alla Città  gli stanno
le colorate tende a Motti e Imprese
che la Bellezza Casta d’Isabeau
qui radunò! Da’ monti già , dall’Eremo
dove pietà  la fè pellegrinare,
l’Unica Figlia Vostra torna…

RE RAIMONDO:
ora sì che si scuote tremante di emozione!
Torna?…

(Fra la canzone silvestre e la nenia religiosa, lontana ancora,
si fa sentire una musica tenue, dolce, blanda; viene da quei
monti che sull’orizzonte alto si disegnano e fanno da due
lati corona alla Città .)

MESSER CORNELIUS:
In punto! Udite?…
(E avvicinatosi alla più vicina arcata
vi solleva i1 corti.
naggio perchè più evidente
quella musica possa penetrare
nella Reggia.)
E udite?… Glorie ed Inni!
(Clamori festosi infatti sorgono per incanto dalla Città )

VOCI D’UOMINI, DI DONNE, DI BIMBI:
(di lontano sussurano
laude festose di gioia popolare,
ma mite e soave
come una carezza o una preghiera.)
Sulla fida chinea
bianca e stellata
ritorna Reginotta
dal pio pellegrinaggio.
Lungo il viaggio,
per il monte e per vallea,
l’ha il suon d’una villotta
accompagnata!
(e in un immenso impeto di amore
tutte le voci inneggiano:)
« Gioia di cuori e d’anime, Isabeau,
alfin fai ritorno!… »
(e gli occhi del vecchio Re
si velano di lacrime.)

MESSER CORNELIUS:
(se ne avvede e con voce
in apparenza sommessa)
Mio Sire, è il giorno
che inizia un avvenir!
(e per meglio spiegare il suo pensiero:)
Unica figlia?
Nell’Utopia di castità  racchiusa?
Dunque?
(e dopo breve pausa arditamente)
Un marito a lei, a Voi un successore!

RE RAIMONDO:
(sotto lo stimolo aspro di queste parole,
come se ritrovata ancora l’antica energia:)
Isabeau venga!… Ed io le parlerò.

(Allora, ad un rapido accennar degli occhi di Messer Cornelius,
il gran Cerimoniere fa subito portare da paggi,sopra un cuscino
di velluto, la Corona e lo Scettro.)

MESSER CORNELIUS:
(piegando un ginocchio presenta
egli stesso questi emblemi;
con voce solenne:)
Obliate il Padre! – Siate solo il Re…
il Re!, il Re!

RE RAIMONDO:
(commosso, posata la mano
sulla Corona e sullo Scettro)
Soltanto il Re sarò.

MESSER CORNELIUS:
(rapido afferra la mano del Re;
rispettosamente la bacia;
poi, sollevandosi, trova modo
di insinuare nell’animo di Re Raimondo
un consiglio che può essere un sospetto:)
Non già  ch’io pensi a una fattucchiera!
(e guardandosi intorno,
e visto che nessuno può udirlo.)
Fate che svesta il manto…
(e conclude il suo intimo pensiero)
È troppo pia.

(Con triplice inchino i Dignitari del Regno
si accomiatano ed escono tutti.)
E Re Raimondo rimane solo.
Come ISABEAU, tornata dall’eremo fra monti, invece che il
padre, sempre troppo proclive ad esaudire desideri e capricci,
si ritrovasse di fronte un Re risoluto ed inflessibile:
Dall’alto dello scalone irrompe vivido il sole proiettando
giù per i gradini e sul pavimento della sala, disegnandola
con contorni precisi; l’ombra di una fanciulla.
È Isabeau.
Come sempre tutta chiusa in un manto fatto di un denso
velo tutto bianco, celebre oramai per tutta la cristianità ,
Isabeau si sofferma e guarda.
Tenuto fermo da un cerchietto d’oro, che sulla fronte
lascia piovere la lagrima purpurea di un rubino, il gran
manto incornicia, nascondendo la biondissima chioma,
il puro ovale del viso, e scende, e avvolge tutta la persona
come dentro ad una vaporosa nuvola candidissima.
Non un riccio ribelle della chioma d’oro sfugge alla severità
delle pieghe! La fanciulla è ermeticamente chiusa dentro
il suo candore.

ISABEAU:
(su l’alto dello scalane,
visto il Re suo padre, con profonda
dolcezza di voce lo avverte
della sua presenza chiamandolo:)
Mio padre…

RE RAIMONDO:
(subito con inusata severità 🙂
… Il Re

ISABEAU:
… e Re!…
(e discende sempre irradiata dal sole,
rivolgendo sempre
il suo parlare carezzevole
al Re suo padre:)
… e Re saggio!…
Re di virtù!… Re Pio!…
Re fatto per la gloria,
ma, per l’amor, Re fatto padre mio.

(e, giuntagli vicina, protende la fronte alle labbra di lui,
Ma, oggi, nessun bacio sfiora la bianca fronte.)

RE RAIMONDO:
Ma, sopratutto, il Re!

ISABEAU:
(guarda allora can pupilla sorpresa;
e rimane interdetta;
e facendosi anche più pallida,
tutta in corruccio:)
Se voi volete ch’io mi genufletta.
ditelo, padre… e Re!,
e sono a’ Vostri piè.
(e così fa; e si genuflette
non lasciando al Re suo padre
il tempo di impedirnela; e, genuflessa:)
Ma poi, come fa il Sole all’orizzonte,
dite, volete ancora
ch’io faccia Aurora?,
che mi levando
chiami, passando,
pel vostro core un bacio alla mia fronte’:

(e la Fanciulla si solleva, e sollevandosi bacia dove dentro
batte affannoso il cuore di suo padre, protendendo ancora
alle sue labbra insistendo la fronte. Ma nessun bacio ancora
corrisponde al bacio suo!)

RE RAIMONDO:
(compreso dalla necessità
di una severità  regale, sa dominarsi
imponendosi un contegno
apparentemente grave e solenne:)
Vassalla tu non sei! Legge fatale
anco regge il volere de” monarchi.

iSABEAU:
(guarda, soffocando un rapido grido
di angoscia. Poi le balena
un vago sospetto,
il volto le si infiamma e scolorisce rapido:)
Che vuolsi da me?

RE RAIMONDO:
Prima di padre fui e sono il Re.
(E passa un lungo silenzio.
Fiera lotta nell’anima di un vecchio
fra dovere ed affetto!
Ma la Ragion di Stato vince
nei Re il sentimento.
L’oro di una corona e il ferro di un anello
non sono forse che
gli opposti capi della lunga catena
che inceppa anime,
menti, volontà , e la vita.)
Già  per le terre e cartella fei bandita
la bionda tua bellezza,
Oggi inaurora in te una nova vita;
finì la fanciullezza.
Or oggi è qui, da Feudi e Reami,
d’ogni lontan paese
accorsi son bei Siri a stormi, a sciami,
alla Lizza Cortese.
(e parlando rapido, Re Raimondo,
sollevando i cortinaggi
delle arcate, mostra a Isabeau
l’accampamento delle tende
de’ cavalieri accorsi.)
Dell’avvenir la porta misteriosa
così schiudo per te;
e tu, Figlia di Re, sarai la sposa
e la madre di Re.

ISABEAU:
(ora non più tremante,
ma calma e pallida, raccogliendosi
tutta entro il suo manto:)
Voi siete il Re… Io suddita?… Obbedisco!
e fa per allontanarsi.

