Gloria cilea libretto

Gloria

Dramma lirico in tre atti

Musica di Francesco Cilea
Libretto di Arturo Colautti

Prima rappresentazione: Stagione di Carnevale-Quaresima 1906-1907, Teatro alla Scala, Milano.

Personaggi
AQUILANTE DE’ BARDI, Basso
GLORIA, Soprano
FOLCO, Baritono
LIONETTO RICCI, detto il Fortebrando, Tenore
IL VESCOVO, 2° Basso
L’ORVIETANA, Contralto

Nobili e popolani — uffiziali e guardie
Dignitari civici ed ecclesiastici — chierici e frati
Donne e fanciulle — banditori e valletti

Ambientazione: presso e dentro Siena sul declino del secolo decimoquarto.

Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

Libretto – Gloria

ATTO PRIMO
La fonte.
Piazzale a guisa di terrazzo con parapetti bassi. La turrita città si dispiega, salendo sul fianco del vitifero colle, dal cui sommo comanda — sacra rocca — la Cattedrale. Al piazzale tortuosamente si ascende dalla piana per gradi incisi nel masso tra sinuosi spalleggiamenti merlati.  Nel mezzo dello spianato, di contro alla prima porta guerresca, sorge una fonte monumentale, appena costrutta e ancor nascosta da steccati e da tele. E lì presso, appiè del muro maggiore, è una tribuna a baldacchino, leggiadramente pomposa.
 
La città tutta si adorna di giocondi palvesi bianco-neri, rossi col grifo d’oro rampante, bianchi con la lupa romana e i gemelli, vermigli a croce bianca, verdi con l’effigie di San Martino, azzurri col motto Libertas. Festoni di verzura ricorrono tra’ merli e gli aggetti delle mura vetuste. Nel fondo è la valle verdissima e fresca: biancheggian da lunge gli ultimi gioghi dell’Appennino. Pomeriggio di calen d’aprile.
 
Sulla tribuna, rimpetto all’assito, e sotto la grande insegna della Repubblica (in due campi orizzontali bianco e nero con l’effigie di Maria Santissima e la scritta: Civitas Virginis), è la Signoria col canuto Aquilante de’ Bardi, priore, tra quattro «comandatori» in toga scarlatta con la balzana nera sul petto e un’eburnea bacchetta in mano: a piè del podio araldi, alfieri e donzelli del Comune, senz’altr’arme che lo stocco. Sotto il baldacchino, più in alto, è il Vescovo in sacri paramenti circondato da canonici in cappamagna: indietro, un accolito reggente la gran croce episcopale d’argento: davanti, sul grado inferiore, due chierici co’ turiboli. — Sulla dritta son raggruppati quei di parte nobilesca, tra cui Folco de’ Bardi, capitan delle « Cinquantine » o compagnie di civica milizia; a manca, la contraria fazion popolare, divisa giusta le varie Arti, ciascuna col suo gonfalone.
 
Donne e fanciulli coronan le mura dentellate: altra moltitudine è in fondo alla via saliente: sull’alto della gran porta, nel fondo, stanno banditori e trombetti, e presso la fontana, ancor mascherata, alquanti artigianelli e maestri d’arte in atto d’attendere un comando.
 
Nobili e plebei, tutti, per comune consenso, sono intervenuti inermi alla civica festa inaugurale.
 
AQUILANTE.
Or si rinnovi il bando dell’indulto!

(Al suo cenno quattro trombetti con la dalmatica vermiglia, adorna dello scudo bianco-nero, e quattro banditori in assisa verde e turchina s’affacciano al parapetto merlato del piazzale, I trombettieri dan quattro squilli ai quattro venti.)

BANDITORI.
La Signoria significa: “Ciascun,
che per legge o per tema si parti,
in queste mura rientrar potrà
e rimanervi in piena securtà,
partecipando al giubilo comun,
fin che raggio di sol non tacerà…,
La Signoria significa così…

(I trombetti ripetono l’invito; indi ritraggonsi coi banditori.)

AQUILANTE.
O voi tutti, qui uniti,
pria d’iniziare i riti,
giurate che ciascun patto mantenne,
e, per altrui certezza,
inerme venne.

TUTTI.
Noi senz’armi qui siamo, — e lo giuriamo!

AQUILANTE.
Ed or la fonte, simbolo di pace,
brillerà sotto il sole.
Artier’, come al Ciel piace,
si discopra la sua candida mole.

(Gli artieri eseguono. Appare una grande vasca marmorea con emblemi religiosi a bassorilievo, tra cui la Madonna col Bambino, e bocche di delfini munite di cannelli al coronamento. Giocondo stupor della folla, che osserva e commenta.)

LA FOLLA.
— Puri marmi! — E’ son di Luni! — Che beltà!
— Fontechiara! — Benedetta ella sarà!

(Per ambo i lati della rampa merlata discende una doppia schiera di fanciulli e donzelle, cinte le fronti di fioralisi, e recanti tra le mani un ramicello fiorito. Scendono nella piazza, cantando l’inno della stagione novella. Gloria è tra le giovinette.)

I FANCIULLI.
Aprile, giovinetto incantatore,
che con l’arco saetti,
ridono i cieli schietti
sul tuo capo soffuso di fulgore.
Tempo è questo d’amore,
e di sogni e di fior fai ghirlandelle,
e ne cingi le belle,
Aprile, Aprile, ardore d’ogni core!…

LE DONZELLE.
Primavera, al tuo limpido raggiare
palpita la riviera,
e, bruna messaggera,
la rondine ritorna d’oltremare.
Tu, con tue grazie rare,
pieghi a dolcezza ogni amator selvaggio,
e coroni d’un raggio
ogni cuor che sospira: Amare! amare!

(Gloria si stacca dalla schiera verginale e si accosta alla fonte.)

GLORIA.
Fonte muta e profonda,
come un core che attende
la sua vena più fervida e vermiglia,
apri la meraviglia
de’ tuoi fianchi leggiadri,
canta a guisa di cetra.
Ecco, s’alza per l’etra
la preghiera de’ giovini e de’ padri,
e tu reca la pace e l’abbondanza,
fonte di gioja, fonte di speranza!

(Subitamente giunge da lontano un fioco grido:)
— L’acqua!
(tosto ripetuto e rincalzato da altre voci più prossime:)
— L’acqua! — L’acqua! — L’acqua!…

(Un gran fremito di gioja percorre la moltitudine, che si protende dagli spalti per meglio assistere all’ascensione dell’acqua lungo il canale.)

VOCI.
— Par che sorga dalla roccia!
— Sboccia! sboccia! — Sgorga! sgorga!
— Vien sui ponti, sulle mura,
fresca e pura! — Pronti! pronti!
— Come gaja! — Come lesta!
— E una festa, dove appaja!
— Geme, scivola, scintilla!
— Risfavilla, scocca, freme!

ALCUNI (presso la fonte, accostando l’orecchio).

— Tutto il marmo par canoro!
— Vena d’oro! di ristoro!
— Meraviglia d’arabeschi!
— Fior’ di peschi! — Alba che ingiglia!

TUTTI
— Canta, canta, acqua giuliva!
— Canta e ridi! — Tergi e avviva!

(Tra squilli di trombe e grida di letizia, l’umore purissimo zampilla a un tratto gajamente dai cannelli, ricadendo spumeggiante nel bacino.)

(D’improvviso, dal basso del colle, giunge trafelato e ansimante, un giovine in abiti dimessi, seguito da vari compagni ammantellati e alla vista senz’armi. La folla s’apre al suo arrivo, con lungo mormorio.)

LIONETTO.
Al Ciel sia lode! In tempo io giungo… O colle
fiero e giocondo! o gloriose mura!
Dopo lungo vagar da zolle a zolle,
dopo triste sognar senza un ajuto,
col ciglio stanco e con l’anima pura
or vi rivedo, ed or vi risaluto!

(Lionetto volge poscia lo sguardo alla scena: scorgendo Gloria, che porge l’anfora in giro, rimane quasi impetrato dalla meraviglia delle sue grazie. Le si avvicina indi con rispettosa dolcezza.)

LIONETTO.
O madonna, dal puro occhio soave,
l’anfora del conforto a me porgete…
Qual pellegrin per solitudin grave,
sizïente son io…

GLORIA.
Ecco, bevete…

LIONETTO.
Grazie vi rendo!… Ma se lontananza
non cancella amistà… certo… voi siete…

GLORIA.
Gloria de’ Bardi…

LIONETTO.
O salda rimembranza!
o dolce puerizia! o primo affetto!
o custodito fior della speranza!

