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Libretto “L’incoronazione di Dario” di Antonio Vivaldi

L’incoronazione di Dario

Dramma per musica

Libretto di Adriano Morselli
Musica di Antonio Lucio Vivaldi

Prima esecuzione: 23 gennaio 1717, Venezia, Teatro Sant’Angelo.
Video dell’opera

Persone:

DARIO che viene incoronato re dei Persiani tenore
STATIRA principessa semplice, primogenita di Ciro contralto
NICENO filosofo basso
ARGENE sua sorella minore contralto
ALINDA principessa di Media amante di Oronte soprano
ORONTE nobile persiano pretensore delle nozze di Statira soprano
ARPAGO pretensore delle nozze di Statira soprano
FLORA damigella di corte, confidente delle due principesse contralto
OMBRA DI CIRO tenore
ORACOLO (Apollo) basso

L’azione si figura nell’antica Metropoli della Persia.

Libretto – L’incoronazione di Dario

Altezza serenissima
Solevano gli antichi Sciti in disponersi a qualche guerriera azione offerire sacrifici a quel ferro, che doveva essere ministro delle loro vittorie, quasi che più da quello, che dalla fortezza del braccio ne dipendesse l’acquisto. Non cos’io altezza serenissima pretendo di fare in presentarle questo dramma non mio, troppo di debolezza vi riconosco (per quello ch’è stato d’uopo riporvi per accomodarlo all’uso moderno) per non affidarmi in esso, ma bensì procurarle forte difesa con l’autorevole braccio dell’alta protezione di v. a. s. A questo devesi il sacrificio per renderselo favorevole, già ch’egli solo può assicurarlo dalla censura e fargli godere quel vantaggio, che forse non ardirebbe mai di sperare. Avrebbe bene di che avermene a grado l’autore (se mai vivo egli fosse) se con la difesa, un fregio così luminoso vedesse alla sua opera aggiunto, quale si è quello del glorioso nome di v. a. s. E dove mai avrebbe potuto rinvenire fuori di v. a. s. un soggetto, a cui oltre la grandezza del sangue passato omai per le vene de’ primi sovrani del mondo, e di cui l’Italia tutta s’onora, si accoppiasse il distintivo ancora di tante virtù che vi e più acclamato lo rendono. Già veggo in voi comprovato, che come il nascere grande si attribuisce a fortuna, così il meritare di esserlo, dipende dalla sola virtù. Stendasi adunque, principe serenissimo, un luminoso raggio di vostra gloria sopra questo componimento, sì che tutto splendore egli ne divenga, e quando di ciò degno ei non vi sembri, goda almeno sicuro il ricovero sotto la maestosa ombra delle generose vostre aquile e con lui non meno lo goda chi e per sua gloria, e per ossequioso rispetto profondamente s’inchina.

Di vostra altezza serenissima
devotiss. obbligatiss. ed umiliss. serv.
N. N.

Argomento
Morto Ciro monarca de’ Persiani, tre furono li soggetti più ragguardevoli che pretesero la successione all’imperio; Dario chiaro per nobiltà de natali, e per le proprie fortune, ed era egli sostenuto dai satrapi della Persia. Oronte giovane di vago aspetto, ed era costui seguito dalla plebe. Arpago il terzo capitano, il quale veniva assistito dalle milizie. Doveva fra questi pari di forze seguir duro e sanguinoso contrasto, ma Dario sdegnando di spargere il sangue de cittadini, propose agli Emoli, che sospese le armi fosse quello tra loro veramente monarca dell’Asia, che ottenesse per sposa Statira, primogenita di Ciro, il qual consiglio venne approvato dall’oracolo del Sole. S’assicurava ciascheduno de pretensori nel proprio merito, ma più d’ogni altro Dario sperava di conseguir Statira, e con Statira il diadema, perché essendo di lei invaghito, si valeva del mezzo d’Argene, sorella minore di Statira. Ma innamorata Argene occultamente di Dario, e stimolata dall’ambizion di regnare, fondando massime le sue speranze sovra la stolidità della sorella, ch’era difettosa di mente, tentò con vari inganni di turbar questi amori; ma superate finalmente l’opposizioni fu incoronato Dario con Statira, ed Argene per l’atroce delitto severamente punita, confermandosi quella sentenza d’Orazio, che rarò antecedentem scelestum de seruit pede poma claudo.

Al lettore
Eccoti L’incoronazione di Dario, opera del sig. Adriano Morselli già da molti anni defunto. Se la ritrovi in qualche parte mutata, e per le arie, e per gli caratteri de rappresentanti, non si è fatto ad altro fine, che per accomodarla all’uso moderno del teatro, ed alla compagnia che deve rappresentarla, vivi felice.

Atto primo

Scena prima
Stanza reale con due letti da riposo.
Statira, ed Argene che stanno appoggiate sopra li suddetti letti dormendo, ed Ombra di Ciro che parla.

OMBRA DI CIRO
Figlie tergete i lumi, assai di pianto
in sul rogo versaste: un sospir breve,
un gemito, un singulto
nei casi rei, segno è di mente umana,
ma la doglia ch’eccede, è doglia insana:
io cinto il crin di pura luce, premo
col piè le stelle; or voi
liete del mio goder restate intanto,
e fugga da vostr’occhi il mesto pianto.
(sparisce l’Ombra)

Scena seconda
Statira, ed Argene che spaventate si risvegliano, e poi Niceno.

STATIRA
Che vidi ohimè!

ARGENE
Che vidi!

NICENO
Statira; Argene.

STATIRA
O come
giungi opportuno.

NICENO
E che vi turba?

STATIRA
Ascolta:
il padre… Ah per timore
gelan sul labbro i detti.

NICENO
(Cara semplicità quanto m’alletti.)

ARGENE
Il mio sogno io dirò: m’apparse il padre,
in fra le nuvole avvolto,
agile al moto, e luminoso al volto.

STATIRA
Sogno non fu, ma il genitore stesso,
che nella fronte avea
la nota maestà.

NICENO
(Cara semplicità.)

ARGENE
Or c’interpreta il sogno.

NICENO
L’alma rasserenate: il genitore
che dall’orbe terren sciolte ha le penne,
o fra le stelle alberga,
o vicino alle stelle il seggio ottenne.

ARGENE
Dunque il pianto si lasci, e il riso torni.

STATIRA
Né più il sol ne conduca i mesti giorni.

ARGENE E STATIRA
Cessi il pianto, e il riso torni
sulle ciglia a balenar;
nubilosi, e mesti giorni
venga Febo a serenar.

Scena terza
Flora damigella confidente delle Principesse, e suddetti.

FLORA
Dario introdotto
essere a voi ricerca.

STATIRA
Egli ne venga.

ARGENE
Al nobil perso è giusto
non si neghi l’ingresso.

FLORA
A voi lo scorgo adesso.
(parte Flora)

NICENO
Restate, e da qui innante
non sì facili aprite
le soglie altrui, che spesso
ov’è fama che alberghi
un’intatta bellezza, e peregrina
vanno a stuolo gli amanti ala rapina.

STATIRA
Nasconderò le gemme.

NICENO
Sono intenti sol questi
a depredar gli affetti.
(Cara semplicità quanto m’alletti.)
(parte Niceno)

Scena quarta
Dario, Statira, Argene, e Flora.

DARIO
(a Statira)
Di Ciro il gran monarca
all’erede maggior Dario s’inchina.

ARGENE
(Che sembianza divina!)

DARIO
(ad Argene)
E te pur anco onoro,
che dell’inclita stirpe
vanti i pregi fecondi…
(Statira rimane astratta, ed Argene la scuote)

ARGENE
Non parli?

STATIRA
A chi?

ARGENE
Non vedi?

STATIRA
Eh tu rispondi.

ARGENE
Il tuo nobile aspetto, o perso illustre
nell’avversa fortuna,
di recarci conforto ebbe possanza.
(M’infiamma il sen quella gentil possanza.)

