Ambleto

Dramma per musica.

Libretto di Apostolo Zeno, Pietro Pariati.
Musica di Francesco Gasparini.

Prima esecuzione: 16 gennaio 1706, Venezia, Teatro San Cassiano.

Attori:

AMBLETO erede legittimo del regno, amante di Veremonda soprano
VEREMONDA principessa di Allanda, amante di Ambleto soprano
FENGONE tiranno di Danimarca tenore
GERILDA moglie di Fengone, e madre di Ambleto soprano
ILDEGARDE principessa danese soprano
VALDEMARO generale del regno contralto
SIFFRIDO confidente di Fengone, e capitano delle guardie reali contralto

Libretto – Ambleto

Eccellenza
Sono così abbondanti le grazie, con le quali vostra eccellenza si degna di qualificare il nostro rispetto, che ormai diventa nostro rimorso ciò che finora ci servì di vantaggio, e non potendo noi retribuirle cosa che sia ad esse proporzionata, abbiamo quasi più volte desiderato che fosse ella men generosa nell’impartircele, perché noi fossimo meno confusi nell’impotenza di corrispondere alle medesime. Ma perché né dobbiamo mortificarci di ciò che ridonda in fregio del magnanimo di lei cuore, né sofferire che la benignissima sua protezione rimanga più lungamente senza qualche pubblica testimonianza della nostra umilissima gratitudine, mossi da pari ragioni, siamo concorsi nel conforme sentimento di consacrare al nome autorevole dell’e. v. il dramma presente, e di supplicarla ad aggradirne l’offerta, debole sì, ma sincera. In quest’atto non creda ella che noi pensiamo a diffalcare alcuna minima porzione de’ nostri comuni doveri; anzi è nostro voto di accrescerli con ottenere il singolar beneficio di un clementissimo patrocinio alle nostre fatiche. Egli è assai noto al mondo che il chiarissimo sangue, la famiglia gloriosa, e la persona istessa di v. e. è superiore a qualsivoglia applauso: onde riesce anche manifesto che nel chiamarla ad invigorire con la sua assistenza la nostra fiacchezza, non vi ha parte né la illustre sua nascita, né ‘l singolare suo merito; ma tutto ben sì l’interesse è del nostro credito che ricorre per appoggio alla di lei autorità riverita. Piaccia così all’e. v. di perdonare all’ardimento di tale speranza; ed accogliendo in questo ufficio un mero tributo della nostra ossequiosa riconoscenza, ci permetta che in esso comparisca l’obbligo ed il titolo col quale ci protestiamo

di v. e.
umiliss.mi divotiss.mi ed obblig.mi ser.ri
N.N.