GLORIA.
Io non v’intendo, e pur v’indulgo in petto,
come a Straniero…,

LIONETTO.
No, stranier non sono…
Fanciullo, nell’avito orto diletto,
io v’onorai divotamente prono…

GLORIA.
Io no’l rammento…

LIONETTO.
E voi, quasi germana,
m’insegnavate a orar…

GLORIA (turbata, tra sè).
O dì sereni!…

FOLCO (avanzandosi e interrompendo).
Profugo, assai dicesti!… Or t’allontana!

LIONETTO (rivolgendosi, come ferito).
E con qual dritto il rimembrar m’infreni?

FOLCO (superbamente).
lo mi son Folco, fratello a costei…
E tu, qual nome porti? onde ne vieni?
che volgi in cor?

NOBILI.
Parla!

POPOLANI.
Parla!

TUTTI.
Chi sei?

LIONETTO.
Storia ho di sangue! Queste superbe mura
m’ebbero figlio. Contra servi e tiranni
vivea mia gente, vanto della città…
Ma lire antiche più: non spargean terrori,
poi che nei cuori fioria la libertà…

Come la luna, che in sul mattin s’imbianca,
splendea mia suora, sposa tra le ghirlande,
perla tra’ veli, raggio di purità…
O dolci nozze, con citaristi e cori,
selva di fiori, palpiti d’amistà!

Quando, repente, nella giuliva notte,
s’ode una squilla. Varcan le nostre porte
bande d’armati, torme di traditor’…
Incendio e sangue! Poi, sovra un flutto rosso,
cade percosso della mia stirpe il fior…

Orrida strage! Morti i fratelli e il padre!
Tutti!… Me solo, gramo fanciullo ancora,
salvo fui tratto da una pia donna al mar…
E lunge crebbi fra le tempeste e l’armi,
per carmi e marmi mio nome ad eternar…

AQUILANTE.
Figliuol sei, dunque, a quel Ricci, priore
del popolo, che cêsse Montalcino
per moneta al Visconti?

FOLCO.
Il traditore!

NOBIL.
Giuda novello!

ALTRI NOBILI.
Secondo Ugolino!

LIONETTO (impetuosamente).
Menzogna! Ei cadde, vittima innocente,
o patrizi, del vostr’odio felino,
e l’ombra inulta aspetta…

GLORIA (tra sè):
(Anima ardente!)

AQUILANTE.
Giovine, mal scegliesti l’ora… Giova
chiedere fuoco alle ceneri spente?
Ospite nostro sei fino alla nova
sera… Non vedi? Nell’april fiorito,
pace l’aurea città ecco ritrova…
Tacciano lire!… Ed or si compia il rito!

(Seguito da’ suoi assistenti, il Vescovo, sceso dal podio, solennemente si dirige alla fonte, tra tocchi gravi di campane. Gli uomini s’inchinano e le donne si genuflettono.)

IL VESCOVO.
Pura figlia del sole e della neve,
che lasciasti l’antica alpe natia,
Dio ti sospinge a noi, limpida e lieve.

DONNE E FANCIULLI.
Ave Maria!

IL VESCOVO.
Io ti sacro nel nome augusto e lene
di Lei, che nacque senza tabe ria,
fonte de’ fonti e vena delle vene.

(Immerge nell’acqua un cero acceso fino a spegnervelo.)

TUTTI
Ave Maria!

GLORIA (presso la fonte, rivolgendosi alla bandiera del Comune, ov’è trapunta l’imagine della Madonna).
Vergine d’astri e di viole adorna,
mite com’alba e chiara come luna,
che ne scorti fra brume e fra tormente;
Tu, presidio miglior contro fortuna,
sì che speranza in Te sola soggiorna,
mira umiltà di tua devota gente;
odi, odi de’ cor l’inno fervente,
che, salendo, s’inchina;
Vergine in Ciel reina,
poi che spegnesti la vermiglia face
di fratricida guerra,
per te la terra va cantando: “Pace!”

GARZONI E DONZELLE,
Date alla fonte fiori,
date fiori alla fronte!
E sian gigli di pace,
viole di letizia;
e amor torni in dovizia,
mentre discordia tace.
Date fiori alla fronte,
date alla fonte fiori!

(Al dolce invito di Gloria e del coro dei garzoni e delle donzelle, che girano intorno alla vasca, battendo l’acqua coi lor ramuscelli fioriti, alcuni, nobili e plebei, accorrono a Fontechiara, e immergono nell’acqua benedetta le destre: indi devotamente si segnano. Lionetto resta solingo e sdegnoso.)

I NOBILI.
— Fratelli siamo!

I POPOLANI.
— All’odio guerra!

LE DONNE.
— Gloria ne’ cieli!

GLORIA.
— Pace alla terra!

(È il vespro, Il sole s’asconde lentamente dietro i culmini lontani. Il colle e la città tutta ne corruscano all’estremo saluto, entro un velo d‘oro e di porpora. Remotamente, da valle, sale il suono dell’Angelus)

(Nel saluto serale delle campane, il Vescovo, col suo corteo, si diparte, risalendo sotto il grand’arco della porta. La folla si apre, curva al suo passaggio.)

AQUILANTE.
Fuorusciti, è già ora del rivarco:
cessa l’indulto e la franchigia… Andate!

(Al suo cenno, i trombetti danno tre volte il segno del congedo. I fuorusciti si raggruppano nel mezzo, intorno a Lionetto, che immobilmente riguarda la bellezza di Gloria; ma, all’ultimo squillo, ei pur si riscuote.)

LIONETTO.
Ma non per me, d’aspre rampogne carco,
o trombe, il verso del congedo alzate!…
Se il sol si parte, qui convien ch’io resti…

AQUILANTE (con profondo stupore).
Giovin, dicesti parole insensate…

FOLCO (beffardamente).
Te stesso incolpa, se tardi giungesti!

GLORIA (dolcemente, al padre).
Padre, sia pace! Forse ei sofferse
nelle traverse vie dell’esiglio…
Lascia che il figlio sciolga il devoto
tenero vòto di sua pietà…

LIONETTO (a Gloria).
Mercè, fanciulla! Del sogno mio,
con la parola pietosa e forte,
all’improvviso, schiudi le porte:
sogno di speme, fior di desio…

AQUILANTE.
Di qual sogno tu parli?

LIONETTO.
Esso è raggiante,
e in suo nome anche morte è una vittoria…
Pace, o guerra tu vuoi?

I NOBILI (irritati, eccitando).
Folco?… Aquilante?…

AQUILANTE (ironico, a Lionetto).
E il prezzo di tua pace?

LIONETTO (indicando Gloria).
Eccolo: Gloria!

(Propagasi nella moltitudine un movimento di meraviglia e d’interessamento. Alcuni commentano con favore; altri appajono esasperati dall’inaspettata domanda.)

AQUILANTE.
Gloria! la figlia mia?

FOLCO.
La mia sorella!

ALCUNE DONNE (in disparte).
(Oh, com’è bella!)

GLORIA (tra sè).
(Vergine Maria!)

FOLCO.
Pel nome di Dio che ci guarda,
per l’armi lasciate all’altar,
castiga la bocca codarda,
bandito del bosco e del mar!
Tu cerchi che l’odio rïarda;
ma l’arme de’ Guelfi è gagliarda,
saprebbe ogni trama sventar!LIONETTO.
Pel dolce raggiar di sue ciglia,
pel labbro cui chiesi mercé,
ringrazia che l’ira vermiglia
non scenda, o spavaldo, su te!
S’io bramo de’ Bardi la figlia,
un puro desìo mi consiglia.
Tal rosa divina è per me!NOBILI.
– Stoltezza! Demenza! Viltà!
AQUILANTE.
Straniero è cessato l’indulto,
e troppo feristi il mio cor!
Or vanne; e se innovi l’insulto,
m’avvampa l’antico livor!
Tu sei di nemici virgulto,
sei figlio d’un reo traditor!GLORIA (fra sé).
(Memorie d’infanzia Lontana!
È questi il compagno d’un dì
Signor, la sua collera arcana
dissolvi e scongiura così!
Nel gorgo di rossa fiumana,
Il sogno, la pace finì)POPOLANI.
– Giustizia! Clemenza! Amistà!

AQUILANTE (a Lionetto).
Tu vaneggi, incauto. Va!

FOLCO.
Tu bestemmi, audace. Va!

I NOBILI.
Va!