DARIO
Carco di spoglie, e di trionfi onusto,
con gli alti dèi superni,
già Ciro alberga; io stringer spero intanto
(benché Arpago, ed Oronte a me il contenda)
il glorioso scettro, e se no ‘l sdegni
te per consorte eleggo,
dell’impero, e del letto.

ARGENE
(Qual geloso martir mi punge il petto.)

STATIRA
(Che mai vuol dir?) Per me rispondi Argene.
(parte Statira)

FLORA
(O pazzia da catene.)

DARIO
E perché s’allontana?

ARGENE
Le sue veci io sostegno.

DARIO
Corre lunga stagion che a doppi rai
della sua fronte avvampo.

ARGENE
(Soffri, e taci cor mio.)

DARIO
E ben più volte
io di note amorose i fogli ho sparsi,
e in un coi fogli lagrime, e sospiri.

ARGENE
Ma già ch’elle non t’ama,
a che soffrir sì inutili martiri?

DARIO
Deh, s’egli è ver che punga
stimolo di pietà l’anime grandi,
tu che lo puoi, per me t’adopra.

ARGENE
(O dio…)
Adoperommi. (O quanto
vezzoso è agli occhi miei
per me se mai potessi, io lo vorrei.)

DARIO
Sarà dono del tuo amore
il piacer dell’amor mio,
se contento un dì sarò.
Tu consola amante un core
s’ami grato al tuo desio,
qualche bel che ti piagò.
(parte Dario)

Scena quinta
Argene, e Flora.

ARGENE
(Languire o dio mi sento.)

FLORA
Degno è colui di scettro.

ARGENE
Ha presenza reale.

FLORA
Il ciglio ha grave.

ARGENE
La maniera soave. (E l’alma mia
la sa ben quale sia.)

FLORA
Leggiadro ha il volto, e vago il portamento.

ARGENE
(Languire, o dio, mi sento.)

FLORA
(Ella di Dario è accesa.)

ARGENE
Avrà Dario Statira?
Statira de’ vassalli
reggerà le fortune? Ed io negletta
soggiacerò all’impero
d’una sciocca reina? Ah non sia vero.

FLORA
(Che macchina di strano?)

ARGENE
(Purché sul trono io splenda
purché a Dario m’annodi
tradirò la germana
offenderò le leggi
di natura, e del ciel.) Seguimi Flora,
che a parte del mio core oggi ti voglio.

FLORA
(Prevedo un bello imbroglio.)

ARGENE
D’un bel viso in un momento,
si fe’ il core prigionier:
so che il laccio dà tormento,
ma non è senza piacer.
(parte Argene)

Scena sesta
Mentre Flora vuol seguire Argene, è fermata da Statira che sopraggiunge.

STATIRA
Flora.

FLORA
Signora.

STATIRA
Udisti,

FLORA
E che?

STATIRA
Dario mi scelse
e del letto consorte, e dell’impero.

FLORA
Intesi.

STATIRA
Ora mi spiega il suo pensiero.

FLORA
(Quanto è sciocca costei.) Dario desia
che sposa tu gli sia.

STATIRA
Sposa bene. Ma dimmi, e qual di sposa
sia l’opra onesta, e degna?

FLORA
La modestia l’insegna.

STATIRA
No no saper vogl’io,
ciò che il real consorte
da me pretenderà.

FLORA
Egli poi te ‘l dirà.

STATIRA
Dalle tue labbra io pendo.

FLORA
Pretenderà che del real diadema
sempre adorna ti rendi.

STATIRA
E a che fare?

FLORA
Perché nei tuoi vassalli
imprima il volto tuo
amoroso rispetto.

STATIRA
Che più?

FLORA
Che a fidi servi
doni, e grazie dispensi.

STATIRA
Tanto adoprarmi io deggio? Or segui.

FLORA
In fine
scambievole nel resto amor ci vuole,
onde abbian poi due cori un sol volere.

STATIRA
Basta, ancorché non bene
intendo il tuo parlar, pure in appresso
spero che il capirò.

FLORA
(Quanto semplice è questa io dir no ‘l so.)

STATIRA
In petto ho un certo affanno,
che va togliendo al cor
la cara pace.
Se questo è forse inganno
del traditor d’amor
quanto mi spiace.
(parte Statira)

Scena settima
Flora sola.
Seguire Argene io devo,
ma costei mi trattien con questo suo
semplicetto parlar; ma pure alfine
in giovane donzella
ch’amor non anche intende,
questa semplicità bella si rende.
Arma il cor di bel coraggio
quella semplice donzella,
che seguire amor non sa;
che d’amor chi adora il raggio,
perde pace, e libertà.
(parte Flora)

Scena ottava
Cortile con baldacchino a parte, ove è posta la statua di Ciro con la corona.
Arpago seguìto dalle Milizie.

ARPAGO
Udite, o persi: a me s’è dato in sorte
d’esser sposo a Statira,
avran da me le schiere
doni frequenti: il volgo
abbondante la messe; e ognun sicuro
l’ozio, e il riposo; io così affermo, e giuro:
ma di Dario già estinto
non è questa l’effigie, e il gran diadema?
Ah sì ch’egli è; già già lo prendo, e intorno
a queste tempie il pongo…
(prende il diadema, e va per porselo in testa, ma Oronte sopraggiunge, e ce lo toglie)

Scena nona
Oronte assistito dalla Plebe, e suddetto.

ORONTE
Olà che fai?
Per sostener di Ciro
l’imperial diadema,
troppo fiacca è d’Arpago
la temeraria fronte.

ARPAGO
E tanto ardisce Oronte.

ORONTE
A me che d’alto ceppo
nacqui agli onori, a me coprir si denno
gli omeri d’ostro, e inghirlandar le chiome
del fulgido diadema.

ARPAGO
Agl’inutili vanti
risponda quest’acciar, che spesso suole
della temerità farsi castigo.

ORONTE
Alle stolte minacce, il mio risponda,
ch’ha per solo costume
di non curarle.

ARPAGO
Dunque
senza far più dimora il brando impugna
che franco io qui t’aspetto.

ORONTE
Eccomi pronto, e il grande invito accetto.
(qui si battono, e la milizia da una parte, e la plebe dall’altra cominciano il combattimento)

Scena decima
Dario sopravviene, e s’interpone fra Oronte ed Arpago.

DARIO
Guerrieri, ah deh cessate
con le ingiuste discordie e perigliose,
alla patria dolente,
accrescer nel suo duol dolor maggiore:
perché mai voi crudeli,
spargete il civil sangue? A miglior uopo
suvvia serbate il brando, e a più bell’opre
fia che il vostro coraggio ora s’adopre.

ORONTE
Purché si regni il tutto lice.

ARPAGO
Al soglio,
purché giunger si possa,
ogni colpa è virtù.

DARIO
L’armi posate,
e ceda il furor vostro alla pietate.

ORONTE
A me si dée lo scettro.

ARPAGO
Con più giusta ragione io lo pretendo.

DARIO
Ed io tra voi pur anche
circondato da satrapi maggiori,
aspiro agli alti onori.

ORONTE
Dunque il ferro decida.

DARIO
Ah sia ben giusto
che dei persi innocenti
il sangue si risparmi.

ARPAGO
Sta la ragion nell’armi.

DARIO
Ardan vittime al sole,
e dal ciel si principi; indi colui
che la figlia maggior di Ciro estinto
in sposa aver sia degno,
abbia per dote il regno.

ARPAGO
Io no ‘l dissento.

DARIO
A piè del trono
si deponga la spada; all’alta imago
si giuri il patto, e in amistà congiunti
stabile sia la pace.

ORONTE E ARPAGO
Eccoci pronti.
(lasciano le spade a piede della statua di Ciro, e si danno le mani per segno di giuramento)

ARPAGO
Cinto il crin di verde alloro,
mi vedrà la nuova aurora,
tra le porpore a regnar.
Ed in braccio al ben che adoro,
tutto lieto a riposar.
(parte Arpago)

Scena undicesima
Oronte, e Dario.

