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Libretto “La catena d’Adone” di Domenico Mazzocchi

La catena d’Adone

Favola boschereccia

Libretto di Ottavio Tronsarelli
Musica di Domenico Mazzocchi

Prima esecuzione: 12 febbraio 1626, Roma, Palazzo Conti.

Interlocutori:

APOLLO tenore
FALSIRENA maga soprano
IDONIA consigliere di Falsirena soprano
ADONE contralto
ORASPE governatore de’ luoghi di Falsirena tenore
ARSETE consigliere di Falsirena basso
PLUTONE basso
VENERE soprano
AMORE soprano
ECO contralto

Ciclopi ministri di Vulcano. Coro di Ninfe e Pastori. Ballarini.

Libretto – La catena d’Adone

All’illustrissimo…
…e eccellentissimo signore padron mio colendissimo, il signor Giovan Giorgio Aldobrandino principe di Rossano.
Apollo dio della luce par, ch’in sul mattino non sappia apparire all’altrui vista, se non ha per iscorta lucidi raggi di purissima stella; e il mio Apollo sdegna, che da altri fia rimirato, se non porta in fronte il chiaro splendore delle sue nobilissime stelle. Io, mentre tentai l’impresa de questa opera, ebbi sempre inanzi a gli occhi le virtù di v. e., e stimai pronto l’aiuto delle muse, ove era presente sì gran lume di poesia. Or, che dunque con questa prova del mio ingegno devo palesarmi al mondo, gloriosamente ambizioso a lei ricorro, e se gli antichi, ne’ luoghi da consacrarsi, in segno di riverenza solevano affiger le stelle, io non con altro segno che delle sue famose stelle cerco, che la mia favola all’immortalità si consacri. Perciò offero a v. e. con La catena d’Adone quella della mia servitù; e, se l’una ebbe Apollo per suo inventore, l’altra si vanti, d’aver meritato nuovo Apollo per suo signore. A questa mia Catena fia chiaro cielo d’onore il campo sereno delle sue stelle, le quali tanto di fama, e di gloria le aggiungano, quanto in sé hanno di splendore, e di virtù; ch’io per tanto, con ammirar le grandezze di v. e., umilmente me le inchino.

Di Roma nel dì 30 di marzo 1626.
Di v. e.
umilissimo e devotissimo servitore
Ottavio Tronsarelli

Ai lettori
Questa favola descritta nel poema del cavalier Marino a voi s’appresenta sparsa di pensieri, e ripiena d’affetti; alterata però con invenzioni dal signor Ottavio Tronsarelli, e ristretta nel termine d’un giro di sole; tra lo spazio di brevissimi giorni composta, e con non minore velocità di tempo d’alcune macchine abbellita, e mirabilmente rappresentata nel palazzo dell’illustrissimo sig. marchese Evandro Conti; non riempita da importuna lunghezza di vani intermedi, che, alienando le menti de gli uditori, non adornano, ma adombrano le azioni, ordinata con singolare accortezza dal signor Francesco de Cuppis, dalle note squisite del signor Domenico Mazzocchi raddolcita, e da rare voci di famosissimi cantori sommamente onorata. Testimonio d’ogni mio detto sono i principi, e le principesse di Roma, che con lo splendore della loro presenza illustrarono il teatro di questa nobil favola, ove comparve l’Invidia, e al favorevol suono dell’amico Plauso in sé cadde, e tacque.
Avvertimento.
Le voci stelle, fato, fortuna, dèi, e simili poeticamente espressi, devono essere cattolicamente interpretate, e la favola, che nelle persone è profana, nell’allegoria è cristiana.

Argomento della favola
Adone, fuggendo lo sdegno di Marte, arriva tra rozzi boschi, antiche abitazioni della maga Falsirena, dove ella di lui s’innamora; con apparenza di giardini l’alletta, con una catena incantata il ritiene, con preghiere il persuade, e con forza l’assale. Ma nulla giova al temerario desiderio. Onde la maga con accortezza giudica, ch’egli abbia il cuor acceso dell’amore d’altra donna. Però invoca Plutone, per saper da lui, chi sia la sua rivale, e inteso, ch’era Venere, in virtù dell’arte magica prende l’aspetto della dèa, e si presenta inanzi al travagliato Adone, il quale la stima per la sua amata Venere; e mentre presta fede a tal menzogna, in aria apparisce la vera Venere, che già aveva placato lo sdegno di Marte, scopre al caro Adone gl’inganni della falsa dèa, e per castigo fa, ch’ella da Amore sia legata ad uno scoglio con l’istessa catena, che aveva stretto l’incantato garzone. Poi Venere, Adone, e Amore tornando al loro albergo, e cantando la lor vittoria, riempiono di concento i campi, e di contento i cuori.

Allegoria della favola
Falsirena da Arsete consigliata al bene: ma da Idonia persuasa al male, è l’anima consigliata dalla ragione: ma persuasa dalla concupiscenza. E come Falsirena a Idonia facilmente cede, così mostra, ch’ogni affetto è dal senso agevolmente superato. E se finalmente a duro scoglio è legata la malvagia Falsirena, si deve anco intendere, che la pena al fine è seguace de la colpa.
Adone poi, che lontano dalla deità di Venere patisce incontri di vari travagli, è l’uomo, che lontano da dio incorre in molti errori. Ma come Venere, a lui ritornando, il libera d’ogni affanno, ed ogni felicità gli apporta, così iddio, dopo ch’a noi ritorna co ‘l suo efficace aiuto, ne fa avanzare sopra i danni terreni, e ne rende partecipi delli piaceri celesti.

Prologo

Scena unica
Apollo, Ciclopi.
Argomento.
Viene Apollo sopra una nuvola; espone, chi egli sia, e come tra Venere, e lui son nate gravissime cagioni d’odio, e si duole, ch’ella intanto si viva lieta dell’amore d’Adone. Però scende nel piano d’una scena, che rappresenta ombroso bosco, e determina d’andare all’antro di Vulcano marito di Venere, e di scoprirgli quest’amore, e far da lui fabbricare una catena di tempre divine, per imprigionare il garzone, e tenerlo lontano da Venere, e in tal guisa egli offender la dèa, e Vulcano vendicarsi d’Adone. S’apre la prospettiva, e si muta nella grotta di Vulcano, dove si scorgono i Ciclopi, che, battendo le saette a Giove, cantano allegra canzone. Apollo entra. La grotta si chiude, e ritorna la prospettiva con aspetto boschereccio.

[Aria recitativa di sei parti]

APOLLO
De’ puri campi regnator lucente
abbandono del ciel la via serena,
e scendo a l’altrui danno, a l’altrui pena
nume più d’odii, che di raggi ardente.
Già scopersi a Vulcan l’occulte frodi
de l’impura d’Amor madre fallace,
e con lei vidi entro prigion tenace
il dio del ferro avvinto in ferrei nodi.
Ond’io, che disvelai la colpa antica,
provo ogni or contro me folgori d’ira;
ed ella intanto per Adon sospira
ad ogni altro gioconda, a me nemica.
Or, che fugge il garzon gli altrui furori,
ver l’antro di Vulcan drizzo le piante,
e d’odii vago, e di vendette amante,
se baleno splendor, fulmino orrori.
Vuò, che con tempre sovr’umane, e nove
Vulcano in aurei nodi Adon ravvolga,
e da l’amor di Venere il ritolga
laccio famoso d’incantate prove.
Cessi per me con miserabil gioco
ogni cara tra lor gioia gradita;
poi che giusto mi par, che porga aita
il dio de lo splendore al dio del foco.

[Aria a 3]

CICLOPI
Le saette
sovr’i rei
son vendette
degli dèi:
ma tra noi
più n’accende,
più n’offende
l’empio Amor co i dardi suoi.
Le facelle
son ardenti,
le fiammelle
son cocenti:
ma ne’ cori
più sfavilla,
più scintilla
l’aspro Amor co i suoi furori.

Atto primo

Scena prima
Falsirena, Idonia.
Argomento.
Esce Falsirena maga, e insieme con lei Idonia consigliera d’amore. Costei narra alla maga, come in quel bosco è giunto vaghissimo garzone in abito di cacciatore, e con facondia le descrive la bellezza di lui sì rara, e meravigliosa, ch’ella se n’invaghisce; e determina, d’abbandonar gl’incanti, per seguire gli amori. Ma da Idonia è consigliata, a non tralasciargli. Anzi, per poter più agevolmente allettare, e ritenere il garzone, è esortata, a cangiare quel rozzo bosco in ameno giardino, accioché egli a tal vista raffreni il passo, e la maga abbia facile occasione, di ritrovarlo a quelle vaghezze intento. Onde Falsirena con Idonia partono, ad incantare il bosco, e tramutarlo in giardino.