LIONETTO (con passione veemente).
No! Qui m’addusse di sua fama il suono,
l’occhio stellante che nel cor mi sta…
Uccisor’ di mia stirpe, io vi perdono;
ma il raggio io porti della sua beltà…

AQUILANTE.
No, nemico tu sei; sei rinnegato!

FOLCO.
Lupo, al covil! rinsèlvati, cignal!

LIONETTO
(Si apre il mantello e appar vestito da capitano in armi: sulla corazza porta in rilievo un purpureo Leone rampante).
Conoscetemi, alfin! Me guida il Fato…
Son Fortebrando, messo imperial!

(Tutti, a questo nome che èvoca una storia di battaglie e di assedi gloriosi contro le città e le osti nemiche, rimangono percossi da stupore.)

I POPOLANI (con gioja).
I dei nostri! Fiero duce,
egli adduce libertà.

I NOBILI (con ira e disprezzo).
Triste falco di ventura,
la sciagura ei porterà.

AQUILANTE.
T’ha la patria maledetto!

FOLCO.
Fuoruscito, va!

I NOBILI.
— Va! — Va!

LIONETTO (aprendosi un varco tra la folla minacciosa).
Vili voi siete! E vi ammanta la frode!
Ma del suol, che fu mio, pegno otterrò…

FOLCO (contendendogli quasi il passaggio in atto di sfida).
Invan tu speri: la città non t’ode!

LIONETTO (facendo un cenno a suoi seguaci e chiamandoli).
Compagni, è l’ora! Inulto non andrò…

(I seguaci di Lionetto, snudate le daghe, nascoste dietro il dorso, si avanzano e circondano Gloria.)

LIONETTO (rivolgendosi ai popolani).
Spezza le annose turpi ritorte,
Popolo, e ruggi!

I PATRIZI.
A morte! a morte!

LIONETTO (c. s.).
Levati ritto d’innanzi al sole,
Popolo, e azzanna!

I POPOLANI.
Iddio lo vuole!

(Lionetto raggiunge Gloria, pallida e quasi esanime dinanzi all’improvvisa scena di terrore, e seco la trae rapidamente in sullo spalto. A tal vista, Folco, ruggendo, si precipita contro gli uomini armati, e Aquilante, tremulo di vecchiezza e di dolore, si slancia anch’egli verso la forte schiera dei rapitori, i quali gradatamente, ma inflessibilmente retrocedono.)

FOLCO.
Per la croce di Dio! Vile masnada!
(Cerca di strappare l’arma ad un de’ seguaci di Lionetto, ma è ferito.)

AQUILANTE (con grido disperato).
Mia figlia!

(Dall’orlo estremo della rampa, di là dalla porta, Lionetto risponde.)

LIONETTO.
È vano!

(Scompare, seco traendo Gloria.)

AQUILANTE.
Inseguite il suo corso!

FOLCO.
All’armi! all’armi!… La spada! La spada!

(I patrizî, benchè inermi, han seguito l’esempio de’ Bardi; ma il popolo, ammutinato, fa siepe alla porta turrita per impedire l’ inseguimento, e li fronteggia minace.)

AQUILANTE.
Figlia! mia figlia!

LE DONNE.
Soccorso! soccorso!

NOBILI,
Largo!

PLEBEI.
Indietro!

NOBILI.
Marrani!

PLEBEI.
Impostor!

NOBILI.
Vendetta! vendetta!

PLEBEI.
Riscossa! riscossa!

(Le due contrarie fazioni, venute alle mani, si azzuffano; i nobileschi, sopraffatti, indietreggiano. Squillano d’intorno nell’immenso tumulto le trombe, e molte campane suonano a stormo. I rapitori sono scomparsi nelle ombre della sera discesa grado a grado,  Aquilante e i suoi son rimasti, inutili inseguitori, innanzi alla gran porta, atterriti dalla commozione e dall’ansia. Indi Aquilante, solo, si avanza verso la rampa estrema, guardando giù nel mistero della valle, con angoscia mortale. Folco, che è ferito, poi che vano riesce ogni inseguimento, è da alcuni amici tratto alla fontana per detergersi il sangue scorrente dalla fronte. Ma egli fieramente se ne schermisce; poi, accennando a valle, prorompe)

FOLCO.
Sangue! sangue!

(Le donne e i fanciulli si raggruppano spauriti presso la fontana, scoppiando in singhiozzi e gemendo.)

I FANCIULLI.
Ecco, l’acqua divien rossa…

LE DONNE.
O fontana di pianto e di dolor!

(La sera è discesa profonda, Nella lontananza il colle, le case disseminate sui suoi fianchi e la città tutta s’accendono di lumi, rosseggianti nell’ombra.)

(Scende rapida la tela.)

 

ATTO SECONDO
Il campo.
Interno di villa signorile nel modo terminale del Trecento, al sommo d’un poggio, presso al campo degli assedianti.
Ricca stanza d’accesso, dal soffitto a cassettoni dorati. In fondo, un loggiato ad archi con pergola sovra il terrazzo, d’onde, per marmorea scalea, si discende alla campagna. Ampi cortinaggi cadono tra’ colonnini, ascondendo alla vista il prossimo attendamento. Il loggiato s’inflette da ambo i lati, formando due gallerie laterali, chiuse solo da grevi panneggi.
Nella sala, a destra, un uscio aperto adducente all’alcova, ove scorgesi, a rosea luce, sotto gran baldacchino, il letto dorato. Più avanti un altr’uscio, che lascia vedere in glauco lume diffuso un oratorio con l’inginocchiatoio di legno nero intagliato sotto una Vergine giottesca, innanzi alla quale arde argentea lampadetta votiva.
Nel mezzo un tavoliere dorato con sopravi un vassojo e una coppa e all’ingiro alti sedili scolpiti.
Alle pareti, majoliche faentine e arazzi fiamminghi; trofei d’armi nel fondo; intorno, mensole e sgabelli con vasi e cofani; due o tre alti candelabri a tripode in ferro battuto, con torcetti di cera vergine.
A manca, una serie di tre balconi ogivali a vetri istoriati e adorni di pesanti cortine. Ovunque, origlieri e tappeti orientali.
È giorno alto.

(Gloria, ravvolta in gramaglie, giace assopita sovra un cumulo di serici cuscini. L’Orvietana, vestita alla foggia pittoresca della sua terra, entra cauta dalla diritta e si accosta alla dormente, sogguardandola bieca.)

L’ORVIETANA.
Sette maghi non fanno una fattura,
come quella che femina può far;
sette draghi non t’apron sepoltura,
come quella che donna può scavar…

(con astiosa ironia)

Dormi, colomba! Con viscid’ale
domasti il falco… Strega d’amor,
sogna! Ma stilla venen mortale.
questa tua mano dolce qual fior…
Scrutiam la sorte…
(Piega un ginocchio a terra, e sollevata alla dormente la pendula mano, vi scruta con avide pupille nel palmo.)

GLORIA (sognando come sotto un incubo).
Padre, a’ tuoi piedi
sono… O fantasima, che chiedi?

L’ORVIETANA (lasciando ricader la mano della giovane donna, cupamente).
Morte!

(S’ode un rombo lontano)

GLORIA (sussultando, e ridestandosi).
Donna, che fu?… Quel colpo?

L’ORVIETANA.
Rimugghiò la bombarda…

GLORIA.
E gli eserciti?

L’ORVIETANA.
A fronte…

GLORIA.
E il mio fratello?

LIORVIETANA.
Guarda!

(Si avvicina a un balcone, e solleva un lembo del cortinaggio.)

GLORIA (rabbrividendo, e celandosi il volto tra le palme).
Ahi, tutta l’ira da’ cor’ si disserra!
O terribile strage! o crudeltà!

L’ORVIETANA (con intenzione).
Odio è guerra sulla terra:
solo amor pace farà…
(Tuona un alee colpo più prossimo.)

GLORIA.
Odi! Quel rombo s’avvicina, atterra
mura, s’avventa sulla mia città…
Ecco; un fantasma s’è levato, ed erra
sovra i campi… Che mai, donna, sarà?

L’ORVIETANA.
Ah! tu lo sai… La tua patria periglia…
Ma salvarla ancor puoi…

GLORIA.
Deh, mi consiglia!

L’ORVIETANA.
Odio è guerra sulla terra:
con amor pace verrà…

GLORIA (risoluta).
Ah! tu ripeti il patto infame… Accetto!
Vanne dal tuo signor.. Digli che aspetto…
Io sarò sua!…

L’ORVIETANA.
Dunque, cedete?

GLORIA.
Va!