Argomento
Orvendillo, re di Danimarca, da Fengone che men di ogni altro il dovea, a tradimento fu ucciso. Il traditore occupò la corona, e mancando di fede ad Ildegarde, principessa danese, con cui per l’addietro passava amori, sposò a forza la regina Gerilda moglie di Orvendillo, e madre di Ambleto, il quale non sapendo come fuggire la morte che gli preparava il tiranno, si finse pazzo. Sospettò questi del vero, e tentò vari mezzi per assicurare i suoi dubbi. Fra le molte prove che egli ne fece, eccone le tre principali.
La prima fu di scegliere una bellezza delle più singolari che fossero nella sua corte, dando ordine che questa fosse condotta nel più folto di un bosco, dove Ambleto era solito a ritirarsi, con animo che alla veduta di questa fosse egli per dar qualche segno di sua finzione: del che dovevano esservi testimoni in quella selva nascosti. Fingesi che l’ordine ne fosse dato a Veremonda, principessa di Allanda, amata dal principe durante la vita del padre, e promessagli in isposa, la quale dopo la morte del re Orvendillo ritiratasi ne’ suoi stati aveva mossa guerra al tiranno; ma vinta e presa da Valdemaro generale di Danimarca, era stata da lui che n’era divenuto amante, condotta come in trionfo alla corte.
Svanito il primo disegno, poiché Ambleto cautamente avvertito, che vi era chi lo ascoltava, continuò ne’ suoi finti deliri, si venne al secondo esperimento, che fu con la regina sua madre. Simulò Fengone di voler imprendere un viaggio lontano; e lasciata la reggenza dello stato a Gerilda, fece nelle stanze di questa nascondere un suo fidato, perché notasse i ragionamenti del figliolo con la madre, che probabilmente ve lo avrebbe fatto condurre per desiderio di vederlo e di abbracciarlo, il che per altro non le veniva permesso. Anche questo artificio andò a vuoto. Il principe avvisato di ogni cosa (fingesi da Siffrido consigliere in apparenza fidatissimo di Fengone, ma internamente suo capitale nemico) entrò nella camera della madre, e mostrando in prima di non conoscerla, qua e là raggirandosi per rinvenire il nemico nascosto, e finalmente scopertolo, con più ferite l’uccise. Indi conoscendo che poteva parlare con sicurezza, rivoltosi alla regina, le manifestò senz’altra finzione il suo animo, e rinfacciandole la sua sofferenza, la trasse agevolmente ne’ suoi sentimenti.
L’ultima prova fu nelle allegrezze di un convito. Il tiranno che meditava di ubriacare il principe per iscoprirne l’interno col vino, restò da lui medesimo con una bevanda alloppiato, e per ordine di Ambleto fu poco dopo in pena de’ suoi tradimenti fatto morire.
Tanto riferisce Saffone Gramatico, antico scrittore danese, e dopo lui ne raccontano il fatto il Pontano, e ‘l Meursio nelle loro Storie di Danimarca. La scena si rappresenta in Letra, antica residenza de’ monarchi danesi, della quale oggidì non ci è rimasto vestigio.
Non paia strano ad alcuno che vi si nomini qualche deità de’ greci col vocabolo greco. I danesi, durante il loro gentilesimo, le avevano pure in venerazione, benché con diverso nome. Poiché Giove presso di loro chiamavasi Toro. Marte appellavasi Odino, ecc. Del che si possono consultare Tommaso Bartolini il giovane, Olao Vormio, ed altri scrittori settentrionali. Qui si è stimato bene servirsi del nome più conosciuto per più chiarezza, e per isfuggire la confusione di vocaboli così strani.

Atto primo

Scena prima
Portici interni della reggia.
Fengone assalito da Sicari, e Gerilda da un altro lato con Guardie.

FENGONE
Ah traditori! Olà, custodi, aita.

GERILDA
Al vostro re? Felloni,
vi costerà la vita.

FENGONE
Inseguitegli, o fidi, e nel lor capo
recatemi un trofeo del valor vostro.
Per te vivo, o consorte.

GERILDA
(Iniquo mostro.)

FENGONE
Tanto deggio al tuo amor.

GERILDA
Di’ al mio dovere:
che in me trovi la moglie, e non l’amante.

FENGONE
Sposa di un anno ancor nemica?

GERILDA
Ancora
l’ombra vien di Orvendillo, il morto sposo
a turbar nel tuo letto i miei riposi.
Quel che stringi, ei mi dice,
è ‘l carnefice mio. Queste ferite
opre son del suo braccio,
e se no ‘l vieta il cielo,
quel braccio istesso alza già il ferro, e in seno
già lo vibra di Ambleto, il caro figlio.
E tu, barbara madre, empia consorte,
e lo soffri? E lo abbracci? O dio! Dagli occhi
si dilegua frattanto
l’ombra col sonno, e sol vi resta il pianto.

FENGONE
Ah! Gerilda, Gerilda,
e quai sonni trar posso
se non di amor, di sicurezza almeno
a te nemica in seno?

GERILDA
Odi, Fengon. Son tua nemica, è vero.
Bramo il tuo sangue: bramo
la mia vendetta. Esser vorrei tuo inferno
per dare a me più furie, a te più doglie;
ma con tutto quest’odio io ti son moglie.
Nel tuo sen, crudel, vorrei
vendicare il mio dolor,
ma si oppone a’ sdegni miei