RE RAIMONDO:
(punto a questo contegno,
perchè Isabeau non esca così,
si frappone:)
Oggi, alla Lizza, qui, tu apparirai
in veste aperta; non in chiusa tonaca;
senza quel manto che ti sforma in monaca
e tutta ti nasconde…

ISABEAU:
(dà  in un grido di sdegno
e sempre più racchiudendosi
stretta nel manto:)
No! Giammai!
Giammai!
(e, poi che suo padre con occhio corrugato
la fissa, anche più veemente:)
Giammai!
(poi sono le lagrime che le velano gli occhi)
Impormi, o padre mio,
puoi sorte di torneo… E obbedirò,
il manto padre?…
(e sollevando al cielo le braccia)
Io mi rifugio in Dio!,
io qui lo invoco!, e qui rispondo: No!
(poi gli occhi baleatano
di una subita fierezza)
Questo mio bianco manto
è l’alta gloria che mi fa sicura
e mi fa forte quanto
un cavalier in ferrea armatura.
(e fissando coraggiosa negli occhi
suo padre il Re:)
Il fior d’ogni Arte a Voi,
Guerra, Dottrina, Imperio e Libertà ;
solo l’Amore a noi
e, in sua difesa, sol la Castità ,
onde nel pensier mio
dissi al mio manto:
« Tutta in te m’ascondi
e contro ogni desio
fa immuni tutti i miei misteri biondi! »
(poi, tutta trasformata,
la bella persona eretta, forte in
questa sua energia verginale,
lasciandosi cadere ai piedi
del Re suo padre:)
Solo una grazia, o Re, voglio impetrar.

RE RAIMONDO:
(commosso:)
Chiedi, Figlia!…
e fa l’atto di volerla rialzare.

ISABEAU:
(con rapido gesto ne lo trattiene
e così, sempre
ginocchioni, indicando il manto:)
Se questo mio candor
o Destino, o Poter osasse disfiorar,
sia Destino o Poter solo d’Amor!
(e sollevandosi lentamente)
Allor da questo puro manto mio
saprò umanamente uscirne fuor
si come a Maggio verso il cielo e Dio
dal grembo della Terra n’esce il fior.
(e mentre Re Raimondo,
vinto da suprema ammirazione,
non potendo per la grande commozione
parlare, accenna: )
« Che sì »
«Che il tuo volere sarà  rispettato! »

(Isabeau sale lentamente verso l’Oratorio.
La segue Re Raimondo con gli occhi umidi di lagrime,
in preda ad un’angosciosa emozione; e scomparsa Isabeau
scoppia allora in dolorosissimi singhiozzi e si rifugia
nella intimità  del suo appartamento perchè nessuno
sorprenda un Re che piange.)
Rapida la Sala si trasforma; paggi, donzelli, famigli in un
lampo vi dànno assetto per prepararvi l’avvenimento della
«Lizza Cortese». Ecco di fronte al Trono del Re, dove per
lo scalone si apre in nicchia, il faldistorio per Isabeau!
Ecco dall’alto, fra gli intercolonni pendere arazzi, zendadi,
drappi! Poi, la Sala pronta, ecco d’un lampo dileguarsi tutti
per addobbare fuori tutto intorno la Reggia!
Come la vecchia boscaiola GIGLIETTA, o Giglieretta,
presentendosi vicina a morte, non avendo più di tutta la sua
vita che un nipotino, FOLCO, garzoncello fantasioso e bizzarro,
pensando alla popolarità , di già  fatta leggenda quasi, e alla
fama di grande pietà  e di affabile generosità  di Reginotta,
nella speranza di una sorte, di un avvenire di fortune e di
grandezze per Folto, proprio in questa incoraggiante alba
rosea di giorno sereno, risolvesse, uscendo per la prima volta
dal suo bosco, di portarsi alla Città  con Folto, di presentarsi
a Reginotta e di pregarla per farne del selvaggio boscaiolo
sognatore di caccie un azzimato paggio o, meglio, un destro
falconiere di Corte:

GIGLIETTA:
(a Folto, che, vinte le prime esitanze,
osa entrare e guardare arditamente:)
Entrar così?…

FOLCO:
Vorreste zazzeare,
O nonna, tutto il dì?

GIGLIETTA:
(vedendo il giovinetto
ad un tratto come preso egli pure
da soggezione, soffermarsi:)
Or tu perchè t’arresti?

FOLCO:
(vergognoso e facendosi tutto rosso
per essere stato colto in fallo di timidezza:)
Io? Per guardare!

(E nonna e nipotino continuano ad osservare intorno ogni cosa
riguardosi e ammiratori pel grande splendore e la ricchezza:)

GIGLIETTA:
E non anima!…

FOLCO:
Stiamo
ed attendiamo
calmi ed onesti!
(E stanno così un po’ in attesa,
in silenzio, calmi ma perduti là
dentro come se inanimati.)

GIGLIETTA
Del nostro bosco in fondo
ben io vorrei
trovarmi ancor!… laggiù!…
ove declina
a valle, pei
meandri ombrosi,
o per i gioghi su
de l’alto monte,
dove goccia la fonte, parla la calandrina
a’ pettirossi ascosi…
… o in capo al mondo!

FOLCO:
Non muterei!…
(e guardando intorno, anche più forte:)
Non muto
per oro o gemma!,
chè se più guardo attento
e con gli sguardi agogno
fregio, cortina o stemma
io tutto mi rammento!…
Qui tutto ho già  veduto!
Qui tutto io già  conosco!
Qui già  son io venuto!

GIGLIETTA:
Or quando?

FOLCO:
Non lo so!

GIGLIETTA:
E dove?

FOLCO:
Là !… nel bosco!…
dentro il mio sogno!

GIGLIETTA:
Ancor?… Sempre?…

FOLCO:
Sapete,
che cosa è il sogno

GIGLIETTA:
(incollerita)
Il sogno è quella strana
mattana umana
che a fin del dì
non posa ma travaglia
e dà  battaglia
e, pure, s’anco annotta,
niuna dà  tregua a lotta…

FOLCO:
No, nonna! Il sogno è Dio;
rivelazione sempre o profezia!
È Dio che mi rivela un mio desìo
o del destin mi svela la mia via?
(e rimane assorto gli occhi affascinati
ancora rivivendo la sua visione, il suo sogno:)
Sogno se poso; se non dormo è Dio
che con carezza d’aria, melodia
di luce e sole, del fuggente rio
col murmure o de’ fior la poesia
nell’Invisibil parla!… L’occhio è cieco
al gran guardar; ma il core l’ha sentita
la voce del mistero che in me reco…
si arresta un momento… poi:
Ecco il mio sogno!
(addita intorno a sè e,
tendendo l’orecchio come se udisse:)
Ascolti?… « È la tua vita! »
È Dio che parla!… La sua voce è l’Eco
dei cieli!…
(Ma una voce severa bruscamente lo interrompe:)

MESSER CORNELIUS:
(sorpreso di veder questi intrusi:)
Voi, chi siete?

GIGLIETTA:
(inchinandosi umile)
Giglietta o Giglieretta!… A Reginotta
porto colombe bianche e un nipotino…
(Apre il cesto che ha con sè,
mostra le due colombelle
e indica Folco:)
E tutto per la grazia d’un destino!

MESSER CORNELIUS:
Via in fretta!… Il tacco alzate!…

La speranza di GIGLIETTA o di Giglieretta in un avvenire
di fortune e di grandezze per FOLCO suo ecco improvvisamente,
come se per arcano volere di un destino, presentarsi di colpo
nella persona appunto della pia e casta REGINOTTA:

ISABEAU:
(Esce appunto ora dalla Cappella
avvertita la voce di Cornelius,
ascolta; e vedendo la vecchierella
faticosamente ritirarsi
traendosi abbracciato
il fanciullo accorato, interviene:)
Messer, lasciate!
(Scende; e rivolgendosi a Giglietta
con voce che.riesce
a incoraggiare la vecchierella:)
Son io la Reginotta!
Or dunque di’ quel che ti ha condotta.