L’ORVIETANA.
Solo Amor pace farà…

(S’incammina ed esce dal fondo a sinistra.)

GLORIA (rimasta sola, si appressa lentamente al balcone ove, sollevato un panneggio, considera da lungi la città assediata. Il suo viso è sconvolto da indicibile angoscia e animato da ferma risoluzione).
O mia cuna, fiorita di sogni e di melodi!
o palvese di gloria! o martire città!
Se nel sangue tu affondi, e il mio pianto non odi,
possa il mio vóto estremo darti la liberta!

Questa mia giovanezza, cagion del tuo dolore,
ti consacro e t’immolo con la mia stessa man:
nel momento solenne, non tremerà ’l mio core,
ma tra’ morti fratelli tu mi vedrai doman!
 
(La giovane donna rimane immota presso il balcone in contemplazione dolorosa. L’Orvietana rientra. Gloria si volge, sorreggendosi con ambe le mani a’ lembi dei cortinaggi.)

L’ORVIETANA.
Fortebrando verrà… Ma pria ch’ei giunga,
di propizi messaggi
ti manda una ghirlanda:
fresche donzelle e leggiadretti paggi…

(Ella va a sollevar la portiera della sinistra galleria. Entrano tosto in bell’ ordine ancelle e donzelli recanti canestri di fiori magnifici, trionfi di elettissime frutta ed anfore di vini pregiati, cantandone l’elogio. La schiera si bipartisce, avvicinandosi a Gloria.)

CORO.
Da’ verzier de’ Monaldeschi,
dove treman ballatette,
ti rechiam co’ fior’ de’ peschi
fraghe e prugne violette…

GLORIA (dogliosamente).
(Nessun fiore per me da primavera!)

CORO.
Han le rose e gli arbuscelli
dolce gara tra di loro:
adornare 1 tuoi capelli
chi potrà del lieto coro?
Son diafani com’ambra
Di Montalto e d’Elsa i vini:
li distilla ancor Dïambra
su pei colli porporini.

GLORIA.
(Prima de l’alba in me scese la sera!)

(Le fanciulle, inchinandosi, riempiono di fiori i grandi vasi faentini, e di frutta i panieri sulla tavola; indi, fatta reverenza, si avviano per l’ala opposta del loggiato; parimente i donzelli, i quali depongono sovra le mensole anfore ed ampolle, tosto ripartendo ossequenti.)

(Come fèle ed assenzio, amara è la mia sorte!)
(odorando i fiori)
(Par che queste fragranze rechin tremor di morte!)

(Entrano allora dal centro alcuni mercanti pisani con cofani ricolmi di stoffe rare e stipetti di pietre preziose. Il lor padrone è nel mezzo, vestito col pittoresco costume dell’epoca; ma questi abiti celano invece Folco de’ Bardi.)

FOLCO (non riconosciuto dalla sorella, procede grado a grado verso di lei, esprimendo la lode delle sue gemme).
O madonna, traemmo d’Orïente,
per riverire vostra Signoria;
venimmo di Sorìa,
e gran colpi vedemmo, e cader gente.

Ma le pietre han valor contra ogni schianto,
e ferite risanan le più triste:
pe’ guerrier le ametiste;
pe’ vegli l’ambra, e per le donne…

GLORIA (tristemente).
Il pianto!

FOLCO (pronto).
Pianto s’asciuga a foco di rubino:
su, madonnetta, ossèrvalo…

(le mostra un anello)

GLORIA (trasalendo e vacillando, poi che ha riconosciuto l’anello paterno).
Gran Dio!

FOLCO.
Tremi?

GLORIA.
L’anel paterno!

FOLCO.
Ohibò, ch’è mio!

GLORIA.
D’onde vieni? Chi sei?

FOLCO.
Ti son vicino…

(Folco si rimove dal capo il breve lucco che lo copriva, rivelando le sue vere fattezze alla sorella.)

GLORIA (con un grido).
Folco!… Sei tu?

FOLCO.
Son quello!

GLORIA (disperatamente).
Ah, mio fratello!

FOLCO.
Tu mi nomi fratello: io non ho più sorella!

GLORIA.
Che mai dici? non vedi?

FOLCO (con terribile ironia).
Sì! Sei bella;
tutta la soldatesca
t’ama. Dei capitani di ventura
sei la mirabil’ esca…
Travarcando le mura,
ove la morte danza,
ascoltai la parola
terribile: “E l’amanza!… ,
è la druda di lui, del Fortebrando,
il nemico esecrando!…
E sei tu la figluola
d’Aquilante? sei tu
lo speglio di virtù?

GLORIA.
Ah, le atroci parole!… Come un maglio
tu mi percoti il core…

FOLCO.
Non basta! Dèi saper del genitore…

GLORIA.
La sua morte?

FOLCO.
Così!… Fummo al Travaglio,
oste contr’oste. Della Tressa il ponte
ci divideva. Arcieri e balestrieri
saettavan la morte: Sulla fronte
de’ nostri, de’ fratelli tuoi, de’ fieri:
patrizi era tuo padre, erto gigante…
Dal cielo rutilante
parea scendesse la Vittoria alata
sulle nostre bandiere…
Quando da archibugiere
nemico scocca una pietra infocata:
colpillo al fronte, e la canuta testa,
reclinando…

GLORIA.
Pietà! pietà! T’arresta!…

FOLCO.
No!

GLORIA.
Per dolor del mio dolor, ti basti!

FOLCO.
E tu dov’eri? Ov’erano i tuoi casti
labbri, e le vereconde
ciglia, e le chiome bionde?
Su gli origlier della lussuria infidi
posavi, e in braccio al traditor…

GLORIA (stramazzando a’ piedi del fratello).
M’uccidi!

FOLCO.
No, folleggiar tu dèi col tuo bel drudo,
contemplando l’orror di tua sciagura,
o, fra tutte le spose, eletta sposa!

GLORIA (rilevandosi fieramente).
Senza taccia è il mio nome!

FOLCO (con sarcasmo).
O vano scudo!

GLORIA.
Non accusarmi ancora!
Aspetto la grand’ora…
Un voto strinse il filial mio core…
Il crudo vincitore
M’abbia in mercè di sua ritratta: forte,
poscia m’avrà la morte…

(Una pausa.)

FOLCO (maravigliato e commosso).
O mia dolce sorella, giovanetta sublime,
forza del nostro sangue, di nostra terra fior,
tu non morrai!… Non muore l’aquila sulle cime,
se la saetta il sole de’ suoi mille fulgor…

GLORIA.
Nel sonno e nella veglia, qual di vergine affranta,
m’apparve in sue gramaglie la misera città;
e moderò mio strazio la speme atroce e santa
di riscattar col sangue sua fiera libertà…

FOLCO.
Io ti credea perduta per la nostra memoria,
e ti ritrovo intatta, come vergineo stel…
Frangi tuoi ceppi!… Brilla nel tuo nome vittoria:
recane tu la palma dentro il paterno ostel.
Il nemico morrà!

GLORIA.
Che dici?

FOLCO.
Col pugnale
de’ Bardi!… Alle tue stanze vado… L’aspetterò…
Tu l’invita!

GLORIA (titubante).
Oh, potessi!…

FOLCO.
Rincorati! Il mortale
attimo vien….

GLORIA.
Se il colpo or ti fallisse?

FOLCO.
Un’altr’arme ci resta…

GLORIA.
Quale?

FOLCO.
La pietra verde,
che il padre ti commise… Versa il velen con ciglio fermo…

GLORIA (esitante).
Fratello!

FOLCO (indicando la coppa).
Qui!

GLORIA (tra sè).
(L’anima mia si perde…)

(Offre perdutamente la sua mano, nel cui anulare è il verde castone col veleno: poscia, sospinta dal fratello, lascia cadere, abbrividendo, nella coppa di Lionetto la polvere.)

FOLCO.
Qui nel suo vino…(ei la versa nel vino dell’anfora)
È fatto!… È suo destino!…

(Indi Folco trae impetuoso la sorella, ed ambo s’inginocchiano dinanzi all’imagine sacra dell’aperto oratorio.)

FOLCO.
Dio de’ vinti, ci ascolta!
La grand’ora è venuta…
Il destino è maturo…
Noi fermiam qui l’atroce
sacramento… Io lo giuro!
GLORIA.
Redentor, deh, m’aiuta!
già la morte m’ha colta…
O Signor de la Croce,
il mio corpo è ancor puro…
Innocente, io lo giuro!

(Benchè con animo e con moto diversi, si segnano entrambi.)