FALSIRENA
E qual dolce novella,
o cara Idonia, i’ sento,
ch’erri tra questi campi alma sì bella,
del gran regno d’amor sommo contento?

IDONIA
Or, or, che facea segno
su ‘l mattin rugiadoso,
d’inargentare il ciel l’alba ridente,
vidi aspetto sì degno,
tra questo bosco ombroso
far de la sua beltà mostra lucente,
e parve il sol, che precorresse l’alba:
se non ch’il suo splendore
avanza l’alba, ed è del sol maggiore.

FALSIRENA
Forse tra queste selve
mirasti il biondo Apollo
incurvar l’arco, e saettar le belve?

IDONIA
Ah, ch’egli ha di costui
pregi tanto minori,
quant’egli i corpi: e quest’impiaga i cori.

FALSIRENA
Dimmi dunque, qual nume
raccolto in mortal velo
qui spande eterno lume,
e lieto cangia queste piagge in cielo.

IDONIA
Questo novello Amore
de’ crini il bel tesoro
torce in anella d’oro:
ne la fronte ha il candore
de l’argentato giglio:
distinto in vivo ardore
di geminata stella, è ‘l doppio ciglio:
la fronte ha di diamante:
tra perle, e tra rubini
colorisce il sembiante,
qual con vario color mostrar si suole
su i mattutin confini
la rosa emola a l’alba, e pari al sole.
E sembra Amor, poi che qual aura, o lampo
instabil gira, o corre a volo il campo.

FALSIRENA
Deh più non spirar voglie
a l’avido desio;
che soave si scioglie
in dolcezza il cor mio.

IDONIA
Per pompa di sé stessa
più leggiadra fattura
dal suo mirabil seno
non partorì natura.
Ha cinto al fianco intorno
il risonante corno,
e, su l’omer portando arco dorato,
lo stral ha in mano, e la faretra a lato.

FALSIRENA
Sì gran beltà celeste,
bench’a le luci ignota,
mi rende amante il core;
ch’anco il bello del cielo,
bench’invisibil sia,
con occulta virtù l’alme inamora.

IDONIA
A fiori d’or contesta
di fin vermiglio tinge
la prezïosa vesta,
e di zona di perle il seno cinge;
desta ne’ campi ogni suo riso i fiori,
apre ne’ corpi ogni suo passo i cori.

FALSIRENA
Per vaghezza sì degna,
per aspetto sì raro
provo amor, e no ‘l miro,
e pria, ch’avvampi, a incenerire imparo.

IDONIA
Ove ‘l guardo raggira,
a quel sembiante adorno
l’aer chiaro si mira,
si rasserena il giorno.

FALSIRENA
Deh che vinta mi rendo,
e d’incognito foco il core accendo:
amante è in me la fede,
ciò, che l’occhio non scorge, il pensier vede.
O meraviglie al mondo altere, e sole,
son lontana, ed avvampo:
mi struggo a i raggi, e non ho visto il sole.
Dunque lunge da me magici incanti;
poich’Amor più di voi
ha degne l’opre, ed ha famosi i vanti.

IDONIA
O stolta pria, ch’amante.
Anzi sol la magia
a l’impresa d’amor scorta ti sia.

FALSIRENA
Avanza l’arti Amore.

IDONIA
Amor senz’arti muore.

FALSIRENA
Amor sdegna fierezza.

IDONIA
Ma non odia vaghezza.
Vorrei, che questi campi
al suon de’ maghi accenti
rendessi a lui d’ogni beltà ridenti,
ond’allettato da la ricca pompa
de la superba sede
qua il cor volgesse, e qui fermasse il piede.

FALSIRENA
Piace l’amico avviso.
Forse vista sì degna
qui fia, che ‘l piè ritegna
a la nova beltà di paradiso.

IDONIA
Indi tra pompe altere
a la brama del core
l’alletterai con lusinghieri accenti;
poi che s’avanza tra le pompe Amore.

FALSIRENA
A tempo, o lieta Idonia,
d’allettamenti accorti
saggia maestra sei,
onde per te riporti
d’ogni sua guerra il cor dolci trofei.
Ma più non si ritardi;
al mio mago valore
spiri ‘l campo vaghezza, e l’aria amore.

Scena seconda
Adone, Eco.
Argomento.
Adone arriva in scena timoroso dell’ire di Marte, che, avendo anch’egli saputo i nuovi amori della sua amata Venere con Adone, era sceso in terra, per vendicarsi contro il garzone, il quale ha tema sì grande, che gli cagiona alla vista varie illusioni, né vi è cosa nella scena, che non gli rappresenti imagine di spavento. Onde lasso, e dolente chiede al cielo, qual fine avranno i suoi travagli. Eco gli risponde, il consola, l’affida, e gli annunzia, che in quel luogo, ed in quell’istesso giorno ha da ritrovare la sua desiderata, Venere; lieto si mette a riposare sotto un elce, e per la stanchezza ivi s’addormenta.

ADONE
Rapido a par de’ venti
lunge fugga il mio piede,
e di Marte crudel l’ire paventi.
Per Venere la bella
contro me fiero spira
il bellicoso dio
turbini di terror, fulmini d’ira.
Ma più, che ‘l crudo Marte
a la vendetta intento,
me medesmo pavento;
poiché fuggo i furori,
e mi cingon tra boschi ombre d’orrori.
Deh (lasso) che vegg’io,
e qual ombra spirante
segue il mio piè tremante?
O mio spirito insano,
dubbioso di me tremo,
e, fatt’ombra di orror, l’ombra mia temo.
Segui, segui il camino,
che spesso a pronto cor fausto è ‘l destino.
Ma qual spina, qual sasso
mi tronca il calle, e mi sospende il passo?
O mia vista schernita,
ombra d’orror mentita.
Se non che forse (ahi cieco)
tra così duro errore
spine mi son le cure, e sasso il core.
Ma dove il piè rivolgo?
Arresta il passo, arresta,
ch’odo di flebil voce
risonar la foresta.
Folle: l’aura mi scherne.
Anzi pietoso il vento
in sì mesti sussurri
forse parla con me del mio tormento;
e, per fuggir la tema,
invano i passi scioglio;
che, se temo l’orror, nel sen l’accoglio.
Ma chi fra tanto fia,
ch’in sì remoti boschi
m’additi il giusto fin dell’error mio?

ECO
Io.

ADONE
E chi sei tu, che meco
parli da cavo sen d’ignoto speco?

ECO
Eco.

ADONE
Quella, ch’a l’altrui voglie
con presaghe risposte il ver discioglie?

ECO
Scioglie.

ADONE
Ah perch’in tanti affanni
di trovar il suo ben l’alma dispera?

ECO
Spera.

ADONE
E fia, che lieto il core
tra sì folt’ombre il suo bel sole ammiri?

ECO
Miri.

ADONE
Ma quando avvenir dée,
che per Venere in sen gioia m’alloggi?

ECO
Oggi.

[Aria di tre parti]

ADONE
Dunque piagge ridenti
più, che de’ vostri fiori,
liete de’ miei contenti
sol fia, che per voi spiri, e in voi dimori,
e sotto il vel frondoso
di quest’elce gradita
avido di riposo
lusinghi la mia speme, e la mia vita.
Per la fuga già stanco,
carco d’acerbo duolo,
giaccia languido il fianco,
e gli sia piuma l’erba, e letto il suolo.