DARIO
Quanto costui s’inganna; egli non merta
che tra reali piume,
splenda sopra il suo crin di rege il lume.
Chi vantar può il suo valore,
prova fa di sua viltà;
io che temo un tal rossore,
spero sol che regio amore,
sopra il tron mi guiderà.
(parte Dario)

Scena dodicesima
Oronte, e poi Alinda.

ORONTE
Stolte pretese mie; mia
Statira diverrà: Dario, ed Arpago,
nella falsa lor spene
delusi rimarran: ma Alinda viene,
l’importuna si fugga.
(va per partire, e vien trattenuto da Alinda)

ALINDA
Aspetta.

ORONTE
Io deggio
partir, mi lascia.

ALINDA
Oh dio.

ORONTE
Di’ pur che chiedi?

ALINDA
Che ti chieggo sleale? E ancor non temi
da rimproveri miei sentirti in volto
un vil rossor? Tradita,
da te sì abbandonata
real donzella a chi tu fé giurasti;
che da Media ti segue, e qui ti giunge
per vederti pentito; e ancor mi chiedi
che dir ti deggio?

ORONTE
Intendo:
se un tempo io t’adorai, novello ardore
ora accende il mio core.

ALINDA
Lo spergiuro tuo labbro
sì franco espone il tradimento indegno?

ORONTE
Se tradisco il tuo amor, n’è colpa un regno.
Lasciami in pace,
non tormentarmi,
con la tua fede,
che invan mi chiede,
costante il cor:
non so che farmi,
sol per un regno,
ti sembro indegno,
son mancator.
(parte Oronte)

Scena tredicesima
Alinda sola.
Così mi sprezza il traditor? Nemmeno
un’ombra di pietà, di fé, d’amore
per me risente? Ed io lo soffro? E deve
de’ Medi la regnante un sì gran torto
tacer senza vendetta? Ah no, si corra…
Ma che, ti ferma, o cor: le sante leggi
che l’onestà prescrive,
tal vendetta non vonno;
ad Argene l’amica
qui per soccorso io venni; ella me ‘l dia.
Povero sesso, o quanto grave è a noi,
quanto aspra a’ nostri amori è la virtude,
leggi dell’onestà siete pur crude.
Se si potesse amar
col solo sospirar,
saria pur dolce amor:
ma quel ch’è gran martir,
è quel dover soffrir,
per riserbar l’onor.
(parte Alinda)

Scena quattordicesima
Appartamento di Niceno con globi, libri, strumenti chimici, matematici, e da musica.
Niceno solo a sedere avanti un tavolino facendo vista di star componendo una cantata con violoncello.

NICENO
Nell’alme nostre e che non puote amore?
Io che le notti intere
arsi, e gelai sulle più dotte carte
ora servo d’amor deggio in Statira
soffrir, senza scoprirlo il mio destino:
ahi quante volte, e quante
dell’interno mio ardore
l’occulta fiamma in dolci carmi espressa
ad armoniche note
fidai, per far palese il mio tormento,
allor che vien sovente
per diletto del canto a me la bella;
ma frenommi timor d’amor nemico,
e sol mi resta ancora
l’infelice contento
di riandar i miei casi, e i mali miei,
questo solo è il piacer d’occulto amore,
ridir la pena, e aggiunger pena al core,
ma se l’ardere è amor, tacer dovere
col fomento del suon goda il pensiere.
(qui suona)

STATIRA
Niceno al suon, lo vo’ seguir col canto.
(si ritira)
Godi pur de’ tuoi diletti,
ch’anch’io godo al tuo goder…

NICENO
Statira! Ahi cara voce.

STATIRA
Il mio cor quanto tu alletti,
con l’incanto del piacer.
Segui Niceno.

NICENO
Principessa, ahi vista;

STATIRA
Segui, non ti turbar, ch’io pur se ‘l vuoi
muoverò il labbro al canto.

NICENO
(È questo il tempo
di far noto il mio amor coi canti miei.)
Se t’aggrada ubbidisco;
queste armoniche note or dunque prendi
e attenta i sensi espressi osserva, e intendi.
(cantata)

STATIRA
Ardo tacito amante, e il foco mio
celar non posso, e palesar non oso:
dell’ascosa mia fiamma
raggio non spunta, e non traspar favilla,
con guardinga pupilla,
con tacito labbro,
opprimo il foco, e lo rimando al core;
misero che farà!
Pianger per chi no ‘l crede,
penar per chi no ‘l sa.
Doglia maggior di questa amor non ha.
L’adorar beltà che piace,
e celar del cor la face,
è il maggior d’ogni martir:
chi non scopre il suo tormento,
nel suo duol vive contento,
e non merta di gioir.

STATIRA
Così dicea… Ma chi dicea così?

NICENO
Il misero mio cor.

STATIRA
Che forse il core
parlar può senza labbro?

NICENO
(O qual gran pena
è amar chi non intende.)

STATIRA
Ma tu che d’uom sì saggio
già il gran vanto ottenesti,
spiegami se felice oppure infausta
è la sorte di sposa?

NICENO
(Che fronte luminosa!)

STATIRA
Or via caro Niceno,
parla.

NICENO
(Son privo affatto
di norma, e di consiglio.)

STATIRA
Accostati.

NICENO
(O periglio!)

STATIRA
Rompi il silenzio, parla.

NICENO
Ascolta:
quella tua viva, e vezzosetta rosa,
di cui compose amore il tuo bel labbro.
(O bocca!)

STATIRA
Segui.

NICENO
Quell’occhio tuo sì arciero,
che col suo nero ha forza
d’aggiunger lume al sole. (O cari lumi.)

STATIRA
Non t’arrestar.

NICENO
Quel seno
che di gigli, e di rose. (Io vengo meno.)

STATIRA
Che di gigli, e di rose, e poi che più?

NICENO
Or senti: quel bel labbro,
quell’occhio, e quel bel sen sì colorito,
non saranno più tuoi, ma del marito.

STATIRA
Adesso lo comprendo;
Dario sposa mi brama
per tormi ciò ch’è mio,
ma sono accorta la mia parte anch’io:
or tu caro Niceno,
abbandona gli studi,
ch’io per custode ognor ti voglio al fianco.

NICENO
La tua voce è un incanto,
che può trarmi a sua voglia ove desia.
(Sei tu fragile ancor filosofia.)

STATIRA
L’occhio, il labbro, il seno, il core,
se rapir mi vuol lo sposo,
è un amante traditore,
né lo sposo fa per me.
Non può tormi il mio riposo,
né costanza,
né speranza
o d’amore, o di mercé.
(parte Statira)

Scena quindicesima
Niceno, ed Argene.

ARGENE
Niceno, io qui ne vengo
per dirti un mio pensier.

NICENO
Tue voci attendo.

ARGENE
Dopo Statira alle grandezze io nacqui:
ma stella assai più chiara
il mio genio illustrò; quindi risolvo
rapire alla germana
le ragion prime, e fra gli allori, e l’armi
con Dario unita al real trono alzarmi.

NICENO
Illustre è il bel desio.

ARGENE
Tu che fedel mi sei
meco la frode inventa, ed alla suora
esponendo rapporta
che seco Dario finge, e che infelici
son d’Imeneo le tede;
ma ricerco da te silenzio, e fede.

NICENO
Sarò de’ cenni tuoi
non lento esecutore. (All’ardor mio
questo nuocer non può.)

ARGENE
Gran don t’aspetta,
se dar potrai soccorso al bel desio.
Affetti del cor mio non vi condanno,
se mi volete rea, ma rea d’amore,
al regno, ed all’amor serva un inganno,
se son regno, ed amor pace del core,
l’affetto che del cor si fa tiranno,
assolve dal rimorso il traditore,
se in trono un caro sposo amor si gode,
lascia d’esser delitto ancor la frode.
(parte Argene)

Scena sedicesima
Niceno solo.
L’ambizion d’Argene, e di Statira
il semplice trattar, esser ben ponno
non inutil soccorso a quel pensiero
che l’intimo del cor va consumando.
Quale all’onte
da venti sul monte,
debil pianta agitata si mira,
tal s’aggira
quest’alma nel seno:
la speranza s’avviva, l’innalza,
ma il timore che a terra m’incalza
non mi lascia godere il sereno.