FOLCO (risollevandosi).
Or ch’io vada a celarmi!… Attendo… là!
(Egli si precipita nell’oratorio, richiudendone Duscio.)

GLORIA.
Vergine Madre, abbi di noi pietà!

(Come la statua dell’immolazione, Gloria rimane un istante immota e smarrita: indi cade genuflessa dinanzi all’oratorio, ascondendo il volto doloroso tra le palme, — Pausa.)

L’ORVIETANA (riappare dalla destra galleria nel fondo, e veduta la giovane prona e immersa nella preghiera, le si accosta pianamente).
Perchè piangete, madonna?… È l’ora
di rifiorire…
Giù le gramaglie! Come l’aurora
vi vo’ vestire…
Venite, andiamo… Dimentichiamo!

(Gloria, sorretta dalla sua custode, muove lentamente alla stanza notturna, di cui la donna raccosta i battenti.)

LIONETTO (entra dalla sinistra galleria del fondo, seguito da vari uffiziali e trombetti, impartendo ordini a ciascuno).
(a un alfiere)
Enzo Manfredi, tra un’ora il segno…
Tema, chi tarda, tutto il mio sdegno!
Ogni bombarda lo Scotti prenda…
(a un altro)
Tu, Bonsignori, nella mia tenda
aduna i Bavari…
(a tutti)
Mostransi irate
le Bande Verdi? Sien disarmate!…
(svolgendo un foglio, tra sè)
(Qui suo fratello!)
(forte)
Al campo han scorto
Folco de’ Bardi… O. vivo o morto!

(Gli altri uffiziali si allontanano al suo cenno.)

LIONETTO (solo).
E l’ora! la grand’ora empia e solenne,
in che il Destin sue penne
batte sul fronte uman…

(con mestizia)

Triste è il mio fronte, e quest’anima fiera
d’una fiamma novella arde e si strugge;
ma l’amor ch’io sognai rapido fugge
in un cielo di sangue e di dolor…

Gloria, tu sei la vergine Chimera,
coronata di sole;
pur son vane per te le mie parole,
è vano il mio valor!…

lo ti bramai sui campi della Morte,
con ansia trionfale:
or placa la mia sorte,
sorridi col tuo grande occhio fatale…

(L’uscio dell’alcova si schiude, e appare Gloria, bellissima, rivestita di candido broccato ad argentei fiorami e adorna di gemme orientali. Parte del seno e le braccia sono ignude: pur tuttavia, il suo aspetto è verecondo e solenne. Ella spalanca le braccia, di tra’ negri veli, come l’effigie dell’angoscia, restando sul limitare, fra le pieghe dei panneggi. A quella visione, Lionetto si precipita a’ suoi piedi.)
 
GLORIA (dopo una pausa, con voce glaciale, ma ferma).
Fortebrando, signore
della mia sorte, io vengo come la schiava al re!

LIONETTO.
O reina d’amore,
tutta l’anima mia si prosterna al tuo piè!…

GLORIA.
Non si prostra chi vince… Sorgete! La rea spada
stilla ancora di sangue… Fratricida voi siete!

LIONETTO (rialzandosi).
Si, di foco e di strage riarde la mia strada…
ma dal mio petto assurgono le vision più liete,
qual di palombe un vol…
 
(con passione veemente)
Rosa d’april non tôcca, tu sorridi alla mente,
sì come cima al sol;
e l’ebro cor trabocca di desiderio ardente,
che refrigerio vuol…

GLORIA (gelidamente rassegnata).
Si! m’avrete… E il mio fato! Non cercherò più scampo…
Ma toglieste l’assedio?…

LIONETTO.
Non ascolti?

(Giunge di lontano, dalla parte degli attendamenti, un verso di tromba guerriera.)

GLORIA.
Che fu?

LIONETTO.
E il segno alla ritratta… Levan le tende al campo…
E il premio dell’indulto, o vergine, sei tu!
 
(con amoroso trasporto)
Tu, palpitante primavera umana,
che m’arridi in divina castità…
Parla! rinfranca la mia vita vana;
dammi le labbra, fior di voluttà!…

GLORIA (freddamente).
Vostra preda son io!…

LIONETTO (conturbato).
E tu cedi così?
E questo il mio trofeo? questo il trionfo?

GLORIA.
Sì!

LIONETTO (passionatamente).
Ah! di smalto è il tuo gelido sguardo,
la tua carne non vibra esultante;
tu non sei l’Invocata, L’Amante,
non sei Gloria!…

GLORIA (quasi beffarda).
Che attendere ancor?

LIONETTO.
Ah! ricorda le candide corone,
ch’io tessevo, fanciullo, alla tua fronte!
De’ miei baci lontani ancor le impronte
rimiro sul tuo volto ammaliator…

GLORIA.
Come volo di tortore, nell’azzurro vaganti,
fuggiron dal mio core le memorie stellanti…

LIONETTO (con crescente ardore di passione).
Ah! ricorda, ricorda! Io ti bramo, t’invôco!…

GLORIA.
Oh, tormento di foco! Doloroso richiamo!…

LIONETTO.
Pietà del mio soffrir!…

GLORIA.
Sciagurato delir!…

LIONETTO.
Sei la luce infinita!… Tutta la vita è in te!…

GLORIA.
Che sperate da me?

LIONETTO.
Voglio l’anima tua superba e fiera,
non de’ sensi la docile carezza:
combattei pel tuo cor, non per l’ebbrezza
del tuo trepido labbro incantator…

GLORIA (con simulata dolcezza).
Questa bellezza mia fulgida e altera
come un peso dell’anima, disprezzo:
io sognai libertà, ma sarò prezzo
all’eroe di sè stesso vincitor…

LIONETTO.
(appare trasfigurato a quelle parole di bontà e di dedizione, non sospettando l’insidia).

GLORIA.
Ma pria qui l’acciar deponete…

LIONETTO.
Si, deve al tuo piede posar…

(Egli si discinge la daga corta, e piegando il ginocchio, la depone ai piedi di Gloria. Il volto della giovane esprime una repentina commozione, a quell’atto di fidanza e rispetto.)

(D’improvviso, rientra dalla dritta l’Orvietana, pallida in volto e agitata. I due giovani si rivolgono a lei stupiti.)

L’ORVIETANA (a Lionetto, accennando verso il fondo).
Signor, ti scherma!… A fellonia
il campo insorge…

(Gli echi d’un gran tumulto crescente giungono dal fondo.)

LIONETTO (sorgendo e riafferrando la spada).
O frenesia!

L’ORVIETANA (indicando Gloria).
E per costei…

LIONETTO.
Taci!

L’ORVIETANA (incalzando).
La vita
cimenti…

LIONETTO (fa per precipitarsi).
Oh vili!

L’ORVIETANA (sbarrandogli supplichevole il passo).
Inferocita
è la tua gente…

LIONETTO.
Lasciami!

VOCI LONTANE.
Morte
alla Sanese!

L’ORVIETANA (tra sè, biecamente).
(Scritta è sua sorte!)

(Lionetto ridiscende sollecito verso Gloria, mentre la vecchia risale ad ascoltare.) ‘.

LIONETTO (con fiera dolcezza).
Gloria… madonna… dovran passare
sovra il mio corpo, pria di toccare
un vostro lembo… Fatevi core!…
lo vi sarò scudo…

GLORIA (alteramente).
Signore,
parvi ch’io tremi?… Sono una Bardi!…

LIONETTO (ammirato, fra sè).
(Oh, gran fierezza!)

(Il frastuono s’approssima, Lionetto, invano rattenuto dall’ Orvietana, è corso verso la loggia. Egli sale i gradini del terrazzo, e dal sommo apostrofa vibratamente la soldataglia ammutinata.)

LIONETTO.
Olà, codardi!
Che pretendete?

LE BANDE.
— Vogliam l’assalto promesso…
— Il sacco!
— Il bottin!

LIONETTO (imperioso).
Alto!

LE BANDE (ferocemente).
— Scaccia la druda!
— Costei t’ammaga!
— Al fiume!
— Al rogo!
— Sia nostra paga!

(A un tratto, Folco irrompe dall’oratorio, e si appressa alla sorella, stringendo nel pugno lo stile, non visto da Lionetto, né dall’Orvietana, che gli volgono le spalle nel fondo.)

FOLCO (affannosamente).
Sorella!

GLORIA (con dolorosa agitazione).
Non ora! T’ascondi!…

FOLCO (accennando al campo).
Quei gridi!

GLORIA.
Ti perdi!