Scena terza
Falsirena, Idonia, Adone, coro di Ninfe, e di Pastori, Ballarini.
Argomento.
Falsirena dentro la scena dice, aver già incantato il bosco, per farlo divenir giardino. Idonia le risponde, che vuol restare, a custodire quegl’incanti. Falsirena poi esce fuori in scena, e, veggendo Adone addormentato, ed al volto, ed a gli abiti riconoscendolo per quello, che poco prima Idonia le aveva descritto, prorompe in parole d’eccessi d’amore. A quelle voci si risveglia Adone, il quale è da Falsirena invitato alle vaghezze di quel bosco. Adone dolente del suo stato non ama quelle vaghezze, ed ella non cessa di pregarlo; finalmente Adone ricordandosi, che ivi (come Eco aveva predetto) dovea ritrovare la sua Venere, accetta l’invito; e, mentre vogliono partire, si muta la scena in delizioso giardino. S’apre la prospettiva, e si vede nell’estremo di essa una fonte bellissima con spalliere d’alberi, in mezzo a’ quali stanno con ordine frapposti Ninfe, Pastori, e Ballarini. Il coro di Ninfe, e di Pastori invita Adone a quelle delizie. Entrano Adone, e Falsirena. E i Ballarini alla loro presenza fanno danze intramezzate con canti, e con passeggi. Tutti poi ritornano dentro la prospettiva, la quale si riserra, e si cangia anch’essa in apparenza di giardino.

FALSIRENA
Tanto basti a l’incanto;
poi che sì vago è il loco,
che può con sommo vanto
ogni anima di gel render di foco.

IDONIA
Ed io qui resto intanto
tra quest’ombre selvagge,
a goder l’aure, e custodir le piagge.

FALSIRENA
Già di vaghezza intorno
ho ‘l piano e ‘l colle ornato,
e pronto a un cenno solo
ha per me dispiegato
fra bei nembi di fior Zefiro il volo.
Ma che veggio, ove sono,
e qual per gli occhi al core
meraviglia mi scende?
Giace Amor senza bende,
il sol le luci serra,
e ‘l cielo è sceso in terra.
Ah, ch’ho presenti i rai,
di chi lontan bramai;
quest’è ‘l sembiante istesso,
ch’Idonia a me descrisse:
a l’arco, al volto il riconosco, è desso;
ch’in terra beltà degna,
e somma leggiadria
non può vedersi, che di lui non sia.
Falsirena, che miri,
a che più dubbia stai,
come in sì vago sole il guardo giri,
né ti struggi a l’ardor di sì bei rai?
Avvampo a un tempo, e gelo,
ed in sì dubbie tempre
non discopro i sospiri, e non gli celo.

ADONE
E chi dal mio riposo
desta a suon di lamenti il cor doglioso?

FALSIRENA
Una, ch’in lieto seno
d’ombre più vaghe, e chete
tra mirabili pompe
dolce t’invita a più gentil quïete.

ADONE
Donna (se pure del ciel diva non sei)
le grazie io non disdegno:
ma per ira de’ dèi
son tra mie pene d’ogni pompa indegno.

FALSIRENA
A bellezza celeste
nemico il ciel non sia.
Deh vieni, anima bella,
(poco men, che non dissi anima mia).
Ch’in sì ricche foreste
mirerai di stupore opra novella;
che ne’ selvaggi spirti
regna ancor gentilezza;
aman le palme, e i mirti,
e sanno i campi ancor ciò, ch’è bellezza.

ADONE
A cacciator silvestre
più, che vista leggiadra,
piace rigido bosco, e rupe alpestre.

FALSIRENA
Di questa ombrosa sede
è vaga ogni pendice.
Anzi v’è fera in essa,
ch’ogni gran preda eccede,
e, chi prender la può, rende felice.
Qua, qua volgi il desio;
ah, che fera è ‘l mio cor, preda son io.

ADONE
Forse fra tante gioie in questa selva
(s’Eco il vero predisse)
oggi trovar potrei
la soave cagion de gli error miei.
Che, s’indovina è l’alma,
qui sol presago il core
spera, d’impetrar posa al grande errore.

FALSIRENA
Deh vieni alma gradita,
e prenda omai ristoro
da i travagli la vita,
vita, per cui mi moro;
che tra l’adorne piante
ti chiama a dolci scherzi il cielo amante.

ADONE
Da la brama invaghito
di cangiar il tenor del mio destino,
ecco, movendo il piè, seguo l’invito.

[Aria]

FALSIRENA
Rida l’auretta amante
al bel seren del tuo divin sembiante.
E tra canti, e tra balli
ti si scopra giocondo
novo ciel, nova terra, e novo mondo.

[Coro a 6]

CORO DI NINFE E DI PASTORI
Mira, mira gioioso
de la fonte l’aspetto,
godi, godi festoso
del giardino il diletto.
Comincia il ballo.

[Aria di 3, e a solo]

CORO
Qui fonte sorge
al puro seren,
che nembo piove
di scherzi ripien.
Sonoro monte
tra vago terren,
v’è lusinghiera
l’alata schiera,
che scioglie a’ venti
i suoi concenti.
L’antro risponde
dal concavo sen.
Qui fonte sorge
al puro seren,
che nembo piove
di scherzi ripien.
I Ballarini passeggiano.
Mira, mira gioioso
de la fonte l’aspetto,
godi, godi festoso
del giardino il diletto.
Segue il ballo.
Qui l’aria spande
adorno il suo vel,
e spiega amante
le gioie del ciel.
L’auretta errante
avviva ogni stel,
produce il suolo
pomposo stuolo,
e suoi tesori
son lieti fiori,
che sprezzan l’ire
del rigido gel.
Qui l’aria spande
adorno il suo vel,
e spiega amante
le gioie del ciel.
I Ballarini passeggiano.
Mira, mira gioioso
de la fonte l’aspetto,
godi, godi festoso
del giardino il diletto.
Segue il ballo.
Qui d’or la rosa
colora il suo crin,
e cinge spoglie
di vivo rubin.
Diamanti accoglie
il bel gelsomin,
porporeggianti
son gli amaranti,
avorio è ‘l viso
del bel narciso,
son de l’argento
i gigli più fin.
Qui d’or la rosa
colora il suo crin,
e cinge spoglie
di vivo rubin.
I Ballarini passeggiano.
Mira, mira gioioso
de la fonte l’aspetto,
godi, godi festoso
del giardino il diletto.
Segue il ballo.
Qui ricca brina
imperla ogni fior,
e smalta il prato
di puro tesor.
Il poggio ornato
ha pregi d’amor;
a tal bellezza,
a tal vaghezza
sfavilla il giorno
di raggi adorno,
Zefiro versa
sospiri d’odor.
Qui ricca brina
imperla ogni fior,
e smalta il prato
di puro tesor.
Qui si rientra.
Mira, mira gioioso
de la fonte l’aspetto,
godi, godi festoso
del giardino il diletto.

Atto secondo

Scena prima
Idonia, Oraspe, Arsete.
Argomento.
Oraspe porta la catena, la quale da Vulcano era stata fabbricata, e dal medesimo gli era stata data, composta di tali tempre, ch’ella non si scorgeva, ed a chi d’intorno al seno cinta fosse, frenava sì fattamente il piede, ch’egli non poteva altrove torcere il passo, né prendere la fuga. Arsete s’oppone a prove sì violente d’amore. Pur Idonia persuade, a darle aiuto, e s’inviano, a ciò fare.

IDONIA
Dunque, Oraspe fedel, nunzio ne sei,
che son di Falsirena a i vaghi amori
favorevole il ciel, servi gli dèi?

ORASPE
Sovra poggio elevato,
a cui fan manto colorito i fiori,
e con arabo fiato
gli son zefiri eterni aure d’odori.
Sedeami in guardia assiso
di questa, ch’a me diede
Falsirena gentil, superba sede.
Quando fuori del seno
di lucido baleno
veglio m’appare inante,
non so, se per l’etade,
o più per l’ire sue, tutto tremante.
Caliginose scote
le sue rigide gote:
qual accesa facella,
avvampa insieme, e fuma,
ed il petto flagella
con lunga barba di canuta bruma.

ARSETE
O mirabili segni
de’ sommi spiriti, e de’ sovrani sdegni.

IDONIA
L’infiammato sembiante
par, che Vulcan dimostri;
ma qual or punto da geloso amore
spira fuor de’ suoi chiostri
contro Venere bella aspro furore.

ORASPE
Indi ver me si volse,
e, raddolcendo l’ira,
il labro ardente in questi detti sciolse.
Su queste piagge amene
la bella Falsirena
fuggitivo d’amor garzon ritiene;
ma tra sì lieto regno
sia quest’aurea catena
più caro a l’amor suo fido ritegno;
che, s’ella intorno al vago sen s’aggira
di fuggitivo amante,
frena il piè di chi fugge, e non si mira.
Sì disse; e, porto il dono,
co’ detti in aria sparve;
e si videro a un punto
partir i lampi, e dileguar le larve.