GIGLIETTA:
O Reginotta bionda, moribonda
ho fatto molta via
per rovi, covi e spine
– credi? – per far così!:
si prostra e le bacia i piedi:
« baciarti i’ piè! »
Due colombelle bianche ti vuol dare
la vecchia vagabonda
perchè tu, buona, voglia riguardare
con tue luci turchine
quanto mi resta della vita mia.
(Presenta colombelle e Folco)
Ecco!… E’ qui tutto!… E m’è rimasto solo!…
E’ nato boscaiolo;
ma avvenne un giorno,
ch’ei vedesse una nobil cavalcata
pel bosco intorno
cacciare!… e fu finita!
Da quel dì la sua vita
mutò! Poi?… Pensa e pensa!,
e agogna!…
e sogna!…
Oh, la vita agitata!
Io, un po’ melensa,
con Folco (è il nome suo)
mi sono detto allotta
« Andiam da Reginotta
per dirle: Fallo tuo! »

FOLCO:
(dal momento che gli è apparsa Isabeau
non ha più battuto ciglio, nè ha quasi respirato;
rimane come uno cui d’improvviso
manchi il senso della vita. Pallido in viso,
poi subito di fuoco e, finalmente, insofferente,
a malapena lasciata finir la, nonna,
come se vergognoso
del piccolo dono delle colombelle:)
Non colombelle!… Il dono mio chiamare
voglio dal cielo; e spazio vincerà ;
e sotto il sole lo vedrai passare
al trionfal mio grido… e scender qua!

ISABEAU:
(sorpresa alla foga ardimentosa
del dire di Folco)
Un tuo dono?… Dal cielo?…

FOLCO:
Sì, dal cielo!
(e corre all’aperto;
e con grido di falconiere,
acuto e vibrante,
emette tre lunghi richiami,
come provetto strozziere, ed ai richiami
vi aggiunge l’eccitamento della voce sua:)
Tu ch’odi lo mio grido,
scruta la via del cielo con lampo d’iri nera,
e con fremiti d’ala gonfia la tua gorgiera,
e abbandona il tuo nido!
Ti elèva e, ancor selvaggio,
non anco incappucciato ma domo al mio pensiero,
orsù, vieni al mio grido!, t’apri in cielo un sentiero!,
vinci la nube e il raggio!
Dalla montagna brulla
ver’ l’alto cielo ascendi!, appronta sproni e artiglio?,
protendi acuto il rostro e scendi al bianco giglio
d’una regal Fanciulla!
Fuori del bianco vel
essa la man già  tende!, e tu rafforza il vol!,
portale in don la Gloria d’un raggio tolto al Sol.
cavaliero del ciel!

(E come se venisse dal sole, ecco, al richiamo di Folco,
attraverso a boschi e campi, alto passando pel cielo, volare,
scendere, e posarsi sul pugno che il giovane gli stende,
un magnifico falco selvaggio ancora, eppur già  domo.)

(Piegato il ginocchio, orgoglioso, Folco presenta a Isabeau
il dono di quel falco obbediente, domato senza cappuccio,
senza ghiera, attrezzo od utensile di falconiere o di strozziere.)

ISABEAU:
(stende la mano inguantata; il falco, posandovisi, vi imprime
una piccola macchia rossa, è una goccia di sangue:)
Macchia di sangue?…

FOLCO
(sorridendo)
Il mio!
(e mostra trionfalmente,
sollevandola, la mano graffiata)
Lieve ferita!
Goccia di sangue che rifulge e brilla
come il rubin che in fronte ti scintilla?
Chi tenta il sol dovrebbe dar la vita.
(Ad una delle sue ancelle,
Ermyntrude ed Ermyngarde, seguite
da un paggio, Isabeau
affida le colombelle, e il falco a1 paggio:)

ISABEAU
(a Giglietta)
O vecchietta, sia fatto il tuo voler;
accetto le colombe e il falconier!
(E Isabeau, a quei suoni
che le annunciano già  la «Lizza Cortese»,
risale alle sue stanze.)
Così avviene dunque – come fu ed è di bel nuovo ancora
annunciata a suoni di tube e di timballi e a grida d’araldo –
che i contendenti, attratti dalla fama della beltà  di ISABEAU,
si presentassero alla « Lizza Cortese » in questa ampia sala
gaia di sole, di colori, di trionfi, di balenii, di sfolgorii di
gemme, meraviglie, dovizie, tumultuosa di popolo festante
ed ansioso. E’ così anche avviene che, nella furia di curiosità
dal popolo sospinti, GIGLIETTA e FOLCO assistessero ad
un magnifico spettacolo: e come invece rimanessero in ultimo
delusi e il RE, e Messer CORNELIUS, e i contendenti tutti;
(Ecco l’ora della « Lizza Cortese »!
La « Folla » che si stipa giù nella piazza nei pressi della
Reggia, mormora, strepita, acclama.
Echeggiano tube e brontolano i timballi.
Scalpitano cavalli per le vie tortuose della città  su i
lastrici della piazza)

LA FOLLA:
(erompe in un tumulto di grida festanti
all’apparire del Corteo
de’ Contendenti:)
Onde di polve – si elevano pe’ campi
su dell’aperta piana!
Guizzan faville, lampi,
fulgori ed ori!
Tutto sconvolve – l’Amorosa Gualdana
anime e cori!

LE DONNE
(che inneggiano affascinate)
In cor la brama, Amor cavalca in groppa
e li sospinge qua,
e dietro a un sogno ognun d’essi galoppa,
un sogno di Beltà .

TUTTI
(tumultuando, scoppiano grida
di meraviglie alla vista della
Città , della Reggia e della Sala pavesate: )
A festa palvesata tutta abbaglia
la Città  bianca…
(E la folla si rovescia nella Sala,
dentro a sè sospingendo
Giglietta e Folco…)
(Appare Messer Cornelius
intorniato da tutti i Dignitari)

MESSER CORNELIUS:
(vede quel tumulto di popolo;
con voce irosa, a tutta forza di polmoni)
Indietro la canaglia!

(A calci di ronconi, a punzoni di labarde corsesche e picche d’armieri
che accorrono, la folla è sospinta e stipata alle pareti e cacciata su per le scale che mettono alle gallerie e a corridoi.)
(Giglietta e Foleo riparano dietro una colonna.)

FOLCO:
(alla nonna)
Che avviene qui dunque, nonna?

GIGLIETTA:
(più sorpresa e intontita di lui)
Non lo so.

ALCUNE DONNE:
Si fa sposa Isabeau..

FOLCO:
(con gioia repressa)
(La rivedrò).

(Ed ecco il Re.
E, subito dopo, ecco il Corneo de’ Contendenti.
Ognuno è preceduto da due famigli e seguito da scudiero, mastro
di casa e paggi. Improvvisamente, in ultimo, in armi nere, senza
seguito, solo, collo scudo coperto da un drappo nero, indizio di
impresa, motto e stemma vietati o rinnegati, senza cimiero e corona
l’elmo che tiene penzoloni a spalle avanza un cavaliero.
È un Cavaliero Faïdit.
Corre un grido di stupore, e di sdegno!)

MESSER CORNELIUS:
(gli si avvicina e lo affronta…)
Scudo coperto?…
Niego la contesa.