FOLCO.
Al tuo fianco!…

GLORIA (risolutamente).
Se varcan, m’uccidi!…)

(Le Bande s’appressano fino al piede della scalinata, Lionetto, in alto, le contiene col gesto imperioso e col ferro ignudo.)

LIONETTO.
Dementi! Ella è pura qual d’alpe sorgiva,
qual perla nel mar…

LE BANDE (con cieco furore).
— Partir non vogliamo!…
— Vogliam la tenzon!…
Dissolvi l’incanto!…
Ritorna leon!…

(Alcuni ufficiali salgono a meta della gradinata, seguiti a qualche distanza dai soldati.)

LIONETTO.
Ribaldi! Ella è sacra!…

(I soldati indietreggiano. In quella, dagli aditi laterali entrano, accorrendo, altri ufficiali e militi fedeli: Gloria, palpitante s’è staccata dal fratello, avanzandosi verso la loggia.)

LIONETTO (ai militi sopraggiunti).
In tempo giungete…
Sua fiera bellezza salvata sarà!

(Mentre Lionetto esprime la sua gioia, Folco scagliasi contro di lui: l’Orvietana ne scorge latto, e getta un urlo di spavento.)

L’ ORVIETANA (a Lionetto).
Bada!

(Lionetto s’è rivolto all’urlo della donna, e si piega per scansare il colpo: indi, afferrato il braccio di Folco, che vorrebbe iterarlo, lo disarma, — Una lotta s’impegna fra i due giovani, mentre Gloria e l’Orvietana la seguono trepidanti. Alfine Folco è atterrato da Lionetto, che brandisce lo stile strappato al nemico.)

LIONETTO (con gioia feroce).
Sei vinto!

GLORIA (raccapricciando).
Ahimè!

L’ORVIETANA (con odio profondo, a Folco).
Morte t’aspetta!

LIONETTO.
Il tuo braccio è maldestro alla vendetta!
Chiedi mercè…

FOLCO.
Già mai! Vile non sono!

GLORIA (disperatamente a Lionetto).
È mio fratello!…
 
(Alla supplice voce di Gloria, il furor cieco di Lionetto subitamente si placa: egli schiude il pugno, e il ferro cade al suolo.)

(Breve pausa, — Lionetto medita e sogguarda: Gloria attende tremante, Folco si rialza confuso.)

LIONETTO (a Folco, con atto di sprezzo).
E ben, va! Ti perdono!

(indi alle sue guardie)
O miei fedeli, andate!

(Le guardie s’allontanano.)

FOLCO (con ira dissimulata e con chiusa ironia).
Sia laude al tuo cor generoso,
o duce da’ cento stendardi!… ‘
Tu lavi ogni offesa; la figlia dei Bardi,
colomba di pace, tua sposa sarà…

LIONETTO (fra sè).
(Altr’aura, altra stella, altra fede
rimuta a mia vita lo stile:
nel core ecco germina Aprile,
già spunta in mia notte l’albor!)GLORIA (fra sè).
(Di palpiti ignoti, d’arcana dolcissima fiamma, di speme novella e più verde già freme
in lieto tumulto il mio cor…)
FOLCO (fra sè)
(In van con bugiarda larghezza
confidi ammansir l’odio mio:
il colpo fallì, ma ben io
saprollo al tuo petto iterar!)L’ORVIETANA (fra sè).
(Promessa d’amor, di vendetta,
di pace o di collera accento son vani sussurri, che il vento non reca all’immoto Destin…)

LIONETTO (in atto di congedo).
Folco, pace ti’ scorti!

FOLCO (a Gloria ambiguamente e con chiusa ironia).
Addio, sorella!
Amalo pur!

GLORIA (esultante, credendo nella sincerità di Folco).
È salva la città!

(Folco si allontana, e l’Orvietana lo segue. Lionetto resta pensoso nel mezzo: Gloria, salutato il fratello, piega la testa sul petto.)

LIONETTO (quasi parlando a sè stesso).
(Pur tento di colpirmi… E se fosse mendace
la sua promessa?… O core, chi ti darà la pace?)

(Egli s’ è avvicinato alla tavola, e versa nella tazza il liquore dell’anfora, per attutir la sua sete.)
Ah! se mutar potesse l’ambra di questo vin
in cicuta secura, in oppio saracin!…

(Gloria ha sollevato le ciglia, e scorge, atterrita, Lionetto in procinto di bere: rapida corre a lui, e gli strappa di mano la coppa.)

GLORIA.
Non bere!… E la morte per te!…
(getta lunge la tazza)

LIONETTO (con stupor doloroso, comprendendo il tranello).
Tu pur traditrice!… Perchè?

(Gloria guarda il giovine con ciglio in cui arde una fiamma di passione fervida e nuova.)

GLORIA.
Non accusarmi! Odio funesto
spinse il mio gesto al colpo insano…
Tu m’hai difesa, Folco salvasti:
or questo basti… dammi la mano!

LIONETTO (stupefatto).
Gloria, che dici?

GLORIA.
Tregua al dolore!

LIONETTO.
Sei tu che parli!…

GLORIA.
Parla il mio core…

LIONETTO.
Ch’io non m’illuda!…  Morte rechiamo!…

GLORIA.
Vincesti: t’amo!…
Per la dolcezza de’ giorni lontani,
per l’immensa tua fede io t’amerò…
Un’aurora di pace avrem domani:
dammi il tuo core, il mio ti donerò…

(Lionetto, ebbro d’amore, s’è precipitato nelle braccia della giovane, serrandola al petto in estasi profonda)

LIONETTO (raggiante d’ebbrezza).
Ripeti: ripeti!
L’attesa parola!
Ebbrezza profonda,
gioconda vittoria,
sei l’ultima gloria!
GLORIA (in dolce delirio).
T’odiavo: ora t’amo,
te bramo soltanto!
Fremente richiamo,
poema de’ cor,
set l’unico ardor!…

(I due giovani, deliranti d’amore, han congiunto le labbra in un bacio affannoso.)
 
(A tal punto, altro tumulto, ma questa volta giocondo, sorge nel campo lontano. Iterati squilli s’incrociano, commisti a grida di giubilo, Lionetto, sorpreso, si stacca dall’amplesso dolcissimo, rivolgendosi verso il loggiato.)

VOCI LONTANE.
— La resa!… La resa!…

VOCI PIU’ PROSSIME,
— Vittoria!… Vittoria!…

LIONETTO e GLORIA (insieme).
Quai voci?

(Lionetto corre al balcone più vicino, a sinistra, e ne rialza il cortinaggio, guardando verso l’agonizzante città.)

LIONETTO (con stupore crescente).
Una bianca bandiera
ondeggia alle torri… L’altera
città ne spalanca sue mura…
Il popolo infranse oppressura…
 
(a Gloria)
Esulta! Per arra di fè,
già reca le insegne al mio piè…

(La gran cortina è spalancata. Nel fondo è schierato l’esercito in armi: squillano le trombe, i vessilli ondeggiano al vento, primo fra tutti il gonfalone imperiale, giallo con l’aquila nera. Appare lontanamente la conca verde dell’Arbia, tra i contrafforti dell’Appennino.
Le cento torri e le mura merlate di Siena si coronan tutte di candide bandiere in segno d’amistà. Lionetto, ebbro di letizia, si raccosta a Gloria, estasiata, e la ricinge dolcemente sul fianco.)

GLORIA (tenerissimamente).
Io sarò tua fin che vita consente…

LIONETTO.
N’andremo insiem sotto il cielo clemente…

GLORIA.
Alfin di pace la patria rinverde…

LIONETTO.
E ogni traccia di sangue si disperde…

GLORIA.
Felice io son!…

LIONETTO.
E tempo d’obliar…

GLORIA (indicandogli il campo).
Ecco il trionfo!

LIONETTO (indicandole la città).
Sposa, ecco l’altar!

(Egli s’avvia, adducendo la giovane per mano verso il fondo: tutte le armi balenano e tutte le bandiere s’abbassano, salutando fra squilli festosi.)

VOCI (lontane).
— Vittoria! Vittoria! —
— Gloria! Gloria! Gloria!

(Cade la tela.)