IDONIA
Queste, ch’a noi disveli,
son opre occulte de’ benigni cieli,
che con pietà gradita
sempre a gli amori altrui porsero aita.

ARSETE
Dunque ama Falsirena,
e di fiamma cocente
tra le gelide selve ha ‘l seno ardente?
Ma ciò stupor non sia;
amor con più gran prove
è tra bosco sonante
saettator possente,
ch’ivi può più, ch’altrove
sceglier ramose piante,
per armar di quadrel l’arco nocente.

ORASPE
E qual beltà pomposa
a maga sì famosa
move con dolce amor soave guerra?

IDONIA
Beltà di cielo non più vista in terra.
Ed essa a punto or, ora
s’è co ‘l garzone amato
da le cacce ritratta
entro palagio d’auree pompe ornato.
Ma dubbia, e sospirosa,
ch’egli da lei non parta,
rimira, e non si scopre; ama, e non osa;
che per grave martire
spesso in alma amorosa,
ove avvampa il desio, gela l’ardire.

ORASPE
Dunque, perch’egli altrove il piè non giri,
con questa ad arte ordita
invisibil catena
al timoroso cor porgiamo aita.

ARSETE
Ah, che lieve la donna
in vece de gli amori
con incantati consigli
a sé fabbrica errori.
A pena scorge il guardo,
ch’inamorata al petto
si sente acuto dardo;
pon se stessa in oblio,
e per l’amato oggetto
cangia il core in pensier, l’alma in desio.

IDONIA
Andiam, che spesso il cielo,
a chi dolente scorge,
contento reca, e refrigerio porge.

Scena seconda
Falsirena, Oraspe, Idonia, Arsete, coro di Ninfe, e di Pastori.
Argomento.
Falsirena di dentro alla prospettiva, la quale s’apre, e con la scena tutta si cangia in palazzo d’oro, si vede nelle sue regie stanze in atto flebile lamentarsi; né ha ardire, di sollecitare Adone, che nel suo letto stava, a riposare, solo per tema, ch’egli da lei non se ne fugga; al fine mossa dalle parole d’Idonia, e d’Oraspe, prende la catena, la quale ha virtù di ritenere chiunque vuol fuggire; determina, d’andare a incatenar’Adone; chiama le Ninfe, ed i Pastori, che celebrino la possanza d’Amore, e, partendo verso le stanze, è seguita da Arsete, il quale è contrario alle risoluzioni d’amore, sol per persuaderla da quel pericoloso diletto.

FALSIRENA
O nel volto non meno,
che ne l’amante core,
pallida a prova, e sospirosa a pieno
alma priva d’ardir, ma non d’ardore:
che non hai spirto, e speri,
e, per temer le brame, odii i pensieri.

IDONIA
Ah che scorgo, ah che miro?
Falsirena discioglie
carca d’aspro martiro
la favella in lamenti, e l’alma in doglie.

FALSIRENA
Deh, come amor m’avvampi,
se tu timor m’aggeli,
e con fugaci lampi
il ben mi mostri, ed il piacer mi celi?
Fatta amante di danni
ho ‘l sen, l’anima, e ‘l cor pien di tormento,
ed in sì duri affanni
non ardisco, e pur spero; amo, e non tento:
mesto sen, flebil’alma, e lasso core,
folle ardir, vana speme, e cieco amore.

ARSETE
A che tardiam sì lenti?
Tempriam, tempriamo amici
del sospiroso cor l’aure dolenti.

ORASPE
E come, o Falsirena, in tanti mali immota
giaci grave di pena
a le tue forze, e a te medesma ignota?

FALSIRENA
Fanno lor prova estrema
nel mio cor, nel mio seno amore, e tema:
tema, ch’amor divide,
e le mie fiamme co ‘l suo ghiaccio ancide.
Ma come, o fido Oraspe,
qua volgendo il tuo piede,
oggi ‘l ciel mi t’invia,
perch’altrui facci fede
de la mia pena, de la doglia mia.

ORASPE
Ben mi t’invian le stelle:
ma sol, perché di pace
ti sia nunzio fedel, scorta verace.

FALSIRENA
Quegli, che là rimiri
entro dorata soglia
posar in regio letto,
è ‘l mio vago d’amor dolce desio:
ma per grave sospetto,
ch’in fuga il piè non scioglia,
temo di palesargli il dolor mio;
e per tema d’amore
di foco ho ‘l seno, ed ho di gelo il core.

ORASPE
Deh, saggia Falsirena,
ogni timore oblia,
che quest’aurea catena
oggi per tuo ristoro il ciel t’invia.

FALSIRENA
E quali a le mie pene
spero amiche catene
se catena maggiore
m’è l’aspro amor, e m’è ‘l crudel timore.

IDONIA
O tema, de l’amore ombra seguace.

ARSETE
O amor, de le nostr’alme ardor vorace.

ORASPE
S’al tuo bel sole adorno
avvolgerai tra questi nodi il seno,
dal lieto campo intorno
non fia, che per tua doglia
fuggitivo d’amore il piè discioglia.
Anzi, s’avvinto porga
a questi lacci il corpo,
fia, che porti i legami, e non li scorga.
Così, mentr’ora intento
a la cura i’ sedea de’ regni tuoi,
disse gran veglio, e poi
fuggì dal guardo, e si meschiò tra ‘l vento;
onde stimo, ch’a te per lui si sveli
de’ fatti il cenno, ed il voler de’ cieli.

FALSIRENA
Mi narri gran stupore,
ch’a l’ardire m’invita:
ma con l’ardir mi chiama anco al timore.

ORASPE
Ardisci anima, ardisci;
ch’amor, che ne’ cor nostri avido nasce,
di speranza, e d’ardir cresce, e si pasce.

ARSETE
La speme è de’ cor folli aura nocente.

IDONIA
Erge la speme a i gran desir la mente.

ARSETE
Spesso a pronto desir danno succede.

IDONIA
E pur in pronto ardire amor risiede.

ARSETE
Amor ne’ suoi desir privo è di lume.

IDONIA
Anzi sol per ardir spande le piume.
Deh, Falsirena accorta,
non sdegnar il voler de’ sommi regni:
dal dono aita attendi;
ch’anco ‘l ciel gli amor suoi cangia in disdegni.

FALSIRENA
Dubbia, che far debb’io?
È l’ardir periglioso;
ed è ‘l duolo omicida.
No, no: temi cor mio;
sì, sì: spera, confida.
Forza, o mio cor, riprendi,
ricevi il dono altero,
e di desir più vago il seno accendi.

ARSETE
O di mal cauto ardir folle pensiero.

[Aria]

FALSIRENA
Qua tra gioie gradite
voi ninfe, e voi pastori
da i verdi alberghi fuori
servi del cenno mio pronti venite,
e del possente Amor dite gli onori;
che per amore intanto
a voi bellezze rare
il mio piede s’invia,
sol per incatenare,
chi dolce incatenò l’anima mia.

ARSETE
Ed io seguir la voglio,
per tentar, s’i consigli
san dar legge a l’amor, scampo a i perigli.

Scena terza
Coro di Ninfe, e di Pastori, Idonia, Oraspe.
Argomento
Idonia, Oraspe, e ‘l coro celebrano con suoni, e con arie la possanza d’Amore. Finalmente partono, desiderosi di scorrere tra gare di concenti i confini del giardino.

IDONIA
Meraviglie altissime d’Amore,
che ministra piacer, porge conforto,
ardendo un’alma, e saettando un core.

[Aria a 3]

CORO DI NINFE
Avvampando,
fiammeggiando
entro il petto
ha ricetto.
Ma, s’accende,
non offende;
poi che vaga
ha la piaga.

CORO DI PASTORI
Generoso,
animoso
fuor del guardo
scocca il dardo.
Ma dolc’ira
lieto spira;
poich’è vita
la ferita.

[A solo, per terzetti]

ORASPE
Se l’occhio in bell’oggetto erra converso,
ivi solo d’Amor l’opre vagheggia;
ch’Amore è la beltà de l’universo.

[Aria a 3]

CORO DI PASTORI
Sol per amor
la piaggia varia
ha vaghi fior:
e nel bel sen
ha pura l’aria
gentil seren.

CORO DI NINFE
Dispiega il ciel
d’amor vaghissimo
azzurro vel:
e di rubin
al sol purissimo
ingemma il crin.