Atto secondo

Scena prima
Appartamenti d’Argene.
Dario, e poi Argene.

DARIO
Cessa tiranno amor
di tormentarmi.
Già barbaro, e crudel
quest’alma fedel,
hai posta in servitù.
Cessa tiranno amor
di tormentarmi più.

ARGENE
Dario.

DARIO
Vergine eccelsa;
che di Statira apporti?

ARGENE
E giunto appena
di lei tu parli? (O pena!)

DARIO
Sprona il pensier la lingua.

ARGENE
A lei sol pensi, e tante pur ne miro,
ch’hanno al par di Statira
di latte il seno, e gli occhi di zaffiro.

DARIO
Tranne le forme amate,
è vile a chi ben ama ogni beltate.

ARGENE
Amo Dario ancor’ io,
e pur tu disuguale
non mi sembri nel volto all’idol mio.
(Deh m’intendesse o dio!)

DARIO
Non è forse il tuo amor gigante ancora?

ARGENE
Quel volto, m’innamora;
m’abbagliano quei lumi
degl’astri erranti e fissi
assai più luminosi. (Ah troppo io dissi.)

DARIO
Meco tu scherzi?

ARGENE
No, dirti vogl’io,
che tu sei vago al pari,
di colui che m’accende.
(L’incauto non m’intende.)

DARIO
Ma che disse Statira?

ARGENE
(E pur torna alla meta, o reo cordoglio!)
Ella ha un’alma di scoglio.

DARIO
Infelice che ascolto!

ARGENE
(Nov’arte mi sovviene.) Ai primi soffi
del gelido Aquilone
non si piegan le querce; io ti prometto
d’intenerire alla superba il petto.

DARIO
Lusinghiere speranze.

ARGENE
Io deggio intanto
scrivere al mio conforto:
ma perché non ben ferma,
tra le smanie, e i singhiozzi,
trema la destra, io voglio
che tu per me sparga d’inchiostro un foglio.

DARIO
Eccomi pronto.

ARGENE
Eh là Flora.

Scena seconda
Flora, e suddetti.

FLORA
Signora.

ARGENE
Tosto ci reca un seggio. (Alle mie frodi
deh tu assisti opportuna
o bendata fortuna.)
(Flora porta una sedia, e Dario siede)

DARIO
Premo l’angosce in petto.

ARGENE
Scrivi signor: «mia luce».
(Mia Flora, quel bel viso
ove scherza il vezzo, il riso.)

DARIO
«Mia luce.»

ARGENE
(a Flora)
Mira quelle
brune stelle.

DARIO
Io già scrissi «mia luce».

ARGENE
«Mio tesoro»…
(a Flora)
Mira quelle
brune stelle.

DARIO
«Mio tesoro.»

ARGENE
Che sul core a mille, a mille,
mi tramandano faville.

DARIO
«Mio tesoro.»

ARGENE
Per te mi struggo, e moro.
(poi s’accosta al tavolino)
«Sì sì dolce amor mio,
esca de’ miei desiri,
centro de’ miei sospiri;
delle mie piaghe amabile ristoro,
per te mi struggo, e moro.»

DARIO
Più adagio se tu vuoi,
ch’io scriva tutto ciò che mi dicesti.

ARGENE
Non scriver no, son questi
insoliti deliri,
qualor m’appresso al mio bel sol che splende.
(poi a Flora)
L’incauto non m’intende.

DARIO
E moro. Ho scritto.

ARGENE
Tu il mio ben, tu il cor mio, tu la mia vita,
sì, tu solo, tu sei,
ma quanto il dico più, meno il comprendi.

DARIO
Forse crudo è il tuo ben?

ARGENE
Sì, scrivi, e intendi.

DARIO
Tu sei: ma poi che segue.

ARGENE
(a Flora)
Che quanto il dico più, meno comprendi:
dovria intendermi alfin.

DARIO
Ho scritto, e inteso.

ARGENE
M’intendesti?

DARIO
Sì o bella.

ARGENE
E che ti pare?

DARIO
Che non possa chi ha cor non t’adorare.

ARGENE
(a Flora)
O me infelice.
(a Dario)
E sperar posso?

DARIO
E puoi
sperar d’essere intesa, e corrisposta.

ARGENE
Non puoi, ma quando…

DARIO
Allor che questo foglio
paleserà al crudele,
le tenerezze tue sì ben espresse.

ARGENE
(a Flora)
Ah credeva ben’ io che m’intendesse.

DARIO
Vuoi che più segua?

ARGENE
Basta,
scriverò poscia il nome.

DARIO
Io parto, e in te confido.

ARGENE
Con Statira oprerò quanto conviensi,
t’amo più che non pensi.

DARIO
Placami la mia bella,
se brami men crudele,
il bel che ti piagò:
per te d’amor la stella
all’alma mia fedele,
fausta cangiar si può.
(parte Dario)

Scena terza
Argene, e Flora.

ARGENE
Verrà nelle mie stanze
come suol la germana; il foglio aperto
Flora le mostra, e dille
che a me Dario lo scrisse, e il giorno appunto
che dée sceglier lo sposo
forse come infedel l’aborrirà.

FLORA
E s’altri sceglierà?

ARGENE
Sin dagli omeri altrui
saprò levare a forza,
il reale ornamento,
purché Dario sia meco, io non pavento.
Fermo scoglio in mezzo al mare,
combattuto da procelle,
è il mio core innamorato:
pur non lascia d’adorare,
benché rigide le stelle,
e crudele sia il suo fato.
(parte Argene)

Scena quarta
Flora, e poi Statira.

FLORA
Com’è costei bizzarra.

STATIRA
Prieghi chi vuol, che per me sola io voglio,
quest’occhi, queste labbra, e questo seno;
non son io saggia o Flora?

FLORA
Non s’apprezza il tesor che non s’adopra.

STATIRA
Ma qual foglio è qui scritto?

FLORA
Dario molto non è, scrisse ad Argene.

STATIRA
Dario ad Argene?

FLORA
Sì.

STATIRA
Qui Dario scrisse,
né m’inganna lo sguardo.

FLORA
(Giunse al suo scopo il dardo.)

STATIRA
Ah forse con l’amante anche la suora,
e labbra, e core, e sen rapir mi vuole
scellerato, inumana, ambo tiranni
no, non l’avrete, io voglio
questi per me, ma pria si legga il foglio.
(legge)
«Mia luce, mio tesoro
per te mi struggo, e moro.»
Per Argene il crudel si strugge, e more?
Non lo diss’io che Dario è un traditore?
Con la spoglia del mio l’accorto tenta
crescere alla sua amante altro tesoro.
Ma l’amante io non sono?
Tal mi giurò, si disse,
e in replicati fogli a me lo scrisse.

FLORA
(Quanta semplicitate in cor di donna!)

STATIRA
Dunque Dario è infedel? Mi ruba Argene
lo sposo? Io son tradita’ Invendicata?
Ma no, senta il crudel, l’ingrata senta
i rimproveri miei, le mie vendette;
a sgridar Dario io volo, il cor gli svello
con questa mano ultrice,
vado, corro al crudel, ah, che non lice,
è meglio un foglio; Flora.

FLORA
Eccomi pronta.

STATIRA
Ma non sarà una carta
rimprovero efficace; è meglio un messo:
questo sì, Flora, Flora.

FLORA
Io qui già sono.

STATIRA
Vanne; dove? Sì, va’: ma no, t’arresta,
non bene esprimerai
rabbia, sdegno, furor che mi divora:

FLORA
(Gelosa è alfin la semplicetta ancora.)

STATIRA
Dalle furie tormentata
agitata,
nuova furia volerò.
Ma dove? Alla germana,
a Dario l’infedel; o questo no:
sia pur d’Argene Dario, a me non cale,
amanti, e sposi sian nulla vogl’io:
meglio per me, che lascerammi il mio.