 

ATTO TERZO
L’altare.
Interno del Duomo. Tre navate. In fondo la porta principale, e ai lati due porte minori, chiuse tutte. L’organo è sopra il gran portale. Nel braccio destro del transetto sul davanti (presso il proscenio) è una cappella gentilizia, adorna di festoni in sciamito d’oro e di candidi veli tra ghirlande d’ellera e d’olivo: l’altare, cui si accede per gradi marmorei, è in alto con argentea croce tra sei candele accese; di fianco all’altare, un uscio comunicante con la sacrestia. Al manco lato, di contro al descritto sacello, sorge un mausoleo in marmo nero, sul cui basamento son disposte recenti corone votive tra ramora di lauro e di palma: sull’urna in aurei caratteri è inciso il nome di Aquilante de’ Bardi. Addossata a una colonna è una pila d’acqua santa: ad altra, un pergamo istoriato. Il tempio è rischiarato solo da alcune lampade pendenti tra le arcate.
Un’ultima luce crepuscolare palpita dai finestroni colorati.
All’alzar della tela gaie volate di squille prossime e lontane salutano il compimento della sacra cerimonia nuziale. Sull’altare, entro la cappella laterale, è il Vescovo in sacri paramenti tra canonici in dalmatica e diaconi in cotta col crocifero a lato e i turiferari ai piedi.
Sul sommo grado, inginocchiati su serici cuscini, stan Gloria e Lionetto: ella in veste nuziale guernita di candide ghirlande, egli è in giustacuore bianco.
Ai lati della gradinata sono sulla dritta le cittadine dignità in lucchi rossi e cappe d’ermellino, sulla manca le maestranze delle dodici Arti con le loro insegne.
Lungo la navata centrale giovinette bianco-vestite, in doppia riga, attendono gli sposi con argentei bacili ricolmi di rose: dietro loro gli alfieri e i donzelli del Comune dai giubbetti verdi. Gran turba di popolo si addensa nel fondo presso le porte.
Folco, in abito da cordoglio, è genuflesso al contrario lato, dinanzi al mausoleo, fervidamente orando, con la fronte affissa al marmo funerario.

IL VESCOVO (impartendo agli sposi genuflessi la finale benedizione).
Vi benedico in nome del Signor!
(a Lionetto)
Or parla al popol tuo, parla d’amor.

(Lionetto sorge in piedi, lasciando Gloria ancora inginocchiata: le campane si tacciono: tutti attendono ansiosi.)

LIONETTO (solennemente, alla moltitudine).
Popolo, esulta!… La divina pace
Vali distende, e dell’ira pugnace
ecco spense la face.
Come fronda d’olivo, come giglio de’ campi,
la mia sposa soave venne tra l’armi e i lampi,
messaggera d’amor…
E per lei, pel suo fronte, chiuso tra le ghirlande,
o fratelli, l’indulto dalla città si spande
oggi su tutti i cor…

GLORIA (alzandosi anch’essa, a Lionetto).
Di mirifica gioia il cor mi scande:
ringraziato tu sia, dolce signor!

(Il Vescovo ricongiunge agli sposi le destre inanellate.)

(Alla voce dell’organo, Folco risolleva il fronte doloroso dal marmo, guardandosi attorno quasi trasognato.)

FOLCO (come vaneggiando, sommessamente, fra sé).
(Ombra del padre mio!.. Ti riconosco!…
Sorgi dal sonno eterno…
Brilla in tuo ciglio: fosco
una vampa di scherno…
No, no, ascolta!… Pietà!… Pel tuo cor puro,
per la tua fiera sorte,
pel Dio che mode, giuro:
vendicata sarà oggi tua morte…)

(Durante il monologo di Folco, il Vescovo e il Coro insertano le loro voci al canto dell’organo.)

IL VESCOVO.
Signore, t’invoco!
Divino è il tuo foco!

IL CORO.
— Pura stella d’amore!…
— Corona di splendore…
— Fontana di candore!
— Giglio di castità!

IL VESCOVO.
Al Signore sia lode!
Ogni frode sventò…

(A’ continui concenti dell’organo il corteo nuziale si ricompone per l’uscita: prima le donzelle bianco-vestite spargenti foglie di rosa, indi gli alfieri e i valletti del Comune, poscia i civici dignitari, tosto appresso gli sposi seguiti da paggetti, da ultimo le maestranze.
In questo mentre alcuni giovani patrizi della fazione guelfa, staccatisi dalla folla, cautamente s’appressano al mausoleo, ov’è Folco attonito e immoto, e gli parlan sommesso, prima proferendo un versetto latino, quasi a cenno convenuto.)

PRIMO GRUPPO (a bassa voce).
Dies trae

FOLCO (riscuotendosi a un tratto).
Dies istae

SECONDO GRUPPO (c. s.).
L’ora è piena…

TERZO GRUPPO (c. s.).
Lira è desta!…

FOLCO (c. s.).
Quanti?

PRIMO GRUPPO (c. s.).
Venti, e fuori mille…

SECONDO GRUPPO (c. s.).
Niun sospetto!…

FOLCO (c. s.).
Inerme ei venne?

TUTTI (c. s.).
Si!

FOLCO (c. s.).
Sta ben… Solo nel tempio
cader ponno oggi i tiranni…
(accennando alle corone e alle palme deposte sul monumento)
Si, com’aspide tra’ fiori,
il pugnal tra’ lauri sia…
Clamerete nel trambusto:
“Liberta!”

TUTTI (con impeto soffocato).
“Liberta!”

FOLCO (con l’indice alle labbra).
Dies trae…

TUTTI (sottovoce).
Dies istae…

IL VESCOVO (intonando).
Magnificat anima mea Dominuim…

IL POPOLO (ripetendo e seguitando).
Uomini.
— Magnifica il Signor l’anima mia,
che nel Dio di salute anco esultò…

Donne e fanciulli.
— Il suo braccio invisibile i superbi
co’ lor vani disegni sgominò…
 
Insieme.
— E depose i potenti di lor soglio,
e gli umili a’ fastigi alto levò…

(L’organo annuncia la chiusura del rito, Il Vescovo, seguito dal clero, discende dall’altare, e rientra in sacrestia per l’uscio laterale. Lionetto e Gloria, tenendosi per mano, scendono lentamente i gradini.
Le campane riecheggiano a gloria. Si spalancan le porte del tempio, oltre le quali appare in fondo la piazza, fitta di popolo festante. Alla gran torre ondeggia il gonfalone purpureo delle vittorie ghibelline, insieme con lo stendardo bianco-nero della vinta città. Ai balconi sono arazzi vermigli adorni del civico stemma.
Mentre il nuziale corteo lietissimamente s’incammina alle uscite, sempre guidato dall’organo, a un cenno e dietro l’esempio di Folco i giovani patrizi han tolto alla base del mausoleo rami di quercia, di palma e d’alloro per cingersene il pugno, in cui tra le fronde balena un pugnaletto.
Come Lionetto Ricci con la sua sposa giunge a mezzo della navata centrale, s’arresta e volge intorno gli sguardi a ricerca.)

LIONETTO (a sue genti).
Mio fratello dov’è, Folco de’ Bardi?

(Folco, all’appello, gli muove incontro da manca, seguito dal gruppo dei giovani compagni, agitanti in segno d’allegrezza le rame e le palme nel pugno armato.)

FOLCO (accostandosi a Lionetto con infinta lealtà).
Eccomi a te, cognato e mio signore,
con questi eletti cavalier gagliardi,
per darti fede e per offrirti onore…

(La folla meravigliata s’apre per far largo a’ cavalieri: l’ordine del corteo n’è spezzato.)

POPOLO (con grida d’allegrezza).
I cavalieri! i cavalieri!

FOLCO (appressandosi vieppiù).
E ti rechiam l’omaggio
de’ lauri nati al raggio
di tuo valor più saggio,
per tua nomanza e per comun vantaggio…

LIONETTO (modestamente ringraziando).
Mercè, signori! E sia
vostra gran cortesia
suggello a fellonia…

(rivolgendo a Gloria lo sguardo)
Ma il mio lauro più: lieto è questa pia…

GLORIA (con dolcissimo affetto).
O Folco, in mia letizia,
quasi vel di mestizia,
scendea tua nimicizia:
or che sei giunto, è piena mia dovizia!…

IL CORO.
Come fronda d’olivo, come giglio de’ campi,
la sua sposa soave venne tra l’armi e i lampi,
messaggera d’amor…

(Lo stuolo de’ congiurati ha ormai disgiunto la coppia nuziale dal corteggio: Gloria e Lionetto son circondati a mezzo il tempio da’ giovani faziosi.)

LIONETTO (con fraterno impeto a Folco).
Qui sul mio petto, che più non langue…

(schiudendogli le braccia)
E questo amplesso gli antichi errori
e i torti lavi…

FOLCO (abbracciandolo).
Sì, col tuo sangue!…
(E gl’immerge nel dorso il pugnale dissimulato tra le foglie.)