[Canto, coro a 6]

IDONIA E ORASPE
Su dunque andiam ridenti
per la piaggia d’intorno:
e spiri a i nostri accenti
amica l’aura, ed amoroso il giorno;
ch’in questa ombrosa seggia
tien’Amor il suo scettro, e la sua reggia.

CORO DI NINFE E DI PASTORI
Su dunque andiam ridenti
per la piaggia d’intorno:
e spiri a i nostri accenti
amica l’aura, ed amoroso il giorno;
ch’in questa ombrosa seggia
tien’Amor il suo scettro, e la sua reggia.

Atto terzo

Scena prima
Arsete.
Argomento.
Arsete ritorna, senz’aver potuto raffrenare gl’impeti della cieca brama di Falsirena; e, predicendole ogni sinistro avvenimento, si parte.
Qual indurato scoglio
contro ‘l suon de’ miei detti
mostra la maga pertinace orgoglio.
Mossa da strani affetti
mira i suoi propri danni,
e pur cerca i tormenti, ama gli affanni.
Fuggitiva dal bene
va rapida a le pene,
e ‘l suo cieco desio folle seconda;
la ragion perde, dov’il senso abbonda.
Più de l’empia catena,
ch’al bel garzon prepara,
prova in sé Falsirena
l’aspra de’ suoi martir catena amara.
Già del vicino errore
è fatto il volto suo scena spirante,
ov’appresenta amore
la miseria fatal de l’alma amante.
Langue vinta dal male,
né risanar la può cura mortale:
fanno i dardi d’amor piaga profonda;
la ragion perde, dove il senso abbonda.
Amor tra noi fallace,
non per mostrar il vero,
ma per incenerir, tratta la face.
È la sua speme un volo.
Cangia il dolce in amaro,
s’ha lampo di piacere, ombre ha di duolo.
Chiusi tiene i suoi giri,
perch’il giusto non miri:
e di benda d’error gli occhi circonda;
la ragion perde, dove il senso abbonda.
O vaga, ombrosa scena
già gli onor tuoi vegg’io
per la folle dispersi invano oblio,
e nocente a sé stessa
con meritata pena
l’empia languir da l’arti proprie oppressa.
Non più fia, ch’io qui giri:
non più fia, ch’io qui spiri.
Bramo a dolente core aura gioconda;
la ragion perde, dove il senso abbonda.

Scena seconda
Adone.
Argomento.
Adone, essendo stato incatenato, e sollecitato da Falsirena, fugge dalle mani di lei, giunge in scena, narra il caso, e si duole della sua cruda sorte. Vuol partir, ed essendo ritenuto dalla forza di quella invisibil catena, non sa egli stesso, che si fare.

ADONE
Son deste le mie luci,
o pur in sonno avvolto
ho ‘l senso con le luci anco sepolto?
Ah, che mi sciolsi a pena
da le braccia impudiche
de l’empia Falsirena,
ed or anco mi par, ch’a me nemiche
le sue voci distingua,
e co’ nodi de’ bracci il sen mi stringa.
Flebil, ma forte Adone
serba, serba costante
a la diva d’amor la fede amante,
e per lontane vie
fuggi, fuggi l’infido
d’amor furtivo ingiurïoso nido.
Ma chi ‘l passo travia,
ma chi ‘l piè mi raffrena,
quasi cinto io mi sia
da fieri lacci di crudel catena?
Forse il ciel mi ritiene,
e la piaggia m’invita
a gioiosa di pace aura gradita.
Ma qual gioia è la mia,
ove lunge da me Venere sia?
Con più saggi consigli
fuggi l’iniquo albergo,
che, se non de’ tuoi falli,
è testimonio almen de’ tuoi perigli.
Ma dove andrò tra ‘l campo,
ch’ivi al mio piè non sia
senza la dèa d’amore
ombra ogni pianta, ed ogni strada errore?

Scena terza
Falsirena, Adone
Argomento.
Adone intanto da Falsirena è sopraggiunto, dopo esser da lei con ragioni amorose invano pregato, non potendo partir dal giardino per lo incanto della catena, che a forza indietro il ritraeva; torna fra quelle piante, ed in tanti travagli all’aiuto di Venere si raccomanda. Falsirena rivolgendosi, né più rimirando Adone, sì fortemente seco stessa si querela, e si duole, che finalmente per sì aspra cagione a terra tramortisce.

FALSIRENA
Dove, dove ne vai
mio fuggitivo amore,
che la gioia gradita
neghi con aspro core,
a chi più t’ama assai de la sua vita?

ADONE
O strano, acerbo fato,
fuggir m’è d’uopo, e m’è ‘l partir negato.

FALSIRENA
Io da te chieggio solo,
ch’a me già non ti pieghi:
ma, scorgendo il mio duolo,
se miri i pianti, ch’anco ascolti i prieghi.
Se l’amor mio non brami,
s’amante mio non sei,
deh lascia almen, ch’io t’ami;
ch’al tuo gran cenno altero
sia questo core il regno,
questo campo l’impero,
mio diletto, mio pregio, e spirto mio,
caro ben, dolce amor, vago desio.

ADONE
Ahi, che da lacci duri
a prova qui legato
forza è, bench’io non voglia,
ch’entro il mio sen gelato
riceva i prieghi, ed i lamenti accoglia.

FALSIRENA
Deh rigido mio core
a che dubbioso stai?
Volgi i guardi d’amore,
e, spiegando i tuoi rai,
mostra de’ lumi, ond’ardo,
men crudo almen, se non pietoso, un guardo.
Dolce, cara, gentil, vaga, e gradita
gioia, speme, conforto, anima, e vita.

ADONE
Tra pietà, tra stupore,
dubbio si desti il core,
tempri le fiamme accese,
e sia, se non pietoso, almen cortese.
Dunque, o donna divina,
contr’amor che t’offenda,
non saprai di te stessa esser regina?
Deh sdegna amante ignoto,
né peregrina fiamma il cor t’accenda.
Forza d’onor mi move,
e ‘l ciel mi chiama altrove,
consenti, ch’io mi parta,
e se brami, ch’io t’ami,
prendi l’ultimo a dio,
ed ama le mie brame, e ‘l partir mio.
Ah, che dal giardin fuori
vorrei torcer il piede;
ma forza è pur, ch’i torni
a mio malgrado entro l’ombrosa sede.
Io torno, e a’ miei desiri
lieta co’ raggi suoi Venere spiri.

FALSIRENA
Ohimè, ch’il mio bel sole
fatto ha da me partita,
ed io qui resto (oh dio)
senza nudrir nel sen speme d’aita;
che sono (ah destin crudo)
prigioniera di lui, ch’in carcer chiudo,
se pur entro prigion giace ristretto,
chi carcere di duol fatto ha mio petto.
Per questi campi intorno
vendo al mio servo libertà d’amore,
e, co i diletti suoi
comprando i miei martiri,
pago a prezzo di core
per fede, e per amor pianti, e sospiri.
Ma che mi giova (ahi lassa)
s’egli di senso privo,
s’errante, e fuggitivo
le mie regge non brama,
i miei tesor non prezza,
gli amori miei non ama,
e spirto a me rubello
con repulse importune
odia ne’ doni miei le sue fortune?
Ma superbo, ma fiero
a che giaci, o mio spirto;
sorgi, deh sorgi, di tue forze altero:
furore il seno t’armi,
desta l’antico ardire,
e, fulminando i carmi,
avvampa d’odii, e folgoreggia d’ire.
Ma folle, che dich’io?
Non parte, e non mi sdegna,
chi seco ha i pensier miei, seco ha il cor mio.
E quali fia, ch’a l’opra
magici numi appelli,
se sol magia mi son gli occhi suoi belli?
Ah vaneggio, ove sono?
Tu partisti, o mia luce,
ed io dogliosa intanto
qui resto a versar fuori
miserabil sospiri, acerbo pianto.
Parto misera anch’io,
a te de gli amor miei cedo la palma;
seguo l’idolo mio,
né potendo co ‘l piè, parto con l’alma.

Scena quarta
Coro di Ninfe, e di Pastori, Ballarini, Idonia, Oraspe, Falsirena.
Argomento.
Il coro delle Ninfe, e de i Pastori dentro il giardino, festeggiando, si sente cantare; poi co i Ballarini, con Idonia, e con Oraspe esce fuori in scena; e rimirando Falsirena tramortita, la soccorre, e dopo vari affetti di compassione Falsirena è persuasa da Idonia, a tentar l’arte magica, per poter intendere, ove Adone abbia rivolto gli amori suoi. Ciò furiosa conchiude, e parte con Idonia, e con Oraspe. Le Ninfe, i Pastori, e i Ballarini imitano co ‘l canto, e con le danze i furori di Falsirena, e poi anch’essi partono.