IL CAVALIER FAàDIT:
M’appello al Re!

(E in mezzo al più profondo silenzio
ed alla più ansiosa curiosità  il
Cavalier Faidit si avvicina al Trono,
piega prima il ginocchio, e,
più rapido ancora, solo per il Re,
solleva il drappo che copre lo stemma.
Al Re sfugge un grido di suprema sorpresa;
ed a Cornelius che lo
guarda interrogandolo, accenna di sì,
che il Cancelliere gli dia diritto di campo.
Or ecco Isabeau.
Reginotta si presenta fra le due fide
ancelle Ermyntrude ed Ermyngarde.
Si avanza lenta, chiusa in un manto ricco
di ricami e costellato di gemme
bianche, la perla e il diamante.
Isabeau non siede; ritta innanzi al faldistorio
sta la fanciulla calma, eretta la bianca persona,
immobile, gli occhi semichiusi, in attesa.
Già  sul tavolone dal tappeto stemmato gli scudi,
i blasoni, gli stemmi a fascie,
lionati stellati, a bande, a sbarre, a fascie,
grembiati, inquartati, partiti, spaccati,
interzati, a croci, a simboli sono in bell’ordine.
Or ecco squillano le trombe.
È il segnale. Il Re con un cenno
di mano apre la « Lizza Cortese ».
Squillano di nuovo le trombe.
L’Araldo Maggiore prende posto
nel mezzo della Sala e col bastone ricoperto
di velluto dirige.
Ecco il primo Contendente.
Tutto chiuso in armi si avanza, si inchina al Re.)
(I paggi portano e ne presentano lo scudo a )

MESSER CORNELIUS,
(che ad alta voce rivela
il nome del Cavaliere Contendente:)
Ubaldo di Edimburgo

(e con un gesto accenna all’Araldo che,
a sua volta, grida e palesa i diritti
di cavalleria, la nobiltà , i pregi di nascita,
di casato, di valore, i fatti d’arme
del Contendente.)

L’ARALDO
Terre. Castella, Feudi, cento còfani d’or.

UBALDO DI GUASCOGNA:
(solleva la visiera, sta muto
e immobile dinanzi ad Isabeau guardandola.)

ISABEAU:
(dopo un breve silenzio, con voce
sicura e calma all’Araldo guardando
Ubaldo di Guascogna:)
Questa è dovizia, Sere, non Amor.
(Un lungo mormorio
accoglie le parole di Reginotta.)

FOLCO:
(alla nonna)
Oh, le saggie parole!…

UBALDO DI GUASCOGNA:
(cavallerescamente si inchina e si ritira.)
(Un secondo Contendente gli succede.)

MESSER CORNELIUS:
Arundel di Westerne.

L’ARALDO:
Guerre! Tornei! Guardane…

ARUNDEL di WESTERNE:
(fisso e silenzioso guarda Isabeau.

ISABEAU:
(dopo aver guardato con breve gesto niega.)

FOLCO:
(alla nonna)
Non risponde?…

ARUNDEL di WESTERNE
(si ritira.
Un terzo Contendente
prende il suo posto.)

MESSER CORNELIUS:
Ethelberto d’Argile.

L’ARALDO:
Alte gesta d’Onore!

ISABEAU:
ancora non profferisce motto.

FOLCO:
Anco si tace?

ETHELBERTO D’ARGILE
(si ritira)
(Eccone un quarto)

MESSER CORNELIUS:
Randolfo di Dublino.

L’ARALDO:
(con enfasi)
Vinse il Soldano ad Acri.

ISABEAU:
Valor non è Amore.

FOLCO:
Verità  profonde!

RANDOLFO DI DUBLINO:
(cede il posto ad un nuovo contendente.)

il CAVALIERE FAàDIT:
(Non presentando stemma,
non soccorso da imprese, motto, nome,
inchinatosi innanzi al Re,
prende posto innanzi a Reginotta.
(Così, ritto, il CAVALIER Faidit
guarda e con voce dolcissima,
voce dove anela
il mistero di un profondo dolore:)
L’inadorno cimier
corona porterìa… per mio voler
fu tolta via.
Son Faïdit non per ignavia mia.
(e con voce che implora pietosissima)
Io cerco un cuore!…
Invoco una pietà .

FOLCO:
(improvvisamente a disagio)
O nonna… O nonna…

GIGLIETTA:
Ebben? Che mi vuoi dire?

ISABEAU:
(ha attentamente guardato e guarda ancora impietosita
il Cavaliere Faïdit, poi si toglie dal dito un anello
e lentamente glie lo stende.)

ISABEAU:
Cavalier di Dolore,
il muto stemma
ravvivi questa gemma.
Luce il mio cor vi dà …
e dà  l’anello;

FOLCO:
(angosciato)
Vorrei, nonna, fuggir!… Vorrei morire!…

ISABEAU
Amore?.. No. Pietà  non è Amore.

IL CAVALIER FAàDIT
(bacia l’anello e si ritira in disparte.
Isabeau ha respinto tutti i Contendenti.
Un silenzio di sorpresa accoglie
la inaspettata soluzione di questa
«Lizza Cortese».)

(Ma rapide parole a bassa voce i Contendenti
hanno intanto fra di loro sussurrate.
Or eccoli in monomio,
seguiti dai loro scudieri e paggi,
avanzarsi fino innanzi al Trono.)

I CAVALIERI:
giunti di fronte al Re:
Con acini o no, Tenzone
significa: «Vittoria»:!
Or se d’Amor la gloria
non sorride a un campione
fu il bando fellonìa!…

(e rapidamente tolta via la manopola
della mano destra, in atto di sfida,
la gittano innanzi a’ piedi del Re.
n grido di sdegno scoppia nella Sala.
Il Re si è sollevato pallido d’ira.)

FAàDIT
(rapido si frappone fra il Re e i Cavalieri
e invoca ancora l’intervento reale
presentando lo scudo. )
Re datemi poter di stemma!

RE:
(con entusiasmo)
Sia?
(ed egli stesso strappa via
dallo scudo il drappo che
cela impresa, motto,
nome del Cavalier Faïdit.)

(Come invocando un « Giudizio di. Dio »,
fosse proclamato, glorificandolo,
il « Diritto della Vergine ». Nello stemma
ora scoperto con sorpresa sono
apparse le medesime armi simboli e impresa del Re.
Il nome del Faïdit corre
ora sussurrato sulle labbra di tutti.
È Ethel, figlio del fratello di Re Raimondo,
che, facendosi Cavalier Faïdit,
ha voluto fare ammenda di caval­leria sconfessando
così la condotta di suo
padre verso quello di Isabeau nella lotta sleale
per la successione del Regno.)

ETHEL:
(salito sul primo gradino del Trono
fieramente e solennemente rivolto ai
Contendenti, e accennando
a Reginotta, snudando la spada.)
Invoco qui « il Diritto della Vergine »
e « Il Giudizio di Dio »,
e, contro tutti voi, campion son’io!
(e fa dagli Scudieri raccogliere i guanti gittati
a piè del Trono dai Cavalieri.)
(I Cavalieri contendenti si ritirano fieramente seguiti
dai loro scudieri e paggi..)

UOMINI E DONNE:
(ora si dà nno ad inneggiare,
dimentichi del luogo dove si trovano,
malgrado Cornelius e l’etichetta: )
Gloria ad Ethel e Gloria ad Isabeau!
Sangue di Re non mente!
Gloriosi entrambi Ethel ed Isabeau,
gloriosi umanamente!

