Le nozze degli dei

Favola.

Libretto di Giovanni Carlo Coppola.
Musica di Marco Da Gagliano, Jacopo Peri, Francesca Caccini.

Prima esecuzione: 8 luglio 1637, Firenze, Teatro di corte.

Interlocutori:

IMENEO dio delle nozze sconosciuto
ONESTÀ sconosciuto
FECONDITÀ sconosciuto
GIOVE sconosciuto
MERCURIO sconosciuto
DIANA sconosciuto
NERINE sconosciuto
CLORI sconosciuto
VULCANO sconosciuto
STEROPE sconosciuto
BRONTE sconosciuto
PIRAMMONE sconosciuto
IRIDE sconosciuto
PALLADE sconosciuto
VENERE sconosciuto
CUPIDO sconosciuto
ADONE sconosciuto
GIUNONE sconosciuto
PLUTONE sconosciuto
MARTE sconosciuto
NETTUNO sconosciuto
NEREO sconosciuto
MELICERTA sconosciuto
ANFITRITE sconosciuto
PROSERPINA sconosciuto
CERERE sconosciuto

Tre Ninfe d’Arno. Quattro Ninfe di Diana. Quattro Venti. Le tre Parche. Cori Coro di Diana: 12 Ninfe. Coro di Vulcano: 17 Ciclopi e altri Ministri. Coro delle Muse. Coro di Venere: 14 Amorini, 3 grazie, Riso, Scherzo e Giuoco. Coro di Nettuno: 30 Numi marini. Coro di Giove: 40 Numi celesti. Coro di Plutone: 20 Numi infernali. Coro di Giunone: 14 Ninfe. Abbattimento tra Marte con 6 armati, e tra Vulcano con sei altri similmente.

Balli
Ballo di 6 Amorini con 6 Pastori di Adone nel giardin di Venere.
Balli del mare.
12 Ninfe sopra delfini con 6 Sirene.
13 Tritoni sopra 2 cavalli marini saltano, e poi ballano sopra uno scoglio.
Ballo dell’inferno.
8 Centauri usciti di bocca d’una chimera, con 8 Diavoli vomitati in 4 palle dal can Cerbero ballano orribilmente.
Nel cielo.
Ballo di Numi celesti a cavallo guidati da Castore, e Polluce.
Ballo di Amorini sulle nuvole.
Ballo del Sole con 12 Segni celesti, e della Luna con 12 Stelle.

Libretto – Le nozze degli dei

Alla serenissima…
…gran duchessa di Toscana, mia signora e padrona colendiss. Vittoria della Rovere, principessa d’Urbino.
Avendo avuto questa opera fortuna di nascere sotto i benigni influssi del comandamento del serenissimo gran duca suo sposo, ho giudicato conveniente, che ella esca alla luce del mondo sotto quelli del nome, e della protezione di v. a. s. sicuro che guardata, e difesa da così favorevoli pianeti abbia a viver lungo tempo senza temere i contrari aspetti delle stelle maligne. Supplico v. a. sereniss. a gradire la mia confidenza, e devozione; effetti, l’uno della sua benignità, l’altro della sua grandezza; prego a v. v. serenissima ogni bene, e le fo umilissima riverenza. Di Firenze il dì 1 Agosto 1637.
Di v. a. s.
umiliss, ed obligatiss. servitore
Gio. Carlo Coppola