Scena quinta
Flora sola.
Ben questo è mal, se non conosce il male,
arde d’amor la stolta,
e fuor che amor tutt’altro ella condanna,
per cagion di quel duol che sì l’affanna.
Lo spietato, e crudo amore,
sa piagare anche quel core,
che non crede d’adorar:
quanto meno se n’avvede,
tanto più nel duolo eccede,
e si sente a tormentar.
(parte Flora)

Scena sesta
Luogo spazioso ove i Persiani sogliono radunarsi nell’adorazione del sole; padiglione in disparte.
Dario, Oronte, Arpago, e Popolo.

DARIO
Lampa eterna…

ORONTE E ARPAGO
Eterna face.

DARIO
Che ravvivi…

ORONTE E ARPAGO
Che ristori.

DARIO
L’erbe al prato…

ORONTE E ARPAGO
All’erbe i fiori.

DARIO
Con tuoi raggi…

ORONTE E ARPAGO
Col tuo lume.

DARIO, ORONTE E ARPAGO
Scopri il nume.
Insieme

DARIO
E s’intenda oltre gl’Iberi…

ORONTE
E s’acclami oltre gl’Iberi…

DARIO, ORONTE E ARPAGO
Chi vuoi tu che all’Asia imperi.
Si va a poco a poco dilatando il lume, e nel mezzo del globo apparisce Apollo.

ORACOLO
(Apollo)
Quel che la maggior figlia,
avrà di Ciro in sposa,
prema di Ciro il soglio,
ed ogni altro s’accheti; io così voglio.

DARIO
I giusti miei consigli,
la deitade approva, ed io ne godo,
se col mezzo d’Argene
che a mio favor favella,
premio de’ miei tormenti avrò la bella.
(parte)

ARGENE
Certo son di goder, che la mia fede,
ricompensa al suo oprar Statira chiede.
(parte)

ORONTE
Non temere alma mia, sarai contenta,
con la sposa, e col trono,
so quanto oprai, e so che Oronte io sono.
Non mi lusinga
vana speranza,
se non a torto,
posso sperar.
Non è che finga
la mia costanza,
e che superba
voglia regnar.
(parte Oronte)

Scena settima
Statira, e Niceno.

STATIRA
E là sedere io deggio?

NICENO
A ricever gli ossequi,
di coloro che a prova,
per conseguirti in moglie,
corron l’incerta via.

STATIRA
Mi sai tu dir che cosa è gelosia?

NICENO
Perché ciò mi domandi?

STATIRA
Vo’ saper se di Dario
son io gelosa, o no.

NICENO
Se tu no ‘l sai, nemmeno io lo saprò.

STATIRA
Flora mia luce, Argene
il foglio, mio tesoro.

NICENO
(Quante cose confonde!)

STATIRA
Mi par d’esser geloso, ma di che?
Di Dario, oppur d’Argene? Io no ‘l so affé:

NICENO
(Rimirar non poss’io,
quel ciglio innamorato,
che infiammar non mi senta il cor gelato.)

Scena ottava
Arpago, e detti.

ARPAGO
Signora, Arpago io son, quello son io,
che né spada né cuore
risparmiò del tuo impero alla difesa.

STATIRA
(a Niceno)
Lo credi tu?

NICENO
Egli è vero.

ARPAGO
Fra cadaveri, ed armi
sempre fido pugnai; fu mio onore
innaffiare gli allori al genitore.

NICENO
(a Statira)
Nelle battaglie illustre onor si rese.

STATIRA
(a Niceno)
E far potrà ancor maggiori imprese:
sposo l’accetto, se il consigli.

NICENO
È degno,
e del talamo tuo, e del tuo regno.

ARPAGO
(Tormentosa dimora!)

STATIRA
Ecco la destra,

ARPAGO
(Son sposo, e re) Grazie ti rendo, o bella.

NICENO
Dario escluso rimane,
ed io per questa frode.
(Avrò Argene amante, e premio, e lode.)

ARPAGO
Mi va scherzando in sen
un placido seren,
che mi lusinga il cor,
e mi consola:
già certo è il mio goder,
fa bello il mio piacer,
e tutto il suo timor,
all’alma invola.
(parte Arpago)

Scena nona
Oronte, Statira, e Niceno.

ORONTE
(La principessa ho a fronte.)
Questo ancor che se ‘n viene, ed egli è Oronte,
concorre al soglio, e intrepid ritarda,
le grandezze ad Arpago.

STATIRA
Quest’altro ancor mi piace, o come è vago!

NICENO
(L’amica si risveglia, o gelosia!
Amante sono, e consigliarla deggio
alle nozze d’altrui con pena mia.)

ORONTE
(s’avanza)
Principessa rimira
il maggior de’ vassalli,
il più caro al tuo padre, e il più fedele,
quanto oprai, quanto feci,
a prò di tua corona, e del tuo impero
chiedilo altrui, chiedilo al mondo tutto,
e sarà testimon dell’opre mie;
io per me taccio, e con ragione chiedo
il tuo amor, la tua destra, e questo impero;
so che sei giusta, e d’ottenerlo io spero.

STATIRA
Niceno se ‘l potessi, questi ancora
consolare io vorrei.

NICENO
Ma perché no?

STATIRA
E Arpago?

NICENO
Non è tuo
sposo ancor, ben aver puoi per amanti
Dario, Oronte, ed Arpago, ed altrettanti.

STATIRA
Come è così, prendi la destra.

ORONTE
È giusto:
o me felice.

Scena decima
Alinda, e suddetti.

ALINDA
Sì, ma il nodo è ingiusto.

ORONTE
Quai disastri?

NICENO
Quai casi?

STATIRA
E che pretendi?

ALINDA
Deve Oronte esser mio, me ‘l lascia, e intendi.

STATIRA
Serena il tetro nubilo,
che ti conturba l’anima,
godi quel viso amabile,
annodalo al tuo sen:
sulle mie luci stringilo,
con dolci amplessi cingilo,
o l’accarezza almen.
(parte Statira, e Niceno)

Scena undicesima
Alinda, ed Oronte.

ORONTE
(verso Statira)
Ferma mio ben; Statira…

ALINDA
Oronte ferma.
(lo prende per mano)

ORONTE
(verso Statira)
Ascolta.

ALINDA
Senti.

ORONTE
O dio la man porgesti.

ALINDA
E la man ti do in pegno
del mio amor, di mia fé.

ORONTE
(ad Alinda)
Io non parlo con te.
(verso Statira)
Perché fuggi crudel?

ALINDA
Perché mi sprezzi?

ORONTE
(a Statira)
Sei mia sposa, re sono.

ALINDA
(ad Oronte)
Sì son tua sposa, e tu sarai mio re.

ORONTE
Re, e sposo son, ma non parl’io con te.

ALINDA
M’ascolta almen spietato, e s’ancor puoi
sprezzar gli affetti miei,
spezzali, ma infedel, ma ingiusto sei.

ORONTE
Or via, di’ pur, e alfin m’assolvi un giorno
dall’importuno tuo negletto amore;
di’ pur da me che brami?

ALINDA
Che bramo? No ‘l sai forse,
ostinato, crudel, spergiuro amante?
Tu mi chiedi che bramo?
Pensa sol che m’amasti.

ORONTE
Se una volta t’amai o più non t’amo.

ALINDA
Più non m’ami? E la fé che mi giurasti,
la man che mi porgesti? E così sprezzi
un’amante, e regina?
Senti barbaro, senti,
tu non m’ami, io t’adoro;
tu mi fuggi, io ti seguo,
tu m’odi; al letto, al trono io pur ti chiamo:
pensa che promettesti.

ORONTE
Se una volta promisi, or più non t’amo.

ALINDA
Più non m’ami? Vi pensa
e pensa chi tu aborri, e chi tradisci:
ancor per questa volta,
al mio letto, al mio trono io ti richiamo,
pensa che mi giurasti.