Un consiglio, che l’Alta Ragion, di Stato ispira come scaltra e
meravigliosa idea al Cancelliere CORNELIUS, consiglio da
questi subito confidato al Re e dal Re accettato, per irrisione
di sorte (la quale sovente manda a vuoto e sbugiarda tutti i più
perfetti ed alti calcoli delle menti più profondamente dotte in
scienza politica) anzichè concludere a un matrimonio fra
ISABEAU ed il Cavaliere Faidit, mette a dura prova il buon
senso di un Re, e il buon cuore di un padre la fierezza di una
Reginotta, la castità  di una figlia virtuosa e la pace di tutto un
popolo felice:

MESSER CORNELIUS:
(salito fino al Re, indicandogli l’aitanza magnifica
della persona di Ethel,
parla con rapide sommesse parole.
Il Re ascolta scosso dapprima, poscia
turbato pare voglia respingere
il consiglio del suo Cancelliere,
certamente perverso, Messer Cornelius
osa insistere nel suo pensiero additando
tenacemente le due belle persone
di Isabeau e di Ethel.)

RE:
(mentre il popolo suo, in preda
a grande entusiasmo inneggia,
si solleva ritto dapprima poi, animandosi,
scendendo minaccioso, con voce ad arte
resa anche più terribile:)
Mentre piango tu inneggi?… E conte spada
o popolo, su te,
dunque ricada
il dolore di un Re!
(e stendendo le mani, avanzando
sempre minaccioso verso il popolo:)
Diritto d’antrustione!…
Chiuso porto!…
Balzelli come in tempo di battaglia!…
Viete Chiese e Feste!…
Rappresaglia!…
Città  di gente morta in Regno morto!
(E così – come l’astuto Cornelius ben prevedeva
– nella pania di una sottigliezza
di politicante la Fanciulla è colta:)

ISABEAU:
(interrompe con un grido di dolore!…
Scende e, rapida, si frappone
fra l’ira del Re suo padre e il popolo:)
No, padre e Re!…
Non contro il vostro popolo!…
Io sola qui colpevole!… Punitemi!
(E si lascia cadere ginocchioni.)

IL RE:
(come se a stento dominasse il suo corruccio:)
Colpevole è il tuo orgoglio!
E in questa vanità  punir ti voglio!..
(Un profondo angoscioso silenzio
si fa in tutta la Reggia:)

IL RE:
(con voce fatta solenne,
con dire apparentemente imperioso, impone )
(ad Isabeau la perversa severità
del suo Cancelliere:)
Allor che il Sol sia giunto a mezza via
sulla bianca chinea cavalcherai
traverso alla Città …

(e il vecchio Re esita;
ma il perverso sguardo, fisso, tenace, imperativo,
fatale di Messer Cornelius governa qui il destino!)

RE RAIMONDO:
(gli obbedisce, e però prosegue a dire:)
« ignuda tutta, a ingiuria d’occhi e rai,
di popolo e di Sole »! …
(Corre un fremito di orrore in tutta quella folla…)

ISABEAU:
(si fa in fronte e in viso
di fiamma, poi, pallidissima)
(poi fissando suo padre il Re,
lentamente, con voce ferma)
Così sia!

E il popolo si prostra ginocchioni
e bacia dove lenta passa la Fanciulla
chiusa nel candore del suo manto conte
dentro ad una vaporosa nuvola
candidissima.

SECONDA PARTE

IL MERIGGIO

LA SCENA
Quella parte del Castello di Re Raimondo
dove gli antichi baluardi e spalti,
inutile opera di difesa, ridotti a ridenti
e vivacissimi giardini pènsili, formano
semicerchio bastionato piombando a picco giù,
dominando le vie e le viuzze
sottostanti, il magnifico panorama della Città
decorrente lenemente a gradi
dai monti fino al mare, confondendo insieme
e il verde dei boschi e l’azzurro
profondo delle onde.
Come il perverso consiglio di Messer CORNELIUS –
per saviezza di popolo – facesse concludere
un patto di generosa alleanza
di anime e di cuori fra popolo e Re:

IL POPOLO:
(inginocchiato innanzi al Re tremante
di commozione, pregando impone
un suo desiderio:
non quale già  di popolo un desiderio.)
non quale già  di popolo un desio
ma un Editto di Re
che come un’alta ispirazion di Dio
emanasse da Te!…

IL RE:
Sia fatto! È il tuo voler Editto mio!

Il POPOLO:
(si leva prorompendo in grido di gioia vociando
dalle aperte arcate alla Città
e il suo desiderio ora diventato Editto di Re:)
Finestre cieche!
Feritoie spente!
E piazze e vie deserte d’ogni gente!
Campane a storno in suo viaggio pio!
Bandiere sventolanti!
In terra preci e trionfali canti!
In cielo il Sole e Iddio!

UN VEGLIARDO:
(che dal sommo della torre
del Palazzo di Città  decreta)
Che s’occhio uman per frode o per ventura
guarderà  fuori da finestra, porta,
feritoia, veletta od apertura,
abbia per noi la sua pupilla morta.

IL POPOLO:
(a rispondergli urlando)
Sì! Dia, a quegli occhi ognuno aspra feruta
finchè la luce dentro vi sia muta.

LE DONNE:
(avviandosi, discendendo
per l’ampia gradinata seguite da tutto
il popolo, osannano:)
La Vergine cavalchi senza velo,
nuda ma casta, nuda e immacolata,
chiusa in un manto pio di sol e cielo
come se ancor nel manto suo ammantata!
(e Re Raimondo, sostenendosi
colla mano alla spalla di Messer Cornelius,
seguito da tutti i Dignitari, si ritira lentamente.)

Dalle arcate aperte sulle discesa della Città , ora tutta immersa e come
se fusta in oro nella luce del sole a mezzodì, ecco d’un baleno, come
esseri animati, case e chiese, palazzi e torri, piazze e strade ornarsi
di fiamme, orifiamme, pennoni ed aste stemmate, vessilli e bandiere,
drappi e zendadi, veli e tessuti!
Poi è uno stridere di serrature, di catene tese, di catenacci, uno sbattere
di porte e di imposte sbarrate e chiuse!
Ed è un rapido e profondo silenzio che succede così che, ben distinto,
si può sentire il battere delle zampe ferrate della chinea di Isabeau
condotta da due palafrenieri ai piedi della gradinata, legata all’anello
di cavalcata, ed ivi lasciata.
(Sull’alto dello scalone mani femminili
schiudono il pesante cortinaggio.
Sono Ermyntrude ed Ermyngarde e,
in mezzo i bei capelli d’oro puro
non più costretti da bende e da giri di perle,
ma liberamente sciolti giù
per le spalle e sui seni ricoprendo
come un manto d’oro tutta la bella
persona, ISABEAU! Tiene la Fanciulla stretto
a sè il manto che ricopre il fiero,
eroico sacrificio della sua nudità ,
ora rivelata soltanto dal candore
delle braccia e dei piedi.
E si sofferma! – E aspetta l’ora! )

ERMYNTRUDE ed ERMYNGARDE:
O Reginotta, gli angioli dal cielo
discenderan per intrecciar coll’ale
l’iridescente aureola d’un velo,
e il tuo bel corpo casto e trionfale
espanderà  divine luci intorno
come a meriggio il Sol dà  luce al giorno.