A’ lettori: argomento
Sappia il benigno lettore, che io nel comporre, e stampar questa opera non ho avuto altro fine, che di ubbidire al comandamento del serenissimo gran duca, a cui servo; il quale mentre ch’io era con l’animo più che mai alieno da simili poesie, mi comandò, che componessi la commedia, la quale si dovea rappresentare in musica nelle sue felicissime nozze. Mi restrinse a breve spazio di tempo per condurla a fine, come quegli, che avea gusto di vederla compita avanti la sua partenza per Pisa. M’ordinò soggetto allegro, quale si conviene a nozze, e per dar maggior campo all’inventor delle macchine di abbellirla con varietà, e vaghezza di prospettiva; volle che contenesse festa in cielo, in mare, e nell’inferno. Ond’io presi per soggetto le Nozze degli dei, trattandone quattro più celebrate da’ poeti; cioè quelle di Giove con Giunone; di Vulcano con Venere; di Plutone, e Proserpina, e di Nettuno con Anfitrite. Fingo dunque (seguendo l’opinione di coloro, che han detto, che Vulcano, e Marte sien figliuoli di Giunone senza marito, come Pallade di Giove senza moglie) che Giove per far una allegrezza universale nel mondo, voglia in un medesimo giorno celebrar queste nozze. Determina egli prender Giunone, dar Venere a Vulcano, Pallade a Plutone, e Diana a Nettuno. Manda a questo fine Mercurio in Terra, il quale trovata Diana, la invita al cielo, come nuova sposa, ella ricusa: risoluta di viver casta. Il medesimo fa Pallade, la quale era in Parnaso a sentir le muse rammentar le lodi della serenissima casa di Toscana: Venere al solo nome di Vulcano entra su le furie: Nettuno perduto d’Anfitrite sdegna ogn’altra consorte: Plutone non sapendo che Giove gli ha destinato moglie, arma l’inferno contro del cielo: Marte tutto rabbia minaccia danni, e rovine al sentir che Venere sia stata promessa a Vulcano. Così tutto si turba: ma questi scompigli terminano felicemente, perché Venere vien da Cupido confortata, ed essa prega lui a ferir con lo stral d’oro Anfitrite, che deposta la passata fierezza ami Nettuno. Giove per mezzo delle parche mandate da Plutone al cielo, ordina alla medesima Venere, che tragga fuori del guardato palazzo Proserpina, acciò che Plutone volando col carro la rapisca, e la prenda per moglie; il che fatto restano contente Diana, e Pallade, e soddisfatti Plutone, e Nettuno. Vulcano, e Marte combattono, e per premio del vincitore si propone Venere; ma Giove per mezzo di Mercurio spartisce la battaglia. Giunone placa Marte suo figliuolo, il quale a’ preghi ancora della stessa Venere si ritira. Giove acquetate queste discordie, invia Imeneo nel mare, e nell’inferno a render felici quelle nozze. Si festeggia nel mare per le nozze di Nettuno con Anfitrite, nell’inferno per quelle di Plutone con Proserpina; nel cielo per quelle di Giove con Giunone, e di Vulcano con Venere.
Così pensai soddisfare alla volontà del serenissimo gran duca il quale tra sette giorni vide la commedia finita, l’udì letta da me, e mostrò non poco gradirla. Spero che la brevità del tempo, nel quale è stata composta scuserà le imperfezioni, che ci sono, e l’avere ubbidito al comandamento di s. a. s. e forse incontrato il suo gusto le arrecherà qualche lode.
Non tralascerò di dire, che per fuggir la lunghezza, che portan seco le musiche, e le macchine, e per la stagione molto calda, e poco atta agli spettacoli, e per la brevità delle notti, quella che si rappresentò fu in gran parte scemata, e variata da questa, che si stampa.
Ricordo ancora, che dove troveranno Fato, Destino, Fortuna, o simili parole della gentilità. Intendano che si parla favolosamente, e per leggiadria poetica, non per offender la pietà cristiana.

Prologo

Scena unica
La prima prospettiva è ‘l mondo, quasi un caos, che distintosi appariscono le campagne di Firenze con Arno, e si vede scendere in una nuvola Imeneo, Onestà, e Fecondità, per colmare i serenissimi sposi de’ loro beni.
Imeneo, Onestà, e Fecondità.
Cantano insieme.

IMENEO, ONESTÀ E FECONDITÀ
Questo è l’Arno sì gentile,
questa è Flora,
che s’infiora
nell’aprir del nuovo Aprile.
Fortunata, e nobil reggia
come splendi!
Come rendi
vago il dì, ch’in te lampeggia!
Quanta pompa orna il diletto!
Gioia spira
ciò, che mira
l’occhio intorno, o brama il petto.
Gode l’aria, e ‘l ciel sereno;
ecco l’onde
tra le sponde
corron liete al mar Tirreno!
Piovan larghi a sì bei regi
nostri doni.
(giungono in terra)
Si coroni
sommo onor d’eccelsi pregi.

IMENEO
Io, che d’aurati stami ordisco i nodi,
a’ più pudichi amanti,
che le voglie congiungo, e ‘n dolci modi
l’anime lego in salda fé costanti:
fortunati legami
di quel, che pregia il ciel più lucid’oro
tesso a’ chiari consorti,
e fuor dall’uso in loro
tutto spargo il mio bene, e ‘l mio tesoro.
(canta il medesimo)
Questo laccio, e questa face
nodo intreccino d’amore,
che soave giunga al core
quanto fervido, e tenace.
Ami ardendo, ed arda amando,
e Vittoria, e Ferdinando.

ONESTÀ
Di candidi pensieri, e caste voglie
per me s’adorna de’ mortali il seno,
e tra diletti suoi virtude accoglie.
Per me si stringe il freno
là ov’è amor d’ogni legge il cor discioglie.
(canta la medesima)
Quante glorie il ciel mi diè,
quante darne altrui so più
qui si diffondano,
qui, dove abbondano
gl’incliti sposi d’ogni virtù.
Santo foco, e puro affetto
l’alma invogli, infiammi il petto,
casto avvampi, e dolce spiri
d’Onestà sensi, e desiri.

FECONDITÀ
Io che rendo alla terra il sen fecondo
di quanti parti in lei produce il sole:
fo’ gli uomini, e gli dèi ricchi di prole,
e con la mia virtù rinnovo il mondo.
(canta la medesima)
Io fecondo, ed io fo’ degno
d’alti regi un sì bel regno,

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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