ORONTE
Se una volta giurai, or più non t’amo.
Se fui contento
della tua fede,
or più non sento,
d’amor la fiamma,
ch’arda per te:
ad altro oggetto,
di me più degno,
serba il tuo letto,
serba il tuo regno,
e la tua fé.
(parte Oronte)

Scena dodicesima
Alinda sola.
E ancor amo l’ingrato? Odio me stessa,
seguo la morte mia, le pene io cerco:
lasciare io lo vorrei,
ma lasciarlo non posso: in questa fiera
tenzon de’ miei affetti,
per risolver mi manca opra, ed ingegno:
vorrei partir da questo
rigido ciel, ma ritrovar non posso
per uscirne la via:
oh spietato! Oh Statira! Oh pena ria!
Io son quell’augelletto,
che puro e semplicetto,
ramingo in quel boschetto,
errando se ne va.
Si duol della sua pena,
e cerca di fuggir,
ma invan col suo dolor,
procura al mesto cor,
e pace, e libertà.
(parte Alinda)

Scena tredicesima
Camera d’Argene con padiglione.
Argene, e poi Flora.

ARGENE
Dario amato, e dove sei,
vago sol degli occhi miei,
senza te viver non so.

FLORA
Dario signora.

ARGENE
Dario ho lieto avviso:
vengane.

FLORA
Io lo trattengo,
finché t’adorni.

ARGENE
No, vengane tosto.

FLORA
Vado, vado.
(parte)

ARGENE
Chissà che nel mirarmi,
cos’ sconcia, e negletta,
non si muova colui, benché di sasso?

Scena quattordicesima
Argene, Dario, e Flora.

FLORA
(a Dario)
Vieni, ed affretta il passo.

DARIO
Umile a te mi prostro.

ARGENE
Misera me; tu qui signor? M’inostra
il rossore le guance.

DARIO
Mi ritiro se il chiedi.

ARGENE
(a Flora)
No no, ma tu non vedi
come sconcia son io?

FLORA
Mi dicesti…

ARGENE
Che dissi?
Tu fai l’error serva mal nata; e ardisci
sciorre ancor la favella?

FLORA
(Oh questa sì ch’è bella.)

ARGENE
Dario sappi che amor già coi tuoi guardi,
fe’ piaghe al cor.

DARIO
Dunque Statira accetta
il mio amor, la mia fede?

ARGENE
Un poco aspetta;
sappi ch’io sola…

DARIO
Il so, tu sola puoi,
consolar l’anima mia.

ARGENE
Sì, lo farò se il vuoi.

DARIO
Altro non bramo.

ARGENE
Ma sappi ch’io son quella, oh dio, che…

Scena quindicesima
Statira, Niceno, e suddetti.

STATIRA
Argene…

ARGENE
(Empia sventura.)

DARIO
(ad Argene)
(La bella, oh dio, d’impietosir procura.)

NICENO
(a Statira)
Sono in stretti discorsi.

ARGENE
Attendi, io vo’ servirti,
come appunto il mio affetto,
verso di te, richiede.

STATIRA
(a Niceno)
Son più dubbia che mai della sua fede.

ARGENE
(a Statira)
Troncò la sua presenza,
l’insidie di colui; per me si strugge
e temerario, e audace
biasima i pregi tuoi.

NICENO
(Quanto è sagace!)

DARIO
Ho il cor nel sen tremante.

STATIRA
(a Dario)
O germana fedel.
(a Niceno)
Ma tu il sembiante
osi agli astri innalzar barbaro, iniquo,
macchinator d’inganni,
fabbro di tradimenti:
e che ne dici?

NICENO
Spiritosa.

ARGENE
(a Dario)
Senti.

DARIO
(ad Argene)
Deh non lasciar l’impresa.

ARGENE
(a Dario)
Aro la sabbia.

DARIO
Rinnova i prieghi.

ARGENE
I prieghi istessi?

DARIO
Sì.

ARGENE
Così farò già che tu vuoi così.

NICENO
(Ella è mastra nell’arte.)

ARGENE
(a Statira)
M’impone ch’io ti sgridi,
onde quinci tu parta.

STATIRA
(a Dario)
O scellerato,
vanne tu fra le selve,
al mio aspetto t’invola;
t’ascondi entro gli abissi.

DARIO
Nulla giovano i prieghi.

ARGENE
(a Dario)
Io già te ‘l dissi.

DARIO
(a Argene)
Deh rendi al cor la pace,
che m’involasti, o cara.

STATIRA
(ad Argene)
Ei dell’error si pente, ora m’insegna
risposta favorevole e cortese.

ARGENE
(a Statira)
Digli che il dio di Gnido,
non anche il sen t’accese.

STATIRA
(a Niceno)
È buona la risposta?

NICENO
Ottima al certo.

STATIRA
Non anche il dio di Gnido il sen m’accese.

DARIO
Dunque solo a poco, a poco
dovrò struggermi al suo foco,
tu mai
o Statira crudel non arderai?

ARGENE
Rispondi che…

STATIRA
Tante risposte, e mai
non si conclude, è tempo
ch’io gli porga la destra.

NICENO
Lo tolga il cielo.

STATIRA
Eh sì.

ARGENE
Fermati: (o stelle!)

NICENO
Doma il folle desio.

STATIRA
Voglio far questa volta a modo mio:
la man Dario mi stringi.

DARIO
O me beato.

ARGENE
(Scioglierò queste nozze,
a dispetto degli uomini, e del fato.)

DARIO
Quanto Argene ti devo!

ARGENE
(a Dario)
Sarà tua la bella sposa,
(a Statira)
quel crudel t’inganna ancora,
(a Niceno)
ma lo sposo vo’ per me.
(a Dario)
Godi pur la tua vezzosa
(a Statira)
se ben finge, ei non t’adora,
(a Niceno)
sposo Dario ancor non è.

Scena sedicesima
Statira, Dario, e Niceno.

DARIO
Dai primi albori al tramontar del giorno
stringer sempre vorrei
la bella destra, io son già pago, o dèi.

STATIRA
Convien che lasci ancora
la sua parte ad Arpago, e ad Oronte.

DARIO
Che parli?

STATIRA
Questa mano,
ad ambo io già concessi.

DARIO
E così mi deridi? Ambo depressi,
cadan sotto al mio piede,
mete fatali ai fulmi dell’ira,

STATIRA
(a Niceno)
Perché si sdegna? Affé ch’egli delira.
Se palpitarti in sen,
tu senti il cor ancor,
è vano il suo timor,
già sei mio sposo.
Di me non più temer,
se brami di goder,
e non esser almen
così sdegnoso.
(parte Statira)

Scena diciassettesima
Dario, e Niceno.

DARIO
E così mi lusinghi, e mi schernisci?

NICENO
Signore all’innocente,
semplice principessa,
dona tutto il rigor delle ire tue.

DARIO
No Niceno, de’ folli
ostinati rivali,
che mi voglion rapir la sposa, e il trono,
l’orgoglio io vo’ domar; la principessa
se ben semplice ella è, non è ancor stolta.

NICENO
Semplice, e stolta affé ch’io te la giuro.

DARIO
Se tal dunque sedotta,
ella è da miei rivali, e sopra d’essi
sfogherò l’ira mia.

NICENO
(Quasi agitata lampa
ai fiati d’Euro egli nell’ira avvampa.)
Non lusinghi il core amante,
importuna la vendetta,
con lo sdegno, e col furor.
Che mai gode un bel sembiante
col superbo, se l’alletta,
la violenza, ed il rigor.
(parte Niceno)

Scena diciottesima
Dario solo.
No no chi mi rapisce
il mio cor, la mia vita,
e questa, e quello pende
così fatta d’altrui fa bella mia,
non vedrò: meglio fia
perderla, che mirarla ad altri in braccio;
se pure alla speranza
loco non resta ancor per lusingarmi;
non avrò la mia sposa,
ma avrò almeno il piacer di vendicarmi.
Perderò la bella mia,
ma tiranna gelosia,
sfortunato non m’avrà:
che alla pace del mio core,
furibondo il mio dolore,
i rivali svenerà.