(Ed eccola l’ora!
La campana maggiore domina sola
squarciando l’aria densa di luce coi suoi
dodici rintocchi che si espandono alti
e dovunque afferrati e sussurrati dagli
echi montanini e silvestri.
E Isabeau si avvia lenta, calma, alta la fronte,
impavida. Fino a capo della gradinata
che scende sulla piazza la seguono le due ancelle;
giuntavi la Fanciulla vi si sofferma un attimo
ancora esitante, ma vince e, bruscamente
con un rapido motto delle braccia sciolto
il manto che lascia cadere nelle mani
di Ermyntrude e di Ermyngarde, scende scomparendo
giù per l’ampia gradinata.
Le due ancelle col manto di Isabeau
si allontanano perla piccola scala nell’attesa del suo ritorno.)
(E come avvenisse che, tornando dall’avere accompagnata la nonna fino
alla più vicina barriera, rientrando in Corte per la porta di soccorso.
FOLCO, sentendo la voce del vegliardo dall’ulto della torre bandire il
Desiderio di un Popolo fatto Editto di Re e le voci della folla tumultuosa
di ebbrezza rispondere con urli di gioia minacciosa, sentisse la sua
piccola anima di fanciullo ancora sobbalzare di sdegno dentro di sè,
non solo non sentendo ammirazione alcuna per questo falso eroismo e
vana ostentazione di affetto popolare per Reginotta, ma interpretandola
invece non già  come la saviezza di un popolo ma soltanto una ferocia e,
perfino, una viltà . E come avvenisse che, tutto compreso di questo suo
ragionamento, allo scalpitìo della chinea che gli annuncia il ritorno di
ISABEAU, salito sull’alto giardino pènsile, gittasse di lassù fiori e parole
inneggianti alla gloria ignuda di Reginotta, rendendosi così reo per colpa
dei suoi occhi di quella morte così feroce bandita dall’alto della torre da
un vegliardo: )

FOLCO:
(tutto acceso in viso, tremante d’ira.
Steso il pugno contro la Città )
O popolo di vili!… O Città  vile!…
Vili gli occhi che treman di guardare
la gloria ignuda della sua pietà !
Così è per voi il Fior di sua bellezza
la Fanciulla regal prodigherà ?…
(e si arresta muto, quasi atterrito,
gli occhi larghi, la fronte corrugata tutto
compreso nell’asprezza del suo pensiero severo;
poi, come se per una offesa
patita, pensa:)
Or solo intorno inanimate cose!,
la luce senza palpiti del Sole!,
la terra muta!, l’erbe silenziose!,
non anime, non vite e non parole!
(e di nuovo tace come se le parole
che gli prorompono fuori dall’anima sdegnosa
gli aprissero, uscendo., ferita dolorosissima…
Ma il silenzio gli è anche più doloroso,
come una viltà . E Folco si commuove,
e in pena con voce dolorosa:)
E passerà  la viva creatura
entro il silenzio delle cose morte?
Nessun le griderà : « Gloria a te, pur,
in tua nudità  severa e forte! »?
E non tumulto di commosso core
palpiterà  a tua visione intorno,
Gloria d’umanità , Gloria d’amore…
ma un muto sole e l’ironia del giorno?
(E, nel dire, prorompe in singhiozzi.
Ma un alito di vento dal giardino pènsile,
colle fragranze dei fiori gli arreca lo scalpitio
della chinea di Isabeau, ma vedendo
il sole irradiare il giardino
e trionfare tra i fiori, preso dal baleno improvviso
di un’idea:)
Se vili tutti qui, vile non io!
(e come se ancora rivolgesse
nel suo pensiero la parola ad Isabeau)
Or ben io ti farò tutta fiorita!
E se non gli occhi i rai che all’uom diè Dio ..
(e Folco, mentre così forte parla, sale!,
penetra nel giardino!, rapido strappa fiori!;
e già  sentendo giù in basso lo scalpitio
della chinea nel ritorno radere le mura alte
della Reggia., si affaccia fuori e gitta a piene mani fiori: )
fiori!…
e i miei occhi!…
e tutta anche la vita’
(e sempre più esaltato continua inneggiando
e gittando sempre fiori)
Gigli al bel giglio della tua bianchezza
ed alle rose del tuo seno rose!
E freschezza di fiori alla freschezza
delle tue forme pure e gloriose!
(Fuori alto echeggia come un gemito
il grido di sdegno della Fanciulla offesa.
Le accorrono incontro le due fide ancelle
mentre dalla Città  urla feroci di plebaglia scoppiano!
Si aprono tutte le case e sembrano rovesciarsi già  nelle vie!
E sono urli e bestemmie!)
« Occhio malvagio ha visto!
Dove?
A Corte? »
(E la Reggia è invasa!
Ed è in mezzo a quel giardino
che Folco è investito da )

UNA FOLLA
(ruggente)
Che non ci sfugga!
Ammazza!
Ammazza!
A morte!
(A tempo il Faidit, il Siniscalco, il Connestabile
e il Gran Prevosto accorrono e
strappano Folco da quelle mani omicide!
Ed ecco il Re!,
Ed ecco tutti anche della Carte! )

MESSER CORNELIUS:
(sorpreso:)
Il boscaiolo!
(Or ecco anche Isabeau!
È una Isabeau stranamente trasformata!
È una Isabeau tutta bella per le fiamme dello sdegno,
i capelli ancora disciolti e sconvolti pel veloce cavalcare
della chinea libera per la Città  deserta…
E vede Folco! )

ISABEAU:
Folco !

FOLCO:
(con profonda dolcezza di voce)
Per morire !

TERZA PARTE

LA SERA

LA SCENA
Dove il Castello di Re Raimondo
nella sua parte inferiore mette in comunicazione
le prigioni e gli accasermamenti degli armigeri
colla piazzetta della Città  dove
vengono eseguite le alte opere di giustizia.
In alto è l’Oratorio regale che fronteggia
il giardino pènsile. La porta de’ sotterranei
che conduce alle prigioni è in basso
e si apre entro ad una vòlta tetra
sopra una scala tortuosa e oscura.
L’entrata signorile è al lato opposto.
(Non sempre, alle preghiere che un’anima rivolge
a Dio, la implorata sapienza
divina scende a portare luce nelle profonde
tenebre della incertezza umana:)
È un vespero alto; un sole obliquo e rossastro infuoca
dove può libero irradiare pinacoli, loggette, baluardi.
L’Oratorio pare avvampi di fiamme.
Ermyntrude od Ermyngarde inginocchiate sul, piccolo
largo sembrano due visioni d’anime in purgatorio così
come, ora, le anime del purgatorio sono immaginate dai
pittori sui muri de’ chiostri e dei camposanti.
Dall’estremo dell’Oratorio viene un soave e tenue gemere
di clavicordo.

ERMYNGARDE ed ERMYNGARDE:
(vi si accompagnano leggendo
e sussurrando sul loro Libro delle Ore
Cantilena sacra in forma di cuore».)
A Te umilmente
preghiam grazie implorando
la tua magnificenza laudando
La Cantilena in sue cadenze lente
varchi del ciel l’immacolata neve
e a Te con dir soave
e con parola pia
mormori lieve
un Ave
Maria

ISABEAU:
(appare nel vano della porta dell’Oratorio; la
Isabeau -ancora tutta chiusa le belle forme virginali nel
suo manto e la chioma nelle bende claustrali.
Sulla fronte le sfavilla ancora più intensamente, sotto il
sole occiduo, la lagrima di sangue del rubino regale.
Così assorta appare la Fanciulla che, Ermyntrude ed
Ermyngarde, non osando distoglierla dalle sue medita­
zioni si allontanano.)