I CAVALIERI (ferendo alla stessa guisa e d’ogni lato Lionetto).
Tiranno, muori!…

LIONETTO (sentendosi colpito, con un grido).
Ah!… traditori!…

(Egli vacilla, e cade a’ piedi di Gloria, che getta un urlo di raccapriccio. Grande agitazione crescente tra la folla sgomenta: le donne si segnano atterrite.)

FOLCO (con gioia selvaggia rivolto alla tomba paterna).
Mia promessa è compiuta!

GLORIA (cadendo a’ ginocchi presso il corpo dello sposo).
Pietà!

LA MOLTITUDINE (in vari atti di dolore o di sdegno).
— Sacrilegio!
— Nequizia!
— Viltà!

FOLCO (gridando alla turba).
— Libertà!

I CAVALIERI (snudando e agitando le spade).
— Libertà!

IL POPOLO (rispondendo dalla piazza).
— Libertà!

(I congiurati guelfi con le daghe ignude sospingono la gente verso le porte, — Gloria è caduta intanto sul corpo inanimato dello sposo. Folco tenta distaccarnela a forza.)

GLORIA (gemendo).
Sposo mio!…

FOLCO (trascinandola invano).
Vien meco!…

I CAVALIERI (gridando verso la piazza).
All’armi!

GLORIA (respingendo disperatamente il fratello).
No!…

FOLCO (furibondo).
Tu l’ami?

GLORIA (con impeto sublime, risollevandosi).
Sempre!…

VOCI LONTANE.
All’armi!

FOLCO (ferocemente, a Gloria).
Vil! Tua mente s’è smarrita
al suo fascino infernal…

GLORIA (ebra di passione e d’angoscia).
Egli è il lume di mia vita,
il mio sogno trionfal!

FOLCO.
No: tu vittima sei! Ti svelerò l’inganno!

GLORIA.
Sul suo petto ch’io muoia, nel suo vermiglio solco!

FOLCO.
Ti salverò…

GLORIA (offrendogli il seno).
Colpisci!…

FOLCO (traendola ancora).
Vieni!… T’immoleranno!…
Odi: la mischia infuria!

VOCI (dalla piazza).
Folco!… i nemici!… Folco!…

FOLCO (fremebondo).
Masnadieri! Ah, la mia spada!

(snuda il suo ferro)
Fiero Iddio della vendetta,
ch’ogni vil nemico cada!

(a Gloria)
Qui m’attendi, maledetta!

(Folco, dopo aver trascinato la sorella fin quasi alla porta maggiore, la respinge brutalmente, facendola stramazzare sul pavimento. Indi ad alcuni seguaci)
Sien sbarrate le porte! Vigilata ella sia!

(crudelmente a Gloria)
Ribelle, non potrai sottrarti all’ ira mia!

(Tutte le porte sono violentemente chiuse. S’ode un tumulto di voci e di armi, che s’allontana. La chiesa è rimasta fiocamente illuminata da poche lampade: poichè, nel trambusto, i ceri furono travolti e spenti. Emergono, nella penombra, in misterioso profilo, l’altare, il pergamo, il monumento funerario. Una mite alba di luna penetra e si diffonde a poco a poco, da uno dei finestroni, nel tempio. Essa illumina in pieno l’imagine della Vergine trapunta sulla bandiera del Comune, portata nella Cattedrale in segno di concordia e di letizia. Le colonne gittano ombre fantastiche. La chiesa è tutta conquistata dal mistero notturno, ed esprime in esso la sua poesia, mistica e solenne, penetrata dal ricordo della scena d’orrore e dal palpito delle due anime disperate racchiuse tra quelle sacre mura. Lionetto giace svenuto a traverso i gradini dell’altare. Gloria è per terra, presso la porta, e la sua figura bianca spicca in vasta zona d’ombra.)

LIONETTO (lentamente rinviene, si solleva a fatica sui cùbiti e sbarra gli occhi nella penombra).
Gloria, ove sei?

GLORIA (che ha udito, si rialza penosamente, e gli si avvicina vacillando, tremante d’angoscia e d’amore).
Qui, sul tuo cor…

LIONETTO.
Mi morde
dentro gran fiamma…

GLORIA (ricercando con lo sguardo).
Ah! L’acqua santa…

(Ella corre alla vicina pila dell’acqua benedetta, e v’immerge il fazzoletto; indi ritorna al morente, gli bagna con quello le tempie e gli rinfresca la bocca.)

LIONETTO.
Oh, lene
frescura!… oh, dolce man misericorde
sulle mie vene!…

GLORIA (fra sè, rabbrividendo).
(Tutta è vermiglia del suo sangue!)

LIONETTO.
Sposa!

GLORIA.
Parla, mio cor!…:

LIONETTO.
Mio cor, ti risovviene?…

GLORIA.
Di che mai?…

LIONETTO.
Della fonte luminosa
tra le verbene?

GLORIA.
Fontechiara!… L’indulto!…

LIONETTO.
Ora d’ebrezza,
ov’io rividi, delle rose rosa,
nel sorriso d’April tua floridezza…

GLORIA.
E l’orgogliosa.
anima mia tremonne in sua fierezza…

LIONETTO.
Ed to conobbi ardor soave e forte
primieramente….
(mancando)
Amore e Morte!…

GLORIA (con angoscia disperata).
Tu non morrai! Fior di mia vita,
vedi lo strazio del mio dolore!
Chiuda il mio labbro la tua ferita,
balsamo è il bacio, filtro d’amore…

LIONETTO.
La Morte viene! Tutto s’oscura!
Patria diletta, m’apri le braccia!
L’angoscia orrenda non m’impaura…
Muoio… deh, vieni! Sul cor m’allaccia!…

GRIDA LONTANE.
Libertà! Libertà!

LIONETTO (rovesciando il capo).
Io manco!…

GLORIA.
Spera!…

LIONETTO.
E van!…

GLORIA.
Confida!

LIONETTO (indicando verso la porta maggiore).
Odi le grida de’ traditor…

GLORIA.
Io li disprezzo!…

LIONETTO.
T’uccideranno!…

GLORIA.
No, non m’avranno! Ti salverò!…
(Ella volge intorno avidamente lo sguardo, per cercare una via di scampo.)
Il tempio è muto!… L’ombra è di morte!
L’ira nemica sbarro le porte!…
Ahi me! Salvarlo più non potrò…

(Allora, la giovane donna, in suprema supplicazion dolorosa, si rivolge alla Vergine effigiata sul gonfalone.)

O Madre del Dolor, Donna del pianto,
nella grand’ora bruna,
tra le pieghe del tuo lucido ammanto
l’anime nostre aduna,
ricongiunte da nodo anche più santo;
e nostra morte dira
sia tributo d’amor presso il tuo trono,
sia riscatto dall’ira,
e lavacro sia dolce di perdono;
e benedici a chi vita rifiuta,
e, morendo, tramuta
odio mortale in sempiterno amor’…

VOCI PIU PROSSIME.
Libertà! Libertà! …
(Le porte del tempio sono violentemente riscosse dalla moltitudine urlante.)

LA VOCE DI FOLCO (esternamente).
Abbattete le porte!… La vittoria è compiuta!…

(La porta maggiore cede agli urti, e una folla d’armati irrompe nel tempio, primo fra tutti Folco de’ Bardi, con l’acciaro nel pugno, Fratello e sorella si fronteggiano ardenti.)

FOLCO (con gioia selvaggia).
Noi vincemmo!… Verrai col vincitor!…

GLORIA.
No! Non ti temo! Mi avrà solo amor!
 
(Cade sul petto dello sposo morente. Folco e le turbe si arrestano stupefatti.)

LIONETTO (ricadendo).
Sposa, mia Gloria, addio!…

(Gloria, sul corpo di Lionetto, togliendo dal fianco di lui il pugnale, se lo immerge nel seno.)

GLORIA (vacillando, a Lionetto moriente).
Muoio con tel… Sei mio!…
(In un abbraccio supremo confondono le anime esulanti.)
 
(Folco fa alcuni passi verso il tragico gruppo, ma colpito dall’orrore e dalla pietà, abbassa la spada e piega il capo. La moltitudine, percossa di terror sacro, si scuopre: alcuni si prostrano. — Quadro.)
 
(Oltre il gran portale abbattuto, nel fondo, divampa l’incendio appiccato dai guelfi faziosi alle case degl’imperiali. La chiesa è invasa da quel rossore sinistro.)
 
(Scende lenta la tela.)
 
Fine del dramma.