Atto terzo

Scena prima
Cortile con due scale, che conducono alla reggia.
Oronte, ed Arpago con scettro, e corona che discendono dalla reggia, con séguito, e poi Statira.

ORONTE
Col splendor del sacro alloro
della Persia il Giove io sono.

ARPAGO
Sovra insegne inteste d’oro,
pien di glorie io giungo al trono.

ORONTE
Ma che miro?

ARPAGO
Che osservo?
(si guardano alquanto, e poi)

ORONTE
Tu rapisti lo scettro?

ARPAGO
Tu il diadema usurpasti?
Insieme

ORONTE
Son compagno a Statira, e ciò ti basti.

ARPAGO
Di Statira son sposo, e ciò ti basti.

STATIRA
(Or che Alinda è lontana
d’imeneo si raggruppi
il legame tenace.)
(prende Oronte per mano)

ORONTE
Lascia Arpago lo scettro, e vanne in pace.

STATIRA
No no Arpago ti ferma il dio di Tespo
fra le mitre di Saba,
arde per noi l’inestinguibil face.
(prende per mano Arpago)

ARPAGO
Lascia Oronte lo scettro, e vanne in pace.

STATIRA
Non parta Oronte.

ARPAGO
E come,
vuoi tu, che un soglio solo,
duo regi accoglia?

ORONTE
E ch’una sola sposa,
abbia in un tempo due legami eterni?

STATIRA
(Oh che ignoranti!) Io seguo
l’opinion de’ filosofi moderni.

ORONTE
Nel mio volto t’affissa.

ARPAGO
Osserva pur la militar presenza.

ORONTE
Il mio cor che ti priega.

ARPAGO
L’alma mia che mercede umil ti chiede.

STATIRA
Già che non v’accordate,
vili, importuni, andate.
(strappa ad ambo lo scettro, e lo getta a terra)

ORONTE
Già della mia speranza il nobil frutto
ecco atterra riman sperso, e distrutto.
(parte Oronte)

ARPAGO
Ah Statira…

STATIRA
Ed ancora
da qui non parti?

ARPAGO
Almeno…

STATIRA
No no più non ti voglio a me vicino.

ARPAGO
O sorte avversa, o mio crudel destino.
Ubbidisco amate stelle
tutte raggi, e tutte ardori
per accendere il mio cor:
se sdegnate ch’io v’adori,
o lasciate d’esser belle
o mostrate men rigor.

Scena seconda
Niceno, Flora, Statira, ed Argene in disparte.

ARGENE
Cauti e fidi eseguite.

NICENO
Or lo vedrai;
(ubbidirò ad Argene
per giovare al mio amore).
(a Statira)
È tempo di contenti.

FLORA
E d’allegrezza.

NICENO
Si placò Dario, ed oggi
al tuo bel sen congiunto
vuol celebrar gli alti sponsali.

STATIRA
(È giunto
il sospirato giorno.)

NICENO
È giunto sì.

ARGENE
(Ma no ‘l vorresti ancora.)
(Statira sentendo la voce guarda)

FLORA
Deh ti ricorda ancor della tua Flora.

STATIRA
Ma dov’è?

NICENO
Acciò non turbi
le nozze Oronte, e Arpago, ei brama or ora
che ti guidiam fuor delle mura.

ARGENE
(E andrai
colà a gioir.)

FLORA
Andrem dove verdeggia
sulla falda d’un colle un orto ameno.

STATIRA
Vi sarà Dario poi?

NICENO
Colà ci attende.
(si volge Statira sentendo altra voce, ma nascondendosi Argene, dice)

ARGENE
Gl’indugi ormai troncate.

STATIRA
Dite, con quante lingue oggi parlate?

NICENO
Or vieni.

STATIRA
E dove mai?

FLORA
A trovar Dario.

STATIRA
Ah sì nell’orto ameno.

ARGENE
(La torva gelosia mi rode il seno.)

Scena terza
Argene, poi Dario.

ARGENE
Pura alfin s’è partita, io già ordinai
che smarriscano il calle, e che sul Tigri
alle fere digiune
l’espongano tra boschi, in questa forma
avrò il regno, avrò Dario, eccolo appunto.

DARIO
Argene, al vento sparse
abbian le preci.

ARGENE
Oprar di più non so.

DARIO
Ucciderò i rivali,
e me ancor disperato ucciderò.

ARGENE
Se degno io ti rassembro
cambio per la germana,
amor prometto, e fede,
immutabile, e certa.

DARIO
(Cieli che strana offerta!)

ARGENE
Che rispondi? Ammutisci?
Sarai tu la mia fiamma,
degli amorosi sguardi
l’unica meta: (ed egli pur si tace
e schernita io rimango, e vilipesa
vo’ abbandonar l’impresa.)
(s’incammina per lasciarlo)

DARIO
(Fingere è d’uopo.) Ascolta
per la corona solo amo Statira.

ARGENE
Se ciò non fosse?

DARIO
Forse.

ARGENE
Non l’ameresti?

DARIO
No.

ARGENE
Lungi cor mio Statira,
n’andò da queste mura.

DARIO
(O dio!) Ma come, e dove?

ARGENE
No ‘l so; so ben che cesse,
alla minor germana,
ha sue ragioni in prima,
onde teco sul trono,
orme di fasto imprima.
In traccia del mio ben vo disperato
s’anche avessi a incontrar l’ultimo fato.

Scena quarta
Alinda, Oronte, e suddetta.

ORONTE
Lasciami.

ALINDA
E ancor mi fuggi?

ORONTE
(Io schernito!)

ALINDA
Che parli?

ORONTE
(Lo scettro infranto, e la speranza…)

ALINDA
O cieli!

ARGENE
Oronte.

ORONTE
Inclita donna.

ARGENE
Fuggì Dario, e Statira.

ORONTE
Inaspettato avviso.

ARGENE
La plebe aduna, e meco in questo giorno,
che a Statira succedo,
premi l’augusto soglio.
(Perder con Dario il regno ancor non voglio.)

ALINDA
E co’ regi, e col volgo, e fin nell’urna
compagna io gli sarò.

ORONTE
(Sempre costei
temeraria sconvolge i casi miei.)

ALINDA E ARGENE
Se speri di baciar
quegli occhi che tiranni,
il seno mi piagar,
bella t’inganni.

ARGENE
Ogni ragion ti cedo,
sotto l’ombra degl’astri,
di lauro inghirlandata,
dia teco Alinda ai popoli soggetti,
le nuove leggi, e il tributo aspetti.

ORONTE
Il genio la ricusa.

ARGENE
Olà, così t’impongo.

ALINDA
O magnanima, o giusta.

ARGENE
(piano ad Oronte)
Viva coppia sì bella, e Giuno tosto
maturi i parti ai cari amanti, e fidi.
(poi ad Alinda)
Se vuoi regnar con questa superba uccidi.
Se pensi, ch’io baciar
voglia quei rai tiranni,
che il seno ti piagar,
bella t’inganni.
(parte Argene)

Scena quinta
Alinda, ed Oronte.

ALINDA
Intendesti?

ORONTE
Ho già inteso.

ALINDA
Eseguirai,
quanto Argene t’impone?

ORONTE
Io lo farei;
ma il ricusa il cor mio.

ALINDA
Barbaro core;
la mia fede che puote,
impietosire Argene,
fino a cedere il mio,
le ragion del suo amore avrà men forza
presso di te, che d’una mia rivale?

ORONTE
(Quanto affretta il suo fato!)

ALINDA
Deh per quella a te un tempo
sì cara rimembranza
de’ dolci affetti miei; per questa un tempo
fedeltà non odiosa, e alfin per questi
amorosi sospiri
ti caglia del mio amor; le tenerezze
d’un’alma che t’adora
più non odiar; e se queste non ponno
imprimer nel tuo sen ombra d’amore,
abbi pietade almeno.

ORONTE
Ho pietade di te più che non pensi.
(Ma tiranna si fa pietà che nuoce.)

ALINDA
Ma quando eseguirai
il comando ch’avesti?