ISABEAU:
(scende lentamente.
E ripensa ai rapidi avvenimenti!
E un brivido le corre in tutta la persona
alla imminente tragica fine
di così rapida e strana giornata:)
Venne una vecchierella a la mia Corte;
con tarda voce e tremola implorò,
e del mio cor così schiuse le porte
m’affidò Foleo e al bosco suo tornò.
Con occhi dove un’anima tremava
Foleo ne’ miei tremante s’affilò;
con gli occhi dove un’anima sognava
nella pietà  de’ miei si rifugiò.
E gli occhi miei d’ignota umanità
vider la luce trionfale e forte;
io da un desìo fui vinta di pietà …
E questa mia pietà  gli dà  la morte!
Ah, questo solo: questo è il triste ver
che in me tortura l’anima, il mio cor,
tutto il mio sangue, tutti i miei pensier?…
Ed è colpa! È rimorso? Ed è dolor!

(Improvvisi acuti strilli di donna salgono su dalla piccola piazza.
Invano trattenuta da armigeri che vorrebbero impedirle di entrare.)

GIGLIETTA o GIGLIERETTA:
(entra correndo e, veduta
Reginotta disperatamente:)
Reginotta, ridammi la sua vita!
(e nella voce della vecchia vibrano,
più che la mitezza
o la umiltà  di una preghiera,
un rimprovero e il corruccio:)
No, tu non lascierai
quelli occhi di fanciullo, quelli sguardi
miti morir
sotto i mille ferir
di spade, lance e dardi!
Di mille morti Foleo all’agonia
tu così pia
abbandonar potrai?
(e, con occhi fissi, la vecchia
guarda severamente la Fanciulla.)

ISABEAU:
(essa pure inorridita: )
Orrore!…
È orror!…
È orror che offende Iddio.

ETHEL:
(che si è poco prima frapposto tra Giglietta
e gli armigeri, intervenendo)
È l’Editto del popolo!…
Per vendicarti!…
(Infatti orrende grida di popolo
che reclamano il prigioniero salgono violente)
(Ad un gesto di orrore di Isabeau, Ethel,
comparendo fuori innanzi al popolo
in furore, ne doma e acqueta la furia.)

ISABEAU:
(coglie l’occasione di Ethel sceso giù
nella piccola piazza fra il popolo e
solleva la vecchietta:)
Non pianger più !…
Già  l’ora invita
e fugge via:
(e traendola con sè, guardandosi intorno inquieta,
le addita la piccola scala
che conduce alla porta di soccorso: )
Scendi!…
(e la sospinge dolcemente)
…e laggiù
aspettalo!…

GIGLIETTA:
(afferrandosi stretta a Reginotta,
guardandola ancora fisa negli occhi con occhi
dove sono tutte le morti e tutte le vite:)
Gli salverai la vita?

ISABEAU:
(con impeto:)
Sì.

GIGLIETTA:
Giura’…

ISABEAU:
(alza la mano verso il cielo,
con voce fatta solenne e ferma)
Giuro sulla vita mia!
L’ultimo sole vibra l’ultimo suo raggio rossastro
strappando al rubino regale
sulla candida fronte di Isabeau ancora
più intensa la favilla sanguigna!
Giglietta scende via rapida.
Son dolorosa: ed il perchè non so
È la coscienza inquieta?…
(e, vedendo il cugino Ethel tornare
dalla piccola piazzetta, così si rivolge a lui:)
Deh, vi prego!…
e additando verso le prigioni:
Vorrei vederlo!…
(e soggiunge quasi timorosa di un rifiuto)
Qui gli parlerò…
Non datemi diniego!…

ETHEL:
(per diritto di stemma riconosciutogli
da Re Raimondo e per quello di nascita,
Gran Connestabile, con voce dove trema
una rispettosa e profonda ammirazione )
Oh, no! Nulla saper
io voglio…
(e accennando che obbedirà
al suo desiderio, interrompendo il suo dire)
So ben io
che ne’ vostri pensier
sempre v’è Iddio.
(Fatto cenno agli armigeri scende
per la vòlta bassa, oscura, giù nelle prigioni
dove Folco fu rinchiuso.)
Alto è già  il tramonto; imminente la sera.
Isabeau in silenzio aspetta.

E come nel sentire da ETHEL che,
in attesa della sua imminente e tragica
morte, FOLCO abbia potuto
nella prigione addormentarsi, cada sull’anima
inquieta di ISABEAU siccome un nuovo fatto
così impenetrabile e misterioso da rimanerne,
se fosse possibile, anche più sorpresa, più torturata
e, quasi offesa anche:

ETHEL:
Dormiva

(Ed Isabeau rimase colpita anche più profondamente da quel «dormiva»!
Ed i suoi pensieri in gran tumulto tornano impetuosamente ad affannarla.
Una campana suona lenti rintocchi gravi e mesti. )

ETHEL:
(guardando al mare ed ai monti
gli ultimi agonizzanti palpiti del sole)
È il coprifoco.
Batte l’ala pel cielo l’ora della pace.
(Un capo d’arme seguito da due armieri
viene a fissare in un portatorce murale
una torcia accesa.)

UNA VOCE LONTANISSIMA:
Or tutto tace; nel domestico lare
sol canta il focolare
le canzoni del foco.

ALTRA VOCE:
(dalla barriera della Città 🙂
Giù le saracinesche
d’ogni barriera!…

VOCE DI COMANDO:
(dalle velette)
Rinnovate le scolte alle bertesche!…

ETHEL:
(allontanandosi per la porta
signorile del Castello:)
Ecco la sera!
(Il silenzio è ora profondo)

(Ed ecco Folco, gli occhi ancora assonnati, fra due armigeri seguendo
il Capo d’arme che poi lo lascia solo con Isabeau.)
E come, finalmente, dalle profondità  misteriose
delle anime e dalle tenebre della incertezza umana
sorgono la verità  e la luce., e, su dai cuori per
le labbra – finalmente – anche i’ grido trionfale dell’amore:

ISABEAU:
Dormivi? !

FOLCO:
(al rimprovero della Fanciulla
risponde con dolcezza)
Sognavo?

ISABEAU:
Sognavi?… Coscienzìa
non dunque rimorde nè turba il tuo cor?

FOLCO:
Sognavo felice!

ISABEAU:
Non tremiti?… lagrime?…

FOLCO:
Sognavo felice!

ISABEAU:
Non ansie?… terror?…

FOLCO:
Non tremiti!… pianto!… non ansie e terrori

ISABEAU:
Sai tu la tua sorte?

FOLCO:
Dolcissima sorte!
Nel sogno appariva, tra luci e fulgor,
trionfo di stelle, trionfo di fior…

ISABEAU:
Sai tu la tua morte?…

FOLCO:
Dolcissima morte!
Trionfo di stelle! Trionfo di fiori

ISABEAU:
Non d’anima dubbii?…
(e con voce dove singhiozza
tutto il tumulto della sua anima in pena)
Tu sogni e non senti
rimorsi per l’onta che ancora mi crucia?…

FOLCO:
Tu senti che menti.

ISABEAU:
Ancora mi brucia
l’ingiuria, e la neghi?

FOLCO:
Tu non senti che menti.
Nè ingiuria o vergogna…

ISABEAU:
(lo interrompe)
Viltà !

FOLCO:
Nè viltà .
(E sotto la ingiuria che gli ritorce la Fanciulla,
trova accento e forza per difendersi:)
Fu vile l’Editto che vili fè gli uomini,
che il dì soffocato ha in notte affannosa,
che spento ha la vita e creato il silenzio
intorno al trionfo di vergin gloriosa.
(e, gli occhi vibranti di una luce nuova,
occhi palpitanti, occhi di anima:)
Il Sol ti ha guardata e baciata col raggio,
lo sguardo e il suo bacio t’ha forse ingiuriata?
E il fior che d’effluvi in vita ha esalata
sul bianco tuo seno fu dunque un oltraggio?
(sempre fissandola)
Qui sola, tu sola eroina?
(con grande entusiasmo nella voce,
che si è a poco a poco trasformata
divenendo chiara, limpida,
squillante, trionfale:)
La sorte
che i forti soccorre ha me scelto e chiamato.
(fieramente)
A te la tua Gloria! A me la mia morte!
(ritrovando improvvisamente
ancora l’accento di dolcezza di prima)
Quest’era il mio Sogno…
Perchè m’hai svegliato?

ISABEAU:
(palpitante, gli occhi lagrimosi ancora
ma dove è penetrata e si è transfusa
una luce di dolcezza
dalla dolcezza del dire di Folto,
presa da un dolcissimo
languore in muta contemplazione
di quegli occhi d’anima che la guardano,
la rimproverano e la penetrano tutta,
si trasforma, si trasfigura:)
I tuoi occhi!… Gli aperti
occhi soltanto
colpevoli!
La colpa è de’ tuoi occhi
che invano pianto
purifica!
Luce è memoria! Gli occhi
son la memoria!
Rimembrano!
Arditi e vivi guardano
e, peggio ancora.
rinarrano!

FOLCO:
Giusto dunque è l’Editto?
Sol morte oblìa
che è tènebra!

ISABEAU:
No!
e avvicinandoglisi:
Fuggirai! – Lontani
da me quegli occhi
che narrano!

FOLCO:
Dove?
Ch’io varchi terre,
lande, montagne,
oceani
tu sei qui, dentro, ignuda,
audace, bella
e gloria
sempre! – Ch’io fugga? E meco
tu fuggi, immagine
ed anima!
E tu mi segui ovunque;
non morto!
Morto?
Sei libera!

ISABEAU:
in un singhiozzo:
Non voglio che tu muoia?

FOLCO:
Perchè?

ISABEAU:
Ti prego
di vivere!
(e scoppia in pianti lunghi e dolorosi)

FOLCO:
(all’improvviso dolore
che gli viene dalle lagrime
di Isabeau, si lascia cadere
ginocchioni ai piedi di lei: )
Io sol che implori!… Lasciami
morir!…
Son io
che supplico!
(e trascinandosi ginocchioni
fin presso a lei:)
Un’ultima preghiera…
Perdona li occhi
colpevoli!

ISABEAU:
(improvvisamente assorta in un pensiero,
non lo ascolta. Di sùbita gioia risplende
tutto il suo viso: l’enigma che ha angosciata
la sua anima umanamente si dissipa)
Sol gli occhi d’uno sposo
non dà nno offesa
e ingiuria…

FOLCO:
(si solleva rapido, quasi sdegnato
e respingendo la pietà  che gli viene offerta
dalla Fanciulla Regale, risponde
ad Isabeau le parole colle quali, durante la
« Lizza Cortese » essa ha risposto
al Cavalier Faïdit:)
No! No!… Questa è pietà !…

ISABEAU:
(strappandosi dal capo le bende claustrali,
di dosso il manto, offrendosi tutta
al giovane, con larghe
le braccia tese, invocandolo:)
Pietà ?… Non vedi?…
E’ amor!

FOLCO:
(gli occhi felici immersi
in quelli della Fanciulla:)
Il mio Sogno!…
Il mio Sogno!…
Amore!…
Amore!…
La profezia di Dio?… La gran parola
dal mistero d’un sogno rivelata!…
Io vivo in te, trionfalmente, o amor!

ISABEAU:
Sogno di core che s’avvera! – E in core
io t’entro! E, stanca d’esser sempre sola,
chiedo asil al tuo cor che m’ha sognata!
Io vivo in te, trionfalmente, o amor!
(poi si stacca da Folco e tutta sorridente, trasformata:)
Qui attendi, Folco!…
Amor mi da grand’ali…

(e interrompendosi, senza altro dire, la Fanciulla, arditamente, sale la scalea
che mette alle stanze regali per gridare al Re suo padre la novella di «essersi
finalmente Isabeau piegata ai suoi comandi scegliendosi uno sposo ».)
Come «l’avvenire di fortune e di grandezze »
per « FOLCO suo » intraveduto da GIGLIETTA
o Giglieretta, nell’alba rosea di un giorno sereno,
quasi già  realtà , improvvisamente,
per bizzarìa di eventi, finisca stroncato
da una sanguinosa tragedia al tramonto.
(Dietro di una colonna dove ha potuto non visto celarsi,
di dove ha potuto in tempo udire gli impetuosi entusiasmi
degli amanti, ed ha potuto comprendere
l’intenzione della Fanciulla)

MESSER CORNELIUS:
(concitato:)
Ah, per mia fè,
giammai!
(e, mentre il giovane boscaiuolo è assorto
nella dolcezza trionfale del suo sogno
avverato, scende rapido verso il corpo di guardia:)
Salviamo trono e Re?
(Di nuovo scoppiano le orribili minaccie; e si avvicinano:)

IL POPOLO:
È nostro?… È nostro?…

E IL VEGLIARDO
(ecco apparire tenendo aperto
l’Editto e agitandolo trionfalmente.
Pochi audaci dapprima lo seguono
osano penetrare; entrano!
Altri sopraggiungono:)
Fuori! Fuori!
(Uno osa afferrare Folco;
poi tutti osano! E cento braccia
atterrano il giovane boscaiuolo!
E d’un colpo violentemente Folco
è spinto e trascinato fuori,
giù nella piazzetta che torcie rossastre
illuminano sinistramente.)
Al nero
trave leghiamolo! Morte! A la gogna!…
Pria la vergogna!…
tutte le morti poi al falconiero!

Colpi di martello, accompagnano le orribili grida.

LA VOCE DI ISABEAU:
(voce vibrante amore e felicità 🙂
Folco!… Mio Folco!…

ISABEAU:
entra! guarda!, cerca!
Foleo?
(Ed ode i1 tumulto di fuori)
Oh, grida orribili!…
(Un brivido prima, un sospetto atroce,
poi subito!… e corre!, apre la cortina!
e vede!, e vede!:)
Ah, le feroci belve!… Foleo! Foleo!…
(e scende!, rapida!, correndo!, gridando!,
forte! con voce quasi non più umana)
Son Isabeau!… Son Isabeau!… Son io! …
Con te! … Con te!…
e un gemito trionfale uoi:
Così!… Per sempre!…

UN GRIDO
(terribile di orrore nel popolo)
Orrore!
Reginotta è ferita!

FOLCO:
Tu ferita? …

ISABEAU:
Per sempre tua, così!… Così!… Mi senti?…

FOLCO:
Io ti veggo Isabeau’….
Ho gli occhi spenti,
ma veggo il Sogno d’or… il sogno mio!
(Le due voci si affievoliscono
e si spengono dolcemente.)

ISABEAU:
O Folco mio!…

FOLCO:
Mio Amorel

ISABEAU e FOLCO:
L’anima’….
E gli occhi!…
E tutta anche la vita!
(e le voci si acquetano per sempre felici
nel destino del loro trionfo
umano ma immortale.)

Sale dalla sottostante piazzetta e si espande
pei larghi vani delle arcate
la rossastra sanguinosa luce delle torcie;
dalle finestre che, su colonnine
binate, in alto, aperte, corrono seguendo
l’ordine delle arcate, appare fuori la parte alta
della Città  tutta bianca nel plenilunio e,
sopra il cielo intensamente sereno scintillante di stelle.

FINE

 

Exit mobile version