[Aria a 6]

CORO DI NINFE E DI PASTORI
L’alme pure degli dèi
su nel cielo son trofei
de l’ardore
e con vampa di splendore
le facelle
de le stelle
son scintille de l’amore.

IDONIA
Lieti abbiam del giardino
scorso il confine adorno:
ma par, ch’al nostro accento
non abbia arriso intorno
placida l’aria, e dilettoso il vento.

ORASPE
Deh sgombrisi dal petto
de l’egra tema il gelo;
che bene spira, a chi ben spera, il cielo.

IDONIA
Oraspe, e che vegg’io?
Falsirena se n’ giace
misera preda di mortale oblio.

ORASPE
O lassi spirti miei;
forse cadde da l’empio al pian ferita.
Falsirena ove sei,
e dove, o Falsirena, è la tua vita?

FALSIRENA
La mia vita è partita.

[Coro a 6]

CORO DI NINFE E DI PASTORI
Riprendiamo gli spirti,
che qui dal duolo vinta
giace languida sì, ma non estinta.

IDONIA
Al nostro amico aiuto
ergi da cure oppressa
Falsirena te stessa,
e di speme ripiena
solleva in un co ‘l corpo anco la pena.

FALSIRENA
Sorgo a’ raggi del giorno,
ma più, ch’a’ raggi, a’ miei martir ritorno.

ORASPE
E come, o saggia donna,
già volta a i tuoi contenti,
ora al pian qui giacesti
flebil spirto di doglie, e di tormenti?

FALSIRENA
Incatenai l’amante,
e l’alte voglie del mio cor gli sciolsi:
ma ‘l superbo garzone
volse in fuga le piante,
e, donde amor credei, sdegno raccolsi.
Pur avida il seguii;
che dal laccio tenace
di quell’aurea catena a forza tratto
oltre scior non sapea il piè fugace:
ma, poi che non potei
moverlo a’ i martir miei,
qui con vano desio
preda languida al suolo
giacqui del suo rigore, e del mio duolo!

[Coro a 3]

CORO DI NINFE
O nel rigor costante,
sol di brame nemiche anima amante.

FALSIRENA
Deh, ch’a que’ raggi, ond’ardo,
volsi in mal punto sfortunata il guardo;
ch’egli è tanto rubello,
quanto fida son io,
ed in grave duello
contende il suo rigor con l’amor mio.
Mossi i monti a’ miei versi,
e indietro i fiumi a i fonti lor conversi:
né vaglio (o cor mio lasso)
piegar un tronco, e intenerire un sasso.
Ah, che per altra in seno
(se il ver mi si dischiude)
prova l’aspro garzon soave arsura,
ed alma in sé rinchiude,
quanto placida altrui, tanto a me dura.

[Coro a 3]

CORO DI PASTORI
O d’amoroso core
miserabil affetto aspro dolore.

FALSIRENA
Ma lieta in parte fia,
se pur almeno intenda,
o dolce Idonia mia,
chi ‘l cor gli avvampi, e chi ‘l desio gli accenda.

IDONIA
Ed a chi meglio è dato,
spiar il nome altero,
ch’a te, che puoi del fato
tentar gli arcani, e penetrare il vero?
A l’arte usata accinti
desta gli spirti, desta
troppo da l’amor vinti,
e i tuoi desiri a nuove glorie appresta.
Spiega magici carmi,
e del destino a scherno
tenta le forze del profondo averno.

FALSIRENA
Lodo ogni tuo consiglio:
e poi che par, che Giove
sdegni porger aita a gli amor miei,
movrò con aspre prove
il crudo re de’ tenebrosi dèi;
che pon mover gli amanti
avvezzi a i pianti la magion de’ pianti.

[Aria a 3]

CORO DI NINFE
Su, su dunque, pastori,
de la maga adirata
imitate i furori;
e in gare tra voi liete,
agitando la man di ferro armata,
sollecitando il piè, danze movete.

[Coro a 6]

CORO DI PASTORI
Da rio martir
scossa rimirasi,
da fier desir
desta raggirasi,
sì può ‘l dolor,
sì può l’amor,
ch’aspro n’invidia,
ch’empio m’insidia.

CORO DI NINFE
Su, su dunque, pastori,
de la maga adirata
imitate i furori;
e in gare tra voi liete,
agitando la man di ferro armata,
sollecitando il piè, danze movete.
Qui si fa il ballo del furore.

Atto quarto

Scena prima
Idonia.
Argomento.
Racconta Idonia, come la maga Falsirena si è preparata allo ‘ncanto, e descrive l’abito, e spiega il rito, che in tal apparecchio ha osservato; e, mentre ciò narra, sentendo scuotersi la terra, e, comprendendo già la maga avvicinarsi, per ivi costringer Plutone a darle risposta del suo bramato amore, sbigottita si fugge.

IDONIA
O con dubbio stupore
memorabili prove
non so, se de l’amor, o del furore.
Poi che da questo campo
la maga il passo sciolse,
e, su nel ciel felici
osservando gli auspici,
a la grand’opra il pronto cor rivolse,
rapida mosse il piede
tra ‘l giardin più confuso,
ove un altare siede
di pini cinto, e di cipressi chiuso.
Ivi di negre spoglie il seno cinse,
e d’orride ceraste
pendente crine a le sue tempie avvinse;
e variossi in volto
qual su l’eterna mole,
se da la terra lo splendor l’è tolto,
l’istessa luna variar si suole.
Poi tra vampe d’incenso
colma d’interno ardore
meschiò fumante, e denso
di mille accese frondi ampio vapore.
Ne la destra prendendo
verga d’ebano altera
scosse con suono orrendo
l’aria torbida, e nera,
e con moto tremante
crollò la terra, e vacillar le piante;
ed intanto a lo sdegno
del sembiante turbato
cangiossi l’aura, e impallidissi il prato.
In tal guisa la maga
fieri carmi prepara,
per invocar con più solenne rito
l’ombroso re del pallido Cocito.
Ma che qui tardo? ahi stolta.
Già, già ‘l suolo si scuote,
già, già sento gli accenti,
ed odo a le sue note
lagnarsi l’aria, e querelarsi i venti.

Scena seconda
Falsirena, Plutone
Argomento.
La maga Falsirena vien tutta accesa di furore, e dopo formidabili parole, e varii turbamenti d’aria, e di terra, invoca Plutone a darle risposta de’ suoi amori. S’apre la prospettiva, e mostra la caverna dell’inferno; ma Plutone ricusa di sorgere alla luce. Falsirena aggiunge potentissime minacce, onde costretto il re dell’ombre esce finalmente all’aria, e scoprendo alla maga il successo del tutto, le dice esser la dèa Venere la sua rivale, e subito rientra, e si chiude la caverna dell’inferno. Falsirena a tal risposta si duole; poi riprendendo animo, determina di voler pigliare aspetto di Venere, e con tal’imagine mentita ingannare Adone, e superarlo con la fraude, poi che non può con l’amore.

FALSIRENA
Dubbiosa, e vacillante
senta la terra il moto,
e di sangue stillante
spiri l’aria vermiglia orrido noto.
Ecco, o rettor superbo
de la notte profonda,
tre volte intenta miro,
ove ‘l sol, che tramonta, in mare affonda,
e segno il campo d’incantato giro.
Scorrano i tuoni, e i lampi,
e s’oda a le mie scosse
risonar l’aria, ed ondeggiare i campi.
Ch’a te, fiero signor de l’ombre ardenti,
esplorator de’ fati,
volgo in un co ‘l terrore anco gli accenti.

[Canto solo, recitativa per ottave]
O de’ campi d’orror funesto dio,
del folto regno tenebroso Giove,
al cui gran cenno, al cui divin desio
l’oscuro fato l’ombre sue rimove.
Su, su da gli antri de l’eterno oblio
altero sorgi a memorabil prove;
e del mio crudo peregrino errante
dispiegami l’amor, scopri l’amante.

PLUTONE
Per così lieve brama
temerario è ‘l tuo suono
alma folle, e dolente,
se da l’ombroso trono
de le tenebre il dio
chiami al puro splendor del sol lucente;
ch’inutile è ‘l tuo amor, vano il desio.

FALSIRENA
Dunque nel cieco regno
sprezzi d’amor le voci,
uso a nemico ardor d’invido sdegno?
E che pensi, e che tardi?
A l’altere mie note
movrò l’eterne rote,
e farò, che ‘l gran dio del sommo impero
m’apra gli arcani, e mi palesi il vero.
Che sì, che sì?

PLUTONE
Da l’orrido soggiorno
sorgo re de la notte a i rai del giorno;
e nel rigido petto
tra spirti di furore
anch’io serbo d’amor cocente affetto;
che per la dèa de l’ombre
tutto fiamma è ‘l mio core,
e, s’apro altrui l’averno,
io per lei nel mio sen chiudo l’inferno.

FALSIRENA
Goda il mio cor superbo,
che nel regno profondo
tema di me, chi fa temere il mondo.

PLUTONE
Ecco pronto a te cedo,
ecco amico a te vegno,
e del gran nome altero
paleso i pregi, e manifesto il vero.

FALSIRENA
Al suon de le tue voci intenta pendo,
e dal nume de l’ombre
chiarissimo del vero il lume attendo.

[Solo]

PLUTONE
Da re, ch’ebbe di Cipro il nobil freno,
nacque il vago garzon, che t’arse il core;
né fia, che l’amor tuo gli accenda il seno,
che son gli amori suoi la dèa d’amore.
Da lei lontano in questo campo ameno
il sospinge di Marte aspro terrore;
ma, tornando per lui la diva a volo,
te priverà d’amore, e lui di duolo.

FALSIRENA
O note di tormenti,
o voci di rigore,
o d’acerba novella amari accenti:
ma cari, onde il mio core
tanti prova famosa, opre possenti.
Or, che l’amor di Citerea m’è noto,
con imagin furtiva,
con magico sembiante
fingerò ‘l volto de la bella diva,
de la rivale imiterò l’aspetto,
ed usa a l’arti ingannerò l’amante.
Molto pon, molto fanno
nel gran regno d’amor arte, ed inganno.

Scena terza
Coro di Ninfe, e di Pastori.
Argomento.
Il coro delle Ninfe, e de’ Pastori spaventato dalli turbamenti dell’aria, dalle scosse della terra, e da simili prodigi, che successero per lo ‘ncanto, dopo averli ad uno, ad uno tutti spiegati, fuggono da que’ campi, miserabili alberghi di furie, e di terrori.

[Aria 6 di cinque pari]

CORO
De la maga il grande accento
scosso ha ‘l piano, mosso il monte,
e con orrido spavento
secca ha l’erba, ed arso il fonte.
Di terror facelle erranti
hanno accesa l’aria intorno,
e baleni scintillanti
han turbato ‘l volto al giorno.
Lieti in grembo a quest’erbette
non più scherzano gli amori,
né più al suono de l’aurette
movon danze i vaghi fiori,
qui ‘l terror dal centro interno
mosso a l’aure folgoreggia,
ed il re del crudo averno
desta a l’ire la sua reggia.
Deh fuggiam tra’ foschi lampi
del giardin le pompe spente,
ed in sen de’ più be’ campi
attendiam seren ridente.
De la maga il grave accento
scosso ha ‘l piano, mosso il monte,
e con orrido spavento
secca ha l’erba, ed arso il fonte.

Atto quinto

Scena prima
Adone.
Argomento.
Adone ne’ suoi travagli misero, e dolente si lamenta d’amore, si rammarica della fortuna, e si querela co ‘l cielo, ch’in quei boschi gli avesse promesso il contento de i suoi desideri, e pur altro da lui non provare, che gravezza di danni.

ADONE
Amor non sia, ch’i speri
in gioia umana, e frale,
se de’ tuoi van piaceri
è lieve il moto, e son fugaci l’ale;
né più fortuna infida
sia de’ nostri desiri amica guida,
se tra miei gravi affanni
men aspri, e men spietati
non miro i cieli, e non conosco i fati.
Forse era poco (ahi stelle),
che nato d’empio incesto al mondo sono,
s’anco da voi rubelle
a me tolto non era il regio trono?
Dunque, o rigidi cieli,
vostri doni saran danno, e tormento?
Sì, che spesso dal duol nasce il contento.
Ama dunque l’affanno,
né paventar le doglie.
O stolto: ahi che dal duol pianto s’accoglie;
deh, che nato a i martiri
aura di vita avrò sol ne’ sospiri.
Ma che penso, e che parlo?
Già di Venere privo,
or de’ miei sensi manco io più non vivo.
Troppo, ahi troppo ria sorte
a che più saettar, chi langue a morte?
O mio grave martiro,
languente vissi, ed infelice spiro.
Aspro, e fiero destino,
e qual a miser’alma
speme di pace doni,
se né pur anco a i re crudo perdoni?
E pur con grati accenti
a le mie dure pene,
a i miei gravi lamenti
promettesti di pace aure serene.
E chi fia più, ch’in terra
fede a i mortali presti,
se mentiscon la fede anco i celesti?

Scena seconda
Falsirena, Adone.
Argomento.
Falsirena se ne viene tramutata in aspetto di Venere; onde Adone, stimandola vera Venere, ne sente gran contento. Ben egli è vero, che prova in sé una ripugnanza interna, quasi il cuore sia presago de gl’inganni della perfida maga. Ma essa, per fargli creder più facilmente la menzogna, dice male di sé medesima, l’avvertisce, che non si fidi di Falsirena, e che, quanto in quella ha scorto, tutto è stato arte. Anzi di più gli soggiunge, che, se per sorte vedesse un’altra donna simile a sé, che rappresentasse l’aspetto di Venere, punto non le creda, che sarà Falsirena, che, per ingannarlo, gli si mostrerà in sembianza di Venere. Adone a sì grand’avviso, stimandola veramente Venere, gode, e gli mostra affetti di singolare amore.

FALSIRENA
D’acque magiche sparsa
vagamente ho rivolto
nel sembiante di Venere il mio volto,
né, per compir gl’inganni,
altro mi resta omai,
che rimirar del mio bel sole i rai.

ADONE
O cieli, e che vegg’io?
Amante a me ritorna
la bella madre del vezzoso dio.

FALSIRENA
Deh come a tempo giunsi,
ecco il mio crudo amore;
contro me, contro altrui
arte spiri il mio sen, fraude il mio core.

ADONE
Ond’è, ch’il tuo ritorno
sì tardi, o dèa, per mio conforto rieda?
Sì che Vener ti miro,
né fia, ch’a l’opre tue Vener ti creda.

FALSIRENA
Qua tardo mossi il piede,
per prender del tu’ amor più degna fede,
e lieta godo intanto,
ch’intrepido hai schernito
de l’empia Falsirena il grave incanto.
Ah, che da brame oppressa
sol, per amar altrui, biasmo me stessa.

ADONE
Per te, per te, mia dèa,
schernii l’arte, e gli amori
de l’empia donna, e rea.
E pur (ahi dura sorte)
ora presso il mio bene
anco fiere nel sen provo le pene.

FALSIRENA
L’empia accorto fuggisti,
ch’ella con gravi inganni
è ministra d’error, fabbra di danni.
Però di me t’accendi,
riconosci te stesso,
e al mio ritorno l’amor tuo riprendi.

ADONE
Io t’amo, o caro ben, Venere bella.
Ma che (lasso) prov’io?
Par, che l’alma rubella
sdegni, che d’amor parli a l’amor mio.

FALSIRENA
Deh ch’in lui la natura,
quasi scorga l’inganno,
con odio occulto contro me congiura.

ADONE
O stelle, e chi mi porge
in tanto mal conforto?
Ah ch’Adone non sono,
o pur Adone in tanta gioia è morto.

FALSIRENA
L’ingiusta Falsirena,
la disleal tiranna
t’ingombra il sen di pena.
Su, l’alma al ver si desti,
né fede a l’empia dia,
poi ch’è tutt’arte in lei, quanto scorgesti.
Anzi da te non s’oda,
s’oggi qui forse inante
altra donna t’appaia a me sembiante,
sotto imagin furtiva
sarà la maga, e sembrerà la diva.

ADONE
A così degno avviso
or sì, che ti conosco
vero nume immortal di paradiso.
Or sì, che per te spiro,
e più, che nel sen miro,
nel tuo cor, nel tuo amor vivo son io.

[Canto solo, aria]

FALSIRENA
Dunque liete, e ridenti
spirin l’alme, e le menti;
a te su questi prati
versin nembi di fior zefiri alati,
per te goda il mio core,
e trionfi d’amor la dèa d’amore.

Scena terza
Venere, Amore, Adone, Falsirena, Coro.
Argomento.
Viene intanto la vera Venere per aria sopra una nuvola, ha seco Amore, e si rallegra di mirare Adone; ma poi veggendo che Adone lei non rimira, par, che se ne doglia. Adone scorge doppia Venere, ed è incerto di se stesso. Amore riconosce due madri, e resta confuso. Falsirena però, non perdendosi d’animo, si sforza di dar ad intendere a Adone, che l’altra è la falsa Venere, di cui già gli aveva ragionato, e che essa è la vera. Venere allora comanda ad Amore, che scioglia Adone dalla catena incantata, che gli è cagione d’ogni male, e con l’istessa per castigo incateni Falsirena ad uno scoglio. Ciò da Amore vien eseguito, ed Adone libero riconosce la vera Venere; mira tornare alla selva l’aspetto naturale, e della dèa dolcemente gode. Si canta la vittoria di Venere, e con vaghezza di suoni, e con diletto di voci termina l’inganno di Falsirena, e la prigionia d’Adone.

[Aria a 2]

VENERE E AMORE
Florido nembo
dal suo grembo
lieto sparga il ciel d’intorno,
chiaro giorno
spieghi lampi di fin’oro.
Gli sdegni cedono
di crudo cor,
le gioie riedono
di vago amor.
Veggio Adon, che lieta onoro,
miro Adon, che dolce adoro.

ADONE
E che rimiro (ahi stelle)?
Co ‘l suo sembiante vago
splende chiara tra noi Vener sì bella,
che riflette la vista emola imago,
e partorisce in ciel Vener novella.

AMORE
O meraviglie rare,
ond’incerto il cor erra:
doppia madre m’appare,
l’una in aria soggiorna, e l’altra in terra.

FALSIRENA
Deh, che l’inganno mio
già, già veggo svelato:
o cielo, o sorte, o fato.

VENERE
E come al mio cospetto
Adon gli occhi non giri,
e te medesmo espresso in me non miri?

ADONE
E dove sono (ahi lasso)?
Doppia Venere miro,
né so, dov’io rivolga il guardo, o ‘l passo.
Forse furori spiro,
e, qual priva di senno anima suole,
miro gemino il raggio, e doppio il sole.

FALSIRENA
Dunque ancor non comprendi
i fallaci sembianti?
Deh saggio al ver t’apprendi,
e scorgi in me gli amori, in lei gl’incanti.

ADONE
Posto tra pari aspetto
dal falso il ver non scerno;
e per volto conforme ho dubbio affetto.
Ah che languido vissi
d’una Venere privo.
Or due (lasso) ne miro,
e ne la copia lor misero io vivo.

FALSIRENA
L’altra schernir tu déi,
e me solo pregiar, dolce mia vita;
che, se folle non sei,
chi pria ti porse aita,
te più vera d’amor Vener gradita.

VENERE
Taci, donna fallace,
ceda a più degna forza anima audace.
Contra la maga infame
vanne, figlio soave,
e sciogli Adon dal magico legame;
ond’in pena sì grave
salvo da servitù dolce respiri,
libero da gl’incanti il ver rimiri;
ch’a me son note a pieno
l’arti furtive de l’ardir terreno.

AMORE
Eccomi, o madre mia,
pronto a gl’imperi tuoi,
ed ogni cenno tuo legge mi sia.

FALSIRENA
O d’ogni mia possanza
abbattuta virtù, morta speranza.

VENERE
Vanne, figlio, e co’ i lacci
la rubella incatena:
sovra lei, che l’oprò, cada la pena;
e avvinta a duro scoglio
freni le voglie sue, tempri l’orgoglio.

ADONE
O ne le gioie ancora
aspra mia vita, e dura,
s’amaro ogni diletto in me dimora.

AMORE
Dal laccio, e dal cordoglio
io, che l’alme incateno, il sen ti scioglio.
Conosci te medesmo,
e lieve del tuo pondo
a i contenti d’amor spira giocondo.
Te, te con nodo acerbo
cinga l’aspra catena,
ed in scoglio superbo
provi il tuo grave ardir rigida pena.

FALSIRENA
O miei folli desiri.
Ecco, o stelle, vi cedo;
ecco vado a i martiri
alma d’ardir languente,
tal nel fallir, qual ne l’amar dolente.
Vinta, o cieli, m’accuso
dal proprio inganno mio,
ed al tormento parto. Incanti a dio.

VENERE
Parti rubella, parti;
e al tuo partire intanto
si discioglia ogni error, parta ogn’incanto.

ADONE
O come a questa selva
riede il nativo aspetto,
e libera da forze
dolce ogni gioia mia torna nel petto.

VENERE
Tempra a la vista mia
o sospirato Adon l’aspro tormento:
scaccia ogni doglia ria,
ch’ove Vener dimora, ivi è ‘l contento.

ADONE
Or sì, ch’intendo a pieno
qual forza al passo errante
ponea per mio martir rigido freno.
Onde ben co ‘l tuo volo
accorresti, o gran diva,
al mio d’affanni lagrimevol duolo;
ch’anco la stella tua su l’alta mole
al lagrimar de l’alba apparir suole.
Son per te scinto, è vero;
ma di quelle ritorte
più tenace, e più forte
or laccio tra noi sia
l’amor tuo, l’altrui sdegno, e la fé mia.

VENERE
Anzi, per far d’amor prove veraci,
ecco il cinto mi scingo,
catenato mi piaci,
e co ‘l legame de gli amor ti stringo.

ADONE
Godo, o mia dèa d’amore,
che la tua man gradita
m’avvinca il corpo, se mi vinse il core.
Né già per te, che m’ami,
pavento altri legami,
che paventar non può maggior catene,
chi ‘l possente d’amor laccio sostiene.

VENERE
Già placati i furori
de l’adirato Marte,
che geloso fremea de’ nostri amori;
amante a te ritorno;
e a scherno de le stelle
veggio nel volto tuo più vago giorno,
miro ne gli occhi tuoi faci più belle.

ADONE
Ed io lieto ne’ danni
la tua bellezza rara
scorgo avvampar qual rosa, arder qual stella;
se pur ha stella il chiaro ciel sì chiara,
se pur è rosa in bel giardin sì bella.

AMORE
A duro scoglio assisa
sta la maga confusa
ne l’arti sue, ne l’ardir suo delusa.

AMORE, VENERE E ADONE
Noi dunque lieti intanto
tra soavi concenti
de la vittoria celebriamo il vanto.

[Aria a 3]

VENERE
Sì, sì cara mia speme,
gradito tesor, vago mio bene.

ADONE
Sì, sì mia vera aita,
bramata beltà, dolce mia vita.

AMORE, VENERE E ADONE
Sì, sì; sì, sì; sì, sì;
bramata beltà, dolce mia vita.

[Aria a 3]

AMORE, VENERE E ADONE
Qua canora,
là sonora
l’aria giri,
l’aura spiri
dilettosa,
amorosa;
ch’entro una nube si riserra
il sol del cielo, e de la terra.
Al concento,
al contento
ogni fonte,
ogni monte
sia dolcezza,
sia vaghezza:
ch’entro una nube si riserra
il sol del cielo, e de la terra.

[Canto solo, aria]

AMORE
Dunque intanto fra boschi
vaga l’aura ragioni,
e fuor de gli antri foschi
dolce l’eco risuoni.

AMORE
Lieto dopo l’errore
giunge Adone a goder la dèa d’amore;
ch’arde di lieto zelo,
chi dopo i falli fa ritorno al cielo.

[Aria a 3]

PRIMO CORO DI DENTRO
La selva con bei canti
gioisca al nostro suon,
sempre lodar si vanti
di Venere gli amori, gli errori d’Adon.

SECONDO CORO DI DENTRO
Gioconda al vol de’ venti
risuoni d’aria ogni or,
spieghi con dolci accenti
di Venere l’amore, d’Adone l’error.

[Coro a 8]

TUTTI
Lieto dopo l’errore
giunge Adone a goder la dèa d’amore;
ch’arde di lieto zelo,
chi dopo i falli fa ritorno al cielo.

Fine del libretto.

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