ORONTE
Forse più presto, o dèi, che non vorresti.

ALINDA
Amorosa la mia speme
del tuo amor più non teme,
e già certo è il suo gioir.
Brilla ‘l cor tutto contento,
che sparito è ‘l suo tormento
ed ha fine il suo martir.

Scena sesta
Oronte solo.
Misera, e non s’avvede
che allor che crede il ben, incontra il male,
deve morir, e mora.
N’ho pietà, perché è fida.
Ma se questa mi spiace, io non l’ascolto.
Ai rimorsi del cor dia pace un regno
de’ rivali il trionfo, ed il mio impegno.
Crudeltà, che m’è pietosa,
e pietà, che m’è crudele
son tiranni del mio cor.
Se son fido ho trono, e sposa,
se pietoso ho un cor fedele,
ma la fede è mio dolor.

Scena settima
Statira, Niceno, e Flora.

STATIRA
Son stanca; è l’orto ameno
quinci lontano?

FLORA
Hai corsa
del non lungo cammin non poca parte.
Or qui riposa, e per gli torti calli
alle tenere membra
non far più violenza.

NICENO
(a Flora)
Lasciar sola Statira in mezzo ai boschi
preda ai leoni, agli orsi,
è troppa crudeltà; vanne alla reggia.
Che fin che avrò respiro,
sulle dilette piagge,
io le sarò fido custode a lato.

FLORA
(Oh che vecchio onorato:
io parto sì, ma a te lo raccomando.)
(parte)

Scena ottava
Statira, e Niceno.

NICENO
(Solo io rimasi, ardire.)

STATIRA
Oh che lena io ripresi! A Dario andianne.

NICENO
Qui meco in queste selve,
condur tu devi i giorni.

STATIRA
Le reine tradisci?

NICENO
Tu reina? Vaneggi,
ho sopra te l’impero; al manto d’oro
succederan spoglie servili; il piede
sparso di loto, e scalzo,
sull’agghiacciate zolle
il verno calcherà; solo io comando,
né Dario…

STATIRA
Deh Niceno…
(qui Niceno si ferma tutto tremante vedendo Dario, e vuol fuggire, ma lo trattiene)

Scena nona
Dario che sopravviene, e suddetti.

DARIO
Tu più non sei reina; il gran Niceno
ha sovra te l’impero; al manto d’oro
succederan spoglie servili… all’empio
tu la pena prescrivi.

STATIRA
Perfido, traditore.

DARIO
Ch’io ne sarò l’esecutor.

NICENO
Rammenta,
che bambino t’accolsi;
che primo a’ tuoi vagiti,
io risposi coi baci,
e che primo ti sciolsi
dalle fasce tenaci.

STATIRA
Sebben no ‘l merti, usar voglio pietade.

NICENO
(L’eloquenza de’ saggi
sempre alfin persuade.)

STATIRA
Passagli il sen col ferro,
e a quel tronco l’affiggi.

NICENO
O dispietata!

STATIRA
Ma guarda che non mora.

DARIO
E come posso
ferire il petto, e assicurar la vita?

STATIRA
Nella selva romita,
viva dunque ramingo, io son contenta.

Scena decima
Dario, e Statira.

DARIO
Trovai Flora colà per la boscaglia,
secreti mi svelò d’alto momento
e per salire al trono,
resta che tu cortese,
ai lunghi corrispondi affetti miei.

STATIRA
Io già vi corrispondo,
se il mio liberator tu solo sei.

DARIO
Pur t’abbraccio.

STATIRA
Pur t’annodo.

DARIO
Caro laccio.

STATIRA
Dolce nodo…
Insieme

DARIO
Che ristora l’alma mia.

STATIRA
Che consola l’alma mia.

DARIO
Tu sei solo il mio riposo.

STATIRA
Tu il mio bene, il vago sposo.

DARIO
Per te ha fin la doglia mia.
(partono)

Scena undicesima
Piazza.
Argene, e Popolo.

ARGENE
Sola, o popoli, io resto, e la maggiore
quindi son io: la misera germana
d’un avverso destin scopo allo sdegno
morì: ora s’adempie
l’oracolo; è ben giusto
che mi cinga le chiome il sacro alloro,
la regina ora sono,
prendo il famoso scettro, e ascendo al trono.

Scena dodicesima
Alinda, e detta.

ALINDA
Vergine altera.

ARGENE
(E non l’uccise Oronte?)
Già sei regina, e ti vedrai ben tosto,
sotto l’inclite piante,
gli stendardi, e le palme,
dell’Asia supplicante.

ALINDA
O prosperi successi.

ARGENE
Colei tosto annodate.

ALINDA
Che fate? Argene, Argene, ohimè che fate!
A me ceppi, a me catene,
dimmi almeno il mio delitto,
e contenta vo’ morir.
Col piacer del caro bene,
lusingasti il core afflitto,
per accrescermi il martir.

Scena tredicesima
Arpago, e detti.

ARPAGO
E quai moti improvvisi?

ARGENE
Questo ancor s’imprigioni.

ARPAGO
A me nodi servili? Al più possente
guerrier dell’oriente?

Scena quattordicesima
Dario che sopravviene con Statira, e suddetti.

DARIO
Salva, o persi, è Statira.

ARGENE
(O rea sciagura!)

ORONTE
(O strano evento!)

DARIO
Ma come fra catene
sono Alinda, ed Arpago?

ARPAGO
Fu barbaro comando
d’Argene, che innocente
mi fe’ stringer fra ceppi.

ALINDA
Io pur mi vedo,
cinta d’aspre ritorte,
né trovo in me delitto.

DARIO
Ambo sian sciolti.

ARGENE
(O crudele destin!)

ORONTE
(Che sarà mai?)

DARIO
Argene troppo fiera, ed empia troppo
tu sei, ma furon vani
tuoi perversi attentati:
ecco salva Statira,
l’innocente germana, che esponesti
con barbaro coraggio agli orsi, ingrata
io fui, che la serbai,
ogni altro ella deluse, e a me solo
è consorte.

STATIRA
Il confermo.

DARIO
Apollo ubbidisca, e Argene intanto
che la suora innocente, e i numi offese,
cinta vivrà d’asprissima catena.

ARGENE
(Ah che unita all’error sempre è la pena.)
Ferri, ceppi, sangue, morte
non paventa l’alma forte,
che vien meco il mio furor.
So ch’io sono invendicata,
e che fui meno spietata,
è mia pena, e mio dolor.
(parte con guardie)

Scena ultima
Dario, Statira, Alinda, Oronte, Arpago.

ARPAGO
Meritato castigo.

ORONTE
(ad Arpago)
Cedere alfin conviene.

ARPAGO
Egli è ben giusto.

ORONTE
Signore i miei trascorsi
dona a un folle desio che le pretese
svegliò in me di regnar su questo trono;
e da Alinda m’impetra
pietà, pace, e perdono.

DARIO
Principessa, d’Oronte
stringi la destra; e al dolce nome, e caro
di consorte, e di sposa
ceda il suo sdegno.

ALINDA
Io cedo
che s’egli fu crudel, pur m’innamora
e ad onta l’ira mia l’adoro ancora.

STATIRA
Son pur sposa ancor’io.

ARPAGO
Sposa, e reina,
con Dario, or mio signore,
su quel trono t’affidi, e in testimonio
di mia fé, a questo impero
l’omaggio del mio core umile accetta.

ORONTE
(a Dario)
Godi pure a ragione, e trono, e sposa.

DARIO
Grazie vi rendo amici,
e priego pure a voi giorni felici.

ORONTE
Or s’alzi al nuovo impero,
nell’applauso comun voce festiva:
viva Dario.

POPOLO
Viva viva.

CORO
Rinforzi la gioia
il suon delle trombe,
del Nilo risponda
sin l’ultima sponda
e il cielo rimbombe.
Rinforzi la gioia
il suon delle trombe,
del Nilo risponda
sin l’ultima sponda
e il cielo rimbombe.

Fine del libretto.

 

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