Site icon Opera Libretto

Libretto “L’Arlesiana” di Francesco Cilea

L’Arlesiana

Opera in quattro atti

Musica di Francesco Cilea
Libretto di Leopoldo Marenco

Fonti letterarie: L’Arlesiana di Alphonse Daudet.
Prima rappresentazione: 27 novembre 1897, Teatro Lirico di Milano.

Personaggi
ROSA MAMAI, madre di (Soprano)
FEDERICO (Tenore)
VIVETTA, figlioccia di Rosa (Soprano)
BALDASSARRE, vecchio pastore (Baritono)
METIFIO, guardiano di cavalli (Basso)
MARCO, fratello di Rosa (Basso)
L’INNOCENTE (Soprano)

Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo
Atto Quarto

Libretto – L’Arlesiana

ATTO PRIMO

LA FATTORIA DEL CASTELET.

Un cortile. – Nel fondo, un gran portone rustico che s’apre su di una via fiancheggiata da grossi alberi polverosi, dietro il quale si scorge il Rodano. – A sinistra, la fattoria, con un corpo di case facente gomito nel fondo. È una bella fattoria, molto antica, d’aspetto signorile, cui si accede esteriormente per una scala di pietra, a ringhiera di ferro battuto. – Sul fabbricato, in fondo, sorge una torretta che serve da fienile ed aprentesi in alto, nel cornicione, per una gran finestra, con una puleggia e dei fasci di fieno. – A terreno, il celliere o dispensa, con porta ogiva. – A destra del cortile, gli alloggi per la servitù, tettoie e rimesse – un poco più avanti il pozzo: un pozzo a sponda bassa, sormontato d’una fabbrica bianca, inghirlandata di viti selvatiche. – Qua e là nel cortile, un erpice, un aratro, una gran ruota di carro, ecc.

SCENA PRIMA.

Baldassarre e l’Innocente.

BALDASSARRE è seduto sulla sponda del pozzo, con una pipa corta fra i denti. L’Innocente è seduto per terra, la testa appoggiata alle ginocchia del pastore.

BALDASSARRE (fra sé, guardando l’Innocente).

E a te nè un bacio mai,
Nè una carezza… niente!
Quasi non fossi di lor sangue. Guai
S’io non ti amassi, povero Innocente!

L’INNOCENTE (fra sé).
Pascea lungo il dirupo
La capra… e allor…
(a Baldassarre)
Senti, vorresti dirmelo Quel che fece il lupo?

BALDASSARRE (c. s.).

Povero bimbo! tanto bello!… Proprio
Guarir più non potrà?
Lo dicon tutti; io no: mi par si môva
Nel suo cervello qualche cosa nôva…
Oh, sì, si sveglierà!

L’INNOCENTE (fra sé).
E allora venne il lupo da lontano…

BALDASSARRE (c. s.).

E allor… povera casa,
D’ogni malanno invasa!
Uno scemo in famiglia è un talismano.
Si sveglia il bimbo, ahimè! Dio nol permetta!

L’INNOCENTE (imitando il belato).
Mée…
(a Baldassarre)

Allora… la capretta…

BALDASSARRE (come chi esca da tristi pensieri).

E allora… allor… Di allora ce n’è tanti

Nelle mie storie… Ah, l’ho trovato…

L’INNOCENTE (con contentezza).
Avanti!

BALDASSARRE.

Come due tizzi accesi,
Dall’alto del dirupo,
Vide su lei sospesi

Gli occhi del lupo.

Non diede un gemito
La disgraziata:

Neppure tentò fuggire;
Capì che il lupo l’avrebbe mangiata!

E il lupo sogghignò,
Quasi volesse dire:
Tempo a mangiarti avrò!

Il sol tramonta – scende la sera;

E con la sera s’annunzia la morte:
Ma lei, da quella forte
Capra ch’ell’era,

Le corna sue abbassò
Già esperte in altre lotte,
E il lupo attese, e col lupo lottò
Tutta la notte!
(animandosi e levandosi da sedere)

Ma quando il sol spuntò,
Dimise a terra il corpo sanguinoso;

E il sole… il sol negli occhi la baciò,
Poi glieli chiuse all’ultimo riposo!

L’INNOCENTE (sbalordito ed estatico).
C’era una volta un lupo…

SCENA II.

Rosa e Detti.

ROSA (a Baldassarre).

Or lascia stare

Le storie, e di’ che pensi
Di colei che mio figlio vuol sposare.

BALDASSARRE.
Penso che di figliole,
Buone massaje e oneste,
Ce n’è al villaggio…

ROSA.
È chiaro come il sole!

BALDASSARRE.
Che niun bisogno avreste
Per trovar moglie al vostro Federico
Di cercarla in città!…

ROSA.
Sì, anch’io lo dico!
Ma Federico è tanto innamorato,
Trova in lei sola il fior d’ogni virtù…
La bella Arlesiana l’ha stregato!

BALDASSARRE.
Ma conoscete voi quella fanciulla
Per tirarvela in casa?

ROSA.
Io no, per nulla.

BALDASSARRE.
Così, senza conoscerla
Dunque, padrona Rosa,
Consentirete salutarla sposa
Del figliuol vostro?

ROSA.
Ah, no!…
Ti rassicura. Ad Arles, come sai,
Sta un mio fratello…

BALDASSARRE.
Padron Marco?

ROSA.
E gli occhi,
Quello, li ha acuti assai.

BALDASSARRE.
Ma non per le civette.

ROSA.

Oh, lascia andare Marco è un uom coi fiocchi.
Bel bello… alla sordina…

Un’occhiata di qua…
Di là una parolina…
Facendo il gonzo, il nôvo,
Son certa, scoprirà
Perfino il pel nell’uovo.
Fra poco ei qui verrà.
(va verso il fondo a guardare, e s’imbatte in Vivetta

SCENA III.

Vivetta e Detti.

ROSA (sorpresa).

Ah, Vivetta, sei tu?

VIVETTA (entra con un paniere in mano).
Buon dì…
(poi a Baldassarre)
Buon dì…
(bacia l’Innocente)
Dalle verdi pendici
Di San Luigi, in questo punto arrivo,
Sul battello del Rodano…

ROSA.
E a che vieni
Tu qui?

VIVETTA.
Stupite? Qui ci vengo ogni anno Pei bachi.

ROSA.
È vero, sì; questa mattina
Non ricordo… non penso… non capisco.

L’INNOCENTE.
Mée, mée, mée… fa la capra…

VIVETTA.
Che mai dice?

BALDASSARRE.
Ripensa una storiella
Che or ora, gli ho narrata.

L’INNOCENTE (a Vivetta).
Fattela dir ch’è bella:
Ma dammi la stiacciata…
Che hai nel paniere!
(cerca di frugarvi dentro)

VIVETTA (allontanandosi).
Cattivo!… un momento!

L’INNOCENTE.
Dammela presto, se no, bada, io dico
Che cento volte e cento il bel ritratto
T’ho veduto baciar di Federico.

VIVETTA (arrossendo).
Gli avresti a credere?

BALDASSARRE (fra sè).
Di bene in meglio:
Il Bimbo destasi,
Forse è già sveglio…

ROSA (inquieta).

Dà un’occhiata, pastor, lungo la via
Che mena ad Arles.

BALDASSARRE.
Pronto, padrona mia!…
(Il pastore va a guardare verso il fondo; l’Innocente ruba il paniere e va via)

VIVETTA (a Rosa, tra il desiderio di sapere, e la tema).
Credevo in casa Federico! e adesso…
Vi vedo in viso tutta turbata!
Perfino il vostro respiro è oppresso…
Giunger potrebbe di là un’ingrata
Notizia? Forse d’una sventura?!

Dite, madrina, dite: ho paura!

ROSA (come chi voglia allontanare un pensiero tormentoso).

Son io, son io che imagino, e son pazza D’imaginar, mentre non ho ragioni…
(riflettendo)
E se Marco però dovesse dire
Al mio figliuol: dal core
Te la togli, chè quella è una ragazza
Di te non degna?… Il mio figliuol ne muore!

VIVETTA (tentando dissimulare l’ansia).

Che? Federico si fa dunque sposo?

(ricompare Baldassarre e, non vedendo l’Innocente, entra subito in casa in cerca di lui)

ROSA.

Ei vorrìa farsi… capirai… con una
Della città. Sarà una gran fortuna,
Quando creda conoscerla davvero,
Se non gli fa veder bianco per nero.
(agitata va in fondo a guardare fuori della porta, poi torna)

VIVETTA (mestamente, fra sè).

Prenderà moglie!!
(a Rosa)
Han fama
Di belle giovinette
Le arlesïane. È ver?

ROSA.
Certo, civette!
Diè nella pania Federico, e l’ama!

VIVETTA (fra sè).

L’ama!…

L’INNOCENTE (all’orlo della finestra del fienile, in alto).
Mée, mée…

ROSA (atterrita).

Ah! il ragazzo lassù?
Tremo da capo a piè!

BALDASSARRE (afferrando l’Innocente).

Non tremate – cader non potrà più.

ROSA.
Correr mi sento un brivido,
Sempre che guardo a quel fienil. Se mai
Cadesse alcun da quell’altezza!…

VIVETTA.

Guai!!
Dite, madrina, dove
L’ha conosciuta Federico quella

Per cui delira?  – Qui al villaggio – o altrove?

ROSA.
Qui al villaggio – Era un giorno di festa:
L’ha veduta alla corsa dei buoi:

Da quel giorno n’ha in foco la testa…

Gli parliam… non risponde parola;

Quasi più non s’accorge di noi;
Nei suoi sogni, lei sempre – lei sola!
E da quel giorno sento dentro al core
Che gli sarà fatale quest’amore!
(s’odono voci di lontano)

FEDERICO (dal fondo, senza comparire).

Mamma… mamma!…

ROSA (correndogli contro).

Ah, figlio mio!

SCENA IV.

Federico e Detti.

FEDERICO (allegro e commosso, corre nelle braccia di Rosa).

Guardami, mamma, guardami in viso:
Gli occhi, la bocca, son tutto un riso.

ROSA (turbata).
Ma tremi intanto…

FEDERICO.
Sì di quel tremito
Per cui le gioje sembran dolor.

CORO (interno, lontano).

Evviva padron Marco! – Evviva! – Evviva!

ROSA.
Calmati e parla!…

FEDERICO.
Tremo d’amor!

ROSA.
Lo zio Marco?

FEDERICO.

 

Son volato innanzi a tutti, Tanto tanto era il desìo

Di parlarti io primo. O mamma, La mia bella Arlesiana

Non ha eguali sulla terra! L’amo… m’ama… Io son beato!

CORO (più vicino).

Evviva padron Marco, evviva, evviva!

FEDERICO.
Andiamo, andiamo; lo zio Marco arriva.
(escono tutti tranne Vivetta)

SCENA V.

Vivetta sola (quasi piangendo).

Nè un guardo solo a me, nè una parola!
O sogni miei dolcissimi! O fiorenti

Desir d’ogni mia notte… eccovi spenti!

SCENA VI.

Federico, Rosa, Vivetta, Baldassarre, l’Innocente, Padron Marco, il Coro.

CORO.
Su, su, allegri! e ci sgorghi dal core

Solo un canto, e sia un canto d’amore!

MARCO.
E tu, sorella, l’abito da festa

Vanne a vestirti, e tosto, neh! Poi corri
Ad Arles, dove farai della ragazza

Ai genitori suoi pronta richiesta.
Un cacciatore emerito par mio,
Ha naso ed occhi che fallir non sanno!
Ho fiutato, ho adocchiato, e in fè di Dio,
La preda è portentosa, e non m’inganno!

CORO.
Perchè indecisa? Eh via! Non indugiare! È questi un uom che non si può ingannare.
ROSA (a Federico, con tenerezza).

L’ami tu dunque tanto l’arlesiana?

FEDERICO.
Quanto non si può dire, o mamma, io l’amo.

ROSA.
Più di me stessa?

FEDERICO.

Qual domanda insana!

ROSA.
E tutti alla sposa
Rivolgi i tuoi pensier, tutto a lei doni,
Nulla, più nulla a me? Dio mel perdoni,
Sono di lei gelosa.

FEDERICO.
Oh, la brutta parola!
Tu stai qui sempre nel mio core, o mamma,
Ma non vi stai più sola.

BALDASSARRE.
Cos’hai, Vivetta? Così mesta sei?…

VIVETTA.
Io?… no, pastor…

BALDASSARRE.
Forse ti leggo in core.

VIVETTA.
No, non ho nulla:… andarmene vorrei!

MARCO.
Venite su con noi:
V’invito, amici, ad una bicchierata
Di lieti auguri, alle vicine nozze
Del nostro Federico.

TUTTI (eccetto Baldassarre).

Evviva padron Marco! Evviva! Evviva!
(escono tutti eccetto Baldassarre)

SCENA VII.

Baldassarre, Metifio, poi Rosa.

(Baldassarre segue gli altri, poi si arresta pensieroso, accende la pipa. Si batte due volte alla porta. Baldassarre va ad aprire ed entra Metifio, col mantello sulle spalle, una borsa di cuojo alla cintura, lo scudiscio alla mano.)

METIFIO.

(Baldassarre accenna di sì).
Padrona Rosa?

BALDASSARRE.
È su con gli altri; inneggiano alla sposa.

METIFIO.
Chiamala a me! Debbo parlar con lei.

BALDASSARRE (chiamando).

Padrona Rosa!… Ohè!

(Rosa compare alla finestra)
Venite giù!
C’è qui un uom che vi aspetta.

ROSA.
Non può salir quassù?
La casa mia non è già maledetta;
Neppur parata a bruno.

METIFIO.
Quello che a voi dirò,
Non dee sentir nessuno.

ROSA. (ch’è venuta giù).
Dunque parlate; ad ascoltar vi sto.

METIFIO.

Il figliuol vostro, a quel che mi fu detto,

Decise d’impalmarsi a una fanciulla
D’Arles. È ver?

ROSA.
Sì , vero. Li sentite

Come cantan lassù? Si sta bevendo

Il bicchier dell’augurio.

CORO (interno).

Il vino è dell’amor compagno fido;

Nel vino sta la vita, e nell’amor.

Dal nostro petto erompa un solo grido:

‘‘ Viva Bacco e la bella Arlesiana Che sa rapire i cor. „

METIFIO.

Ebbene… ebben voi state
Per dar sposa al figliuolo una sgualdrina!

BALDASSARRE.
Badate!

ROSA.
Vhe! Badate!

METIFIO.
Mi diè gli ardenti baci,
Ed i suoi turpi genitor lo sanno.

Capitò un dì pel suo, pel mio malanno
Il figliuol vostro… e allora
Con basse ingiurie e strane –
Tremo al ricordo ancora –
Mi cacciarono via peggio d’un cane.

BALDASSARRE.
Ma questo… questo che voi dite è orrendo.

ROSA

Se pur non è menzogna.

METIFIO.
A voi, leggete!
Son due lettere sue…

ROSA (dopo le prime parole, lascia cader le lettere, che Baldassarre raccoglie e legge).
Mio Dio!

METIFIO.
Comprendo.

Questa ch’io faccio è una vigliaccheria; Ma quella donna è mia!

ROSA.
State tranquillo – non verremo certo
A rapirvela noi!
Potete, è ver, lasciarmi

Quelle lettere?

METIFIO.
No; son le mie armi.

BALDASSARRE.
Conosco Federico, è un nobil core.

ROSA.
Ch’egli le legga, e tosto dal suo amore

Sarà guarito.

METIFIO.

Ebbene, sia!… tenetele!
Ma torneran domani,
Giurarmelo dovete, alle mie mani.

ROSA.

Ve lo giuro.

METIFIO

E sta bene.

Io mi chiamo Metifio, il guardiano
Di cavalli, laggiù nella palude

Di Pharaman. Non sono ignoto al vostro
Pastore. Addio!

BALDASSARRE e ROSA.
Addio!

SCENA VIII.

Federico e Detti.

FEDERICO (dal balcone).

Oh mamma, vieni su!

Senza di te, non si sta allegri più.
(Rosa gli fa cenno di scendere.)

FEDERICO (sceso nel cortile).
Nel colmo del piacer, cantiamo, amici; Cantiamo alla bellezza i primi onor; Dei nostri amor cantiam, lieti e felici! Viva Bacco, e la bella Arlesïana Che m’ha rapito il cor!

ROSA.
Guai a te!… Guai a te, se ne pronunci
Pur solamente il nome!

FEDERICO.
Che? Che dicesti?

ROSA.
Dico

Ch’è la più turpe delle donne!

BALDASSARRE.
Leggi!

(Gli porge le lettere che Federico legge; poi si lascia cadere sull’orlo del pozzo con la testa fra le mani.)

CADE LA TELA.

ATTO SECONDO

LE RIVE DELLO STAGNO DEL VACARES NELLA CAMARGA.

A destra, un canneto. – A sinistra, un ovile. – Immenso orizzonte deserto. – Sul davanti, delle tagliate, riunite in fasci, con sopra una gran falce.

SCENA PRIMA.

Rosa e Vivetta.

ROSA.
L’hai tu veduto?

VIVETTA.
Ancor non apparia
La stella del mattin, che a ricercarlo
M’ero già posta in via.
L’ho chiamato per nome
Penetrando i canneti;
L’eco soltanto rispondeami come
Lamento, e vana fu la voce mia.

ROSA.
Non ritorna!
(piange)
Oh! Le sue dighe il Rodano
Rompa, e si porti via
La città d’Arles, con tutte le sue donne!

 

 

 

VIVETTA

Che ancora senta amore
Per quella donna là?
Che nulla mai dal core
Strappargliela potrà?

ROSA (guardandola fisa).

Amore amor discaccia,
E un’altra donna… forse…

VIVETTA.
Un’altra? Voi,
Madrina, lo credete?

ROSA.
Guardami bene in faccia!
Un’altra, sì… che fosse buona.

VIVETTA.
E poi?

ROSA.
Ed anche bella: tal che un suo sorriso
Bastasse a fargli radïante il viso.

VIVETTA.
Ma quella donna…

ROSA.
Quella
Esser puoi tu.

VIVETTA.
Mi fate
Celia, madrina.

ROSA.
E ridi?

VIVETTA (con grazia).

Io non son bella!

ROSA.
Credi?

VIVETTA (c. s.).

Nessun mi guarda…
E poi… io Federico
Non amo.

ROSA (carezzandola).

Oh, la bugiarda!

VIVETTA (dopo molta agitazione, risoluta).

Ebbene, io l’amo, è vero.
E negarlo, perché…
Se questo amor sincero
È ormai tutto per me?!

E questo amore è il lungo mio tormento; Infelice io mi sento.
Tentai più volte e invano d’obliarlo:
Io non posso che amarlo!

ROSA.
Se tanto l’ami, diglielo…
(con tenerezza)
Va, Vivetta, ten prego, e fatti amare!
Tu me lo puoi guarire.

VIVETTA.
Illusïone! Io so che non son nata,
Io che l’amo, a salvarlo.

Non ho nè man, nè piè, nè occhî di fata,
Per entrargli nel core e ammalïarlo.
Nessun non ho dei fascini
Della beltà.

ROSA.
Tutti averli potrai;
Sei bella, e non lo sai.
Vien qua da me… vien qua!
(aggiustandole le vesti, e ravviandole i capelli)
Stringi un po’ più il corsetto…
E così il fazzoletto…
(aprendoglielo un pochino)
All’Arlesiana!
Oh quanta e qual dolcezza
(guardandola)
Nel tuo fiorente aspetto!
E questo riccio
Impertinente,
Scherzi a capriccio
Sulla tua fronte.
Questa boccuccia ch’è sempre chiusa,
Aprila un po’… così, che s’indovini
La cara fonte
Dei casti risolini,
Dei sorrisi procaci
Che fanno invito ai baci.

VIVETTA.

Non dite più… son già tutta una brace Le mie gote. Ho vergogna.

ROSA.
Chi vuole amor, bisogna
Che sappia esser audace.

VIVETTA (cercando sfuggire).

Io no, che osar non so…

ROSA (trattenendola).

Vien qua, vien qua…

VIVETTA (liberandosi).

No, no!…
(esce, correndo, dal fondo. – Rosa da destra)

SCENA II.

Baldassarre e l’Innocente.

BALDASSARRE (accennando Vivetta che esce dal fondo, mentre egli compare da sinistra).

Ehi, come corre; e sì che non ha il lupo Alle spalle…

L’INNOCENTE (fra sè).
La povera capretta
Pascea lungo il dirupo…
Poi s’è battuta… e… aspetta
Che mi ricordi…
(a Baldassarre)
Non ricordo più.
Ho fame.

BALDASSARRE.
Entra, se hai fame, nell’ovile.
L’INNOCENTE (all’entrare nell’ovile, dà un grido, e si ritrae).

BALDASSARRE.
Che cos’è stato?

L’INNOCENTE.
È là!…

BALDASSARRE.
Chi?…

L’INNOCENTE.
Federico.

SCENA III.

Federico e Detti.

BALDASSARRE (a Federico che si presenta sulla porta dell’ovile, pallido e sconvolto).
Che facevi tu là?

FEDERICO.
Nulla.
BALDASSARRE.
Tua madre
Ti cercava…

FEDERICO.
L’intesi.
BALDASSARRE.
E non sei corso
Subito a lei, ch’era tanto affannata?
Vivetta anch’essa ti ha chiamato tanto.

FEDERICO.
Quelle due donne mi dàn noja. Voglio
Solo restar coi miei pensier.

BALDASSARRE.
Tu soffri?!

FEDERICO.
No, non è ver, non soffro.

BALDASSARRE.
Passi le notti a piangere.

FEDERICO.
Ma come
Puoi tu saperlo?

BALDASSARRE.
Io sono un po’ stregone.

FEDERICO.

Ebben, sì, soffro di gelosia;
Soffro, e di rabbia mi scoppia il cor!
Ma tu, se m’ami, s’hai la magìa,
Dammi tu un filtro contro l’amor!

BALDASSARRE.
Lavora!…

FEDERICO.
Ho lavorato
Tanto, tanto, che fui presso a morire
Di fatica… e non ho dimenticato!

BALDASSARRE.
Vieni con me sui monti,
Godrai vasti orizzonti;
Cantan lassù coi zeffiri i ruscelli,
Ai fiori, all’erbe, al sol cantan gli augelli.

FEDERICO.
I tuoi monti non son lungi abbastanza.

BALDASSARRE.
Va su pel mar…

FEDERICO (con amarezza).

Nemmeno il mar lontano
È per me!…

BALDASSARRE.
Dove allor… dove anderai?

FEDERICO (esasperato).

Soffro tanto, pastor, che tutto è vano,
Tranne il morir!

BALDASSARRE (supplichevole).

Vieni con me sui monti;
Non è per te il morire;
La vita è bella e lieto è l’avvenire,
Allor che vibra in noi la gioventù!

Io pure amai con vivo e casto affetto E dovetti fuggire
Da lei che pari ardor celava in petto.
Ma, sposa al mio padron, sacra mi fu!

FEDERICO.
T’ammiro, o vecchio virtuoso e forte:

Ma tal core non ho – Meglio la morte!
(si ode il suono d’una cornamusa)

BALDASSARRE.
Ecco, finisce il dì.
Sono chiamato a ricondur gli armenti
Ne le lor stalle.
(all’Innocente)
Aspettami tu qui!
(esce)

CORO (interno).
La stella d’or
Che il suo splendor
Raggiava ai fiori,
Laggiù sen muor
La stella dei dolci amori.

SCENA IV.

Federico e l’Innocente.

FEDERICO (fra sè).
Portan tutti sul core,
Gl’innamorati, lettere d’amore.
Ed io vi porto queste
Che son la prova del suo tradimento.
E m’avvelenan gli occhi,
Solo a guardarle – e il leggerle è tormento!
(legge)
“ Sì, sempre tua, nelle tue braccia, sempre „ Infame – infame!

L’INNOCENTE (in dormiveglia).
Il sol tramonta – scende la sera.

FEDERICO (colpito sinistramente).
la solita storia del pastore. Il povero ragazzo
Voleva raccontarla, e si addormì.
(lo contempla, poi lo ricopre col suo mantello)
C’è nel sonno l’oblìo – come l’invidio!

Anch’io vorrei dormir così:
Nel sonno almen l’oblìo trovar!
Vorrei sentir sugli occhi un vel
Come sospir lene calar!

Ma ogni sforzo è già vano: ohimè! Davante Mi sta sempre quel suo dolce sembiante.
O bella pace, da quanti dì

Sei tu fuggita lungi da me!
Lei, sempre lei, mi parla al cor. Fatale
Vision, mi lascia! Mi fai tanto male!

SCENA V.

Vivetta e Detti.

(Vivetta entra pian piano, e si avanza lentamente, non veduta)

FEDERICO.
Dormìa quest’Innocente,
Come ora dorme. Io lo vegliavo… È stata
L’ultima volta… l’ultima che venne
Piano piano, fra i gelsi, inaspettata,
E mi chiamò per nome…

VIVETTA (piano alle sue spalle).

Federico…

FEDERICO (trasalendo).

La strana illusione!… Ho la sua voce
Negli orecchi… – E poichè non mi voltavo,
Lei scosse i gelsi. Fu una pioggia vera
Di fior sulla mia testa,

(Vivetta dopo aver raccolto dei fiori di campo, glieli fa cadere sul capo)

E si diè forte a ridere,
Con trilli che parean di capinera.

VIVETTA (ridendo).

Ah!, ah!, ah!, ah!

FEDERICO

Sei tu?

VIVETTA.
Son io.

FEDERICO.
Mi hai fatto
Un gran male.

VIVETTA.
Ah! ah! ah!

FEDERICO (brusco).

Ma cessa, cessa!
Quel tuo riso m’irrita.

VIVETTA (confusa).
Io, vedi, io t’amo!
E mi fu detto: ridi
Se vuoi piacere agli uomini.

FEDERICO (sorpreso).

Tu m’ami?

VIVETTA.
Sin da quando ero piccina.

FEDERICO.
Dici proprio davver?

VIVETTA.
E quanto, e quanto t’amo!

FEDERICO.
Oh, poverina!

VIVETTA (con grazia).

E quando si andava i fior del minio a mietere

Sullo spuntar del dì.
Te ne ricordi?

FEDERICO (brusco).

No!
VIVETTA.
Te ne ricordi…
(dolce)
Sì!
Quando le nostre dita a piè degli alberi
S’incontravan così,
(prendendogli le mani)
Tra le foglie, se a caso… non lo so…
Te ne ricordi?

FEDERICO.

No!

VIVETTA.
Te ne ricordi… Sì!

Io già t’amavo allora, e un caldo fremito
A quell’incontro mi correa le vene.
Già fin d’allor sentia d’amore i palpiti,
Ma tu, lo so, non mi volevi bene.

FEDERICO.
Mai non t’ho amata, e mai non t’amerò.

VIVETTA.
Neppur, neppur se quella per cui spasimi
Più non amassi?

FEDERICO.
No, neppure; il mio
Cuore è morto.

VIVETTA

Il tuo cuore è ammalato:

Va, Vivetta, m’ha detto: fatti amare; Tu me lo puoi guarire.

Vederti, ed esser qui, a te vicina… Io null’altro bramava – ero felice – Ma ora che ho detto – t’amo! – ora Non potrò più – non potrò più guardarti.

FEDERICO.
Non era misero
Abbastanza; dovea questo toccarmi
Novo supplizio
Delle tue lagrime.
Va! Va!
(fugge via come un forsennato)

VIVETTA (cade in ginocchio, singhiozzando).

Mio Dio, mio Dio!

SCENA VI.

Rosa, Baldassarre e Detta.

ROSA.
Ma perchè piangi?

VIVETTA.
Ah, madrina…

ROSA.
Ma che avvenne?

VIVETTA.

Sapeste che m’ha detto!… Com’egli m’ha parlato!

ROSA.
Federico?

VIVETTA.
Sì, lui…

ROSA.
E dove è andato?

VIVETTA.
E là! Egli viene.
(allontanandosi)

SCENA VII.

Federico e Detti.

ROSA.
Oh, come se’ intristito!

Mi strazia di guardarti.

FEDERICO (come se non le badasse).
Parla… ti ascolto!

ROSA.
Di’, sempre tu l’ami,
Tu, quella donna?

FEDERICO.
Oh, basta…

ROSA.
Sì, ma vedi!…
Se il tuo dolor… s’altro rimedio…

FEDERICO.

Mamma…

ROSA.
Piuttosto che morir… sposala!…

FEDERICO.
Ah, no!
Non è possibil, madre mia. Che cosa
Sia quella donna tu ben sai.

ROSA.
Che importa?
Non voglio io che tu muoja!

FEDERICO.
La donna che portar dovrà il mio nome,

Ne sarà degna: a te lo giuro, e a Dio!
(a Vivetta che rientra)
Vivetta! a me! – questa la conoscete?!
(prendendola per mano)
Tu che hai già pianto,
Di me pietosa,

Tu puoi soltanto
Dirti mia sposa.

VIVETTA (sorpresa, esitante, fra sè).
È sogno… è amor?

ROSA (commossa).

Ah, figlio!

BALDASSARRE.
Lei?

VIVETTA.
Io sposa tua?

FEDERICO.

M’hai detto:
Tu sei malato,
Poss’io guarirti,
Ti guarirò –
Or dunque, prendimi: mi dono a te.

VIVETTA (gettandosi fra le braccia di Rosa).
Tu gli rispondi, mamma, per me!

BALDASSARRE.
Bravo, ragazzo mio! Sei dell’antica
Tempra anche tu! Che Dio ti benedica!!

CADE LA TELA.

ATTO TERZO

IL CORTILE DI CASTELET.

Come nel primo atto, ma pulito, ordinato, con un’aria di festa. – Ai lati della porta del fondo, un albero di maggio, tutto inghirlandato di fiori. – Al disopra della porta, un mazzo colossale di spighe verdi, di fiorellini di campo, papaveri, e via dicendo. – Un va e vieni di servi e di fantesche vestite di festa. – Davanti al pozzo, una fantesca che riempie una brocca. Di tanto in tanto, il vento reca suono di campane a festa.

SCENA I.

TUTTI.

Le biade onuste piegano
Dolci la bionda testa,
Ed i pampini in festa
Dell’oro hanno il color.
Di spighe e pampini
Festivo dono,
Propizî il provvido
Nostro Patrono.

Nè rose e anemoni
Han qui a mancar,
Fraganti e vividi
Serti a intrecciar.
Su! la farandola
I cor sollevi
Co’ giri rapidi,
Co’ salti lievi.

Dai lunghi tedî
Ciascun riposi;
Giorno è di giubilo:
Vivan gli sposi!

SCENA II.

Detti, Baldassarre e Marco.

BALDASSARRE.
O bella, allegra gioventù, buon dì!

ALCUNE DEL CORO.
O papà Baldassarre, anche voi qui,

Per le nozze?

BALDASSARRE.
Sì, certo!
(tutti circondano il pastore)
Ho dato moglie al padre del ragazzo,
E l’ho data anche al nonno.

Malgrado lo strapazzo
Del viaggio alla mia età,
Prima d’aver queste pupille immote
Nel lungo, ultimo sonno,
Voglio provar la gran felicità
Di darla anche al nipote.

ALCUNI.
Dan solenne promessa oggi….

ALTRI.
Domani
I regali; poi…

BALDASSARRE.
Sabato le nozze.
Ed io la stessa sera,

Mentre andranno le lucciole,
Fra i tepor de la nôva primavera,
Raminghe alla campagna,
Randello in pugno… e su per montagna!

ALCUNI.

Tanto presto perchè vuoi partire?

BALDASSARRE.

Tra il mio gregge, con gli occhî alle stelle, Voglio, amici, sull’alpi morire.

MARCO (che da un pezzo sarà comparso al balcone, vestito a festa).

Oh, Baldassarre amabile…
(Baldassarre s’inchina)

ALCUNI (additandosi Marco).

Oh, guardate
Padron Marco, ah!, ah!, ah!
(ridendo)
Com’egli è buffo lassù…

ALTRI.
Non gridate:
Può ascoltarvi di là.

MARCO.
E gli sposi che non giungono?!…
Perchè così tardar?

ALCUNI.
A momenti saran qua.

MARCO.
Ho appetito e vo’ mangiar.

TUTTI.
Ah, ah, ah, rider ci fa!

MARCO.
O Baldassarre amabile,
Ramingo alla campagna,
Come ne van le lucciole,
Io vorrei teco andar.

TUTTI.
Ah, ah, ah, rider ci fa!
(si ode il suono della fanfara lontana)

ALCUNI.
Oh, il corteo di Sant’Eligio!

BALDASSARRE.
Dunque
Già vicini gli sposi. Sulla via
Guardate un po’.

ALTRI.
Sì, sì, vengon: li vedo.

MARCO.
Meno male!

TUTTI.
E che gente e che allegria!

VOCI INTERNE.
Vivan Vivetta e Federico!

TUTTI (in gran movimento).
Viva!

SCENA III.

Detti, Vivetta, Federico, Rosa, l’Innocente.

(Entrano dal fondo, tutti vestiti a festa. Vivetta e Federico conducono la vecchia Renaud sotto il
braccio. Li accompagna Rosa e grande quantità di gente.)

TUTTI.

Tralci, ghirlande e pampini
Ed odorosi fiori
Sempre, o cari, circondino
I vostri casti amori!

MARCO.

Andiam, che alfin
La pentola vaneggia:
Spillato è il vin,
E nei bicchieri spumeggia!

FEDERICO.

Tutti v’invito nella fattoria…

TUTTI.

Vivan gli sposi, il vino e l’allegria!
(tutti entrano nella fattoria meno Federico e Vivetta)

SCENA IV.

Federico e Vivetta.

FEDERICO.

Non lo negar, non sei felice.

VIVETTA.

Tanto
Felice, sì!

FEDERICO.
Temi pel tuo malato…
Ti rassicura; egli è guarito.

VIVETTA.
Credi

D’esserlo, e forse…

FEDERICO.

Ascolta:
D’allor che fui tanto ammalato…

VIVETTA.
Ah, taci!

FEDERICO.
Di quella malattia questa memoria
Solo rimase in me: che una mattina
M’apriron nella stanza una finestra.
Oh, la buon’aria che venìa dal Rodano,
Piena d’effluvî a carezzarmi il viso,
Quella mattina! Il ciel mi parea più limpido,
E più frondosi gli alberi. Cantavano
Le cingallegre più amorosi canti,
E più freschi, e più gai. Per ogni vena
Il sangue mi correa ringagliardito;
Io era alfin guarito!

VIVETTA.

Ma a quell’altra che ti ha fatto il gran male, Proprio non pensi più?

FEDERICO.
Penso a te sola.

VIVETTA (esitante).

E allor… perdona: ma perchè le serbi
Sempre qui, sul tuo cor…

FEDERICO.
Non serbo io nulla!

VIVETTA.

Sì, le lettere sue…

FEDERICO.
Che? tu sapevi?
Le ho conservate, è ver, troppo gran tempo.
Era una triste smania
Di conoscer quell’uom; ma adesso… guarda!

VIVETTA.
Non ci son più?

FEDERICO.
Stamane Baldassarre
Glie le andò a riportar.

VIVETTA.
Tu questo hai fatto?
Oh Federico, oh come t’amo!

FEDERICO.
Ed ora,
Dolce Vivetta mia, lo crederai
Che il mio labbro il ver ti dice?
Non ti voglio, no, ingannare;
Fino a jeri non t’amai,

T’amo adesso, e son felice.

VIVETTA.
Mira, tesor, negli occhî
Del mio affetto la luce… l’ardor;
Deh, mira, oh dolce amor!

FEDERICO.
Stringimi al sen, Vivetta!
T’amo tanto, mio candido fior!

Deh! vieni sul mio cor!

VIVETTA.
Dillo ancora!… oh dolcissima ebbrezza!
Luce, vita è il tuo amore per me…

FEDERICO.
Vien, ch’io senta la casta carezza…
Più soave altro al mondo non è.

VIVETTA.

Io l’amor tuo sol bramo!

FEDERICO.

T’amo, Vivetta, t’amo!
(escono)

SCENA V.

Baldassarre e Metifio, poi Federico
Vivetta e Rosa.

(Metifio entra vivamente; fa qualche passo incerto, poi va a bussare alla porta, quando riappare Baldassarre.)

BALDASSARRE.
Sei tu? Che vuoi?

METIFIO.
Le mie
Lettere!

BALDASSARRE.
Come? Le portai stamani
A tuo padre!

METIFIO.

Capisco… son due notti
Che dormo ad Arles…

BALDASSARRE.
Ah, ah!
Dunque continua…

METIFIO.
Sempre.

BALDASSARRE.
Davver? Dopo la storia
Delle lettere, appunto, avrei creduto
Il contrario.
(Vivetta e Federico attraversano la scena nel fondo)

METIFIO.
Perdonano le donne,
Quando per lor siam vili,
Ogni nostra viltà.

BALDASSARRE.
Che Dio t’ajuti,
Giovinotto. Guarir tu possa, come
Qui è guarito il ragazzo. Ei prende moglie,
(ricompajono in fondo Federico e Vivetta e restano ad ascoltare)
Fra quattro giorni, e sposa
Un’onesta fanciulla.

METIFIO.
Oh, lui felice,
Davvero! Lui che le potrà dormire
Sul cor tranquillamente.
Fra noi smanie, rimbrotti,
Ed impeti feroci
Di gelosia. Così passan le notti…
Ma tanto inferno ormai
Sta per finire. Insiem vivremo e allora,

Ari per bene, ari diritto… o guai!

BALDASSARRE.
Che? vi sposate?
(Federico e Vivetta, ch’erano scomparsi, tornano in scena)

METIFIO.
No, ma la rapisco.
Se col gregge stanotte tu stai,
La pianura percossa udirai
Da un galoppo terribile. In sella,
Stretta a me, griderà la mia bella,
Ma il suo grido col vento ne andrà!

BALDASSARRE.
Molto tu l’ami quella maledetta

Arlesïana?

METIFIO.
Sì, per il momento
Sono il suo bel capriccio. Alla ventura
Correr le strade, sapersi inseguita,
Tremar dalla paura,
Mutar d’alberghi, e non aver mai pace
Nel cor, mai nella testa
Sonno o quiete, a lei questo sol piace.
Canta, uccello di mar, con la tempesta.
(a parte sempre in fondo alla scena)

FEDERICO.

Ah, finalmente – è lui.

VIVETTA.
Meco ne vieni.

FEDERICO.
Lasciami!…

VIVETTA.
No, non restar qui!…

FEDERICO.

Ma vattene!

VIVETTA.

Ah, l’ama ancora… Federico!…

FEDERICO.

Vattene.
(la respinge, facendola cadere)

FEDERICO.
Era un villano pari mio.

Ah, ah, ah!
E a parlarne vien qui, che ancor l’aroma
Delle sue carni esala! Ed ei me noma
Il fortunato! Me, me che darei,

Per sola un’ora del suo purgatorio,
Tutto il mio paradiso. Maledetto!

METIFIO.

Parto, sì, ma ho paura. Al mio buon vecchio Penso che solo lascierò…

BALDASSARRE.
Rimani,
Dunque. Rinunzia a quella donna,
(Federico si avvicina)
e prendi
Moglie anche tu…

METIFIO.
Non posso: è così bella!

FEDERICO (slanciandosi).

Lo so ch’è bella,
Per Dio, lo so!

Ma tu, tu riportarmene novella
Proprio in quest’ora, e qui? T’ucciderò!

(afferra uno dei grossi martelli con cui si sono piantati gli alberi di maggio)

METIFIO.
Indietro… o ch’io…

FEDERICO.
Difenditi, bandito!

BALDASSARRE (frapponendosi).

Ah, no, che fai?

FEDERICO (svincolandosi).

Va via, ti scosta!…
(Vivetta, uscita per chiamare Rosa, accorre con costei.)

ROSA (tenendo Federico per le braccia).
Ah, spezza

Prima a tua madre il cor.

VIVETTA (trattenendolo anche lei).

No, Federico!

(Federico si ferma, vacilla, la scure gli cade dalle mani. Nello stesso punto appariscono le fiaccole del corteo di Sant’Eligio, e gran folla che, naturalmente, separa i contendenti.)

CORO.
Sant’Eligio! Alla farandola
Ci apprestiamo…

ALTRI (accorsi alle finestre).
Danze, danze!

CADE LA TELA.

ATTO QUARTO
Una grande sala con larga finestra e balcone in fondo. – A sinistra, la camera dei figliuoli. – A destra una scala di legno che mette nel fienile, presso la porta della camera di Rosa.
Al levar della tela, la scena è vuota. – Entra poi Rosa con una lucerna in mano; la posa su di una sedia, va al balcone, e guarda un momento fuori, poi torna.

SCENA PRIMA.

ROSA sola.

Oh! come ardea! Che fiamma avea negli occhi!
Che strano riso gl’increspava il labbro!…
Era il re della festa e del baccano…
Che danza scapigliata e quali grida!
Ah, di falsa allegria egli si ammanta
Per ingannarmi!
Dianzi quando disse:

“ Addio Vivetta „ un altro già parea. La poverina gli stendea la mano;

Ei non la vide… ed ella uscì pian piano… Ai miei ginocchi il trassi, lo baciai:
Più volte chiesi: figlio mio, che hai?

– Sono stanco, rispose, tanto stanco – E andò a dormire…

Ah, credergli potessi!

Esser madre è un inferno! Ho dolorato
Fino quasi a morirne, il dì che venne
Alla luce. Era gracile, sottile,
Con gli occhi smorti, e senza neppur voce

Per piangere…
(volgendo gli occhi al cielo)
Signor, tu che m’hai vista
Alla sua cuna in quelle paurose
Notti della sua infanzia… e tu lo sai
Che te l’ho disputato ora per ora,
Con la fronte dimessa al pavimento,
E con le palme aperte, in te converse,
Invocando il tuo nome! Io da quei giorni

Non ebbi requie più. Sai che gli ho dato,
A brani a brani l’anima, per farne
Un bello, un forte giovanotto, amore
E orgoglio mio! Sai che se muor, nè un’ora
Gli sopravvivo, e morirò… dannata!

O buon Signore! Io t’ho pregato tanto,
Ma sempre invano! Abbi di me pietà!
Troppe dagli occhi miei stille di pianto
Sono già corse: altre il mio cor non n’ha.
Piangeva anch’essa, la tua mamma, ai piedi
Della tua croce. O mio Signor, non vedi
Queste lacrime mie? Salvami il figlio!
(si odono di lontano i suoni delle danze)
Che notte!
(si alza)
Quale veglia!…
(s’apre vivamente la porta della camera a sinistra)
Chi va là?!

SCENA II.

Rosa, l’Innocente.

(L’Innocente esce dalla camera di sinistra, scalzo, i capelli arruffati, mezzo vestito, i calzoni tenuti su da una sola bretella. I suoi occhi brillano; nel suo volto c’è un’espressione di vita, un che di aperto e d’insolito.)

L’INNOCENTE.
Mamma…

ROSA.
Sei tu? Che vuoi?

L’INNOCENTE.
Va pure a letto – senza paura,
Chè questa notte – nulla accadrà!

ROSA.
Ma tu sai, dunque?…

L’INNOCENTE.
So che un enorme
Dolor l’opprime, so che una dura,
Crudel, lo spinge fatalità.
Io su lui vigilo…

ROSA.
Tu?

L’INNOCENTE.
Ti stupisce?

Quando il pastor dicea: si sveglia!
Il buon pastore non s’ingannava.

Il bimbo è sveglio, vede, e capisce.

ROSA.
Oh, mio Innocente…

L’INNOCENTE.
No, no, da brava!

Non Innocente: Giovanni è il nome
Che al sacro fonte dato mi fu.

ROSA.
Ma come avvenne?

L’INNOCENTE.
Non lo so come,
Ma scemi in casa… non ve n’è più.

ROSA.
No, taci, ahimè!

L’INNOCENTE.
Mamma… perchè?!

ROSA.
Nulla; son pazza – pazza son io!
Tu pur sei figlio – sei sangue mio.
(attirandolo a sè)
Vieni, ti siedi sui miei ginocchi!
(accarezzandolo)
Grande sei fatto, e bello.
Di nôva luce ti splendon gli occhi.
Somigli a tuo fratello.

L’INNOCENTE.
Baciami, o mamma!

ROSA.
Sì, tante volte – non una sola!

L’INNOCENTE.
Oh, i dolci baci ch’ora mi dai!
Così amorosi non n’ebbi mai!

ROSA (mal dissimulando l’agitazione dell’animo).

Va, figliuol mio, a dormir…

L’INNOCENTE.

Ancora un bacio…

ROSA (lo bacia).

Va!
(l’Innocente rientra nella sua camera)

SCENA III.

Rosa sola.

Di scemi in casa non ve n’è più.
E se dovesse questo portarci
Sventura?…
(si arresta pensando; poi, scuotendosi)
Folle son io, il Signore
Tal castigo alle gioje non dà.
(china un istante la testa dinanzi a una Madonna dipinta sul muro, poi va verso la camera dei figli, e rimane in ascolto)
Dormono entrambi… grazie, Signor!

(va a chiudere la finestra in fondo, poi entra nella sua camera a destra, lasciandone aperta la porta. Spunta appena l’alba che illumina fiocamente la vetrata.)

SCENA IV.

Federico, Rosa poi l’Innocente.

FEDERICO (quasi svestito, con la ciera stravolta. Si mette in ascolto, si arresta, poi a bassa voce).

Già spunta il dì… È la storia del pastore:
“ Lottò tutta la notte…

Ma quando il sol spuntò… „

 

Ti strapperò ben io dagli occhî miei!
(si slancia su per la scala)

ROSA (dalla sua camera, chiamando).

Federico… sei tu?

(Federico si ferma a mezza scala, vacillante. Rosa dalla sua camera corre a quella dei figli, ed appena vi ha guardato entro getta un grido)
Ah!
(si volge indietro, e vede Federico sulla scala)
Dove vai?

FEDERICO (fuori di sè).

E tu, non l’odi, tu laggiù il galoppo?

Grida ahi! povera bella e vuol strapparsi
Alle sue braccia. Invano!
Squarcian le selci le ferrate zampe
Del suo cavallo…
(protendendo le braccia verso il fondo)
Aspettate… aspettatemi!…
(continua su per la scala. Rosa si getta a corpo perduto per raggiungerlo. Federico richiude la porta dietro di sé; ella spinge con furia disperata)

ROSA.
Ah, figlio, per pietà, m’apri! deh! m’apri! Con te mi porta, nella tua morte.
(scende la scala gridando disperatamente)
Al soccorso, al soccorso!!…

(si precipita verso la finestra, l’apre, guarda e cade riversa, mandando un grido straziante)
Ah!
L’INNOCENTE (accorrendo).
Mamma! mamma!
(s’inginocchia presso la madre)

CADE LA TELA.

Exit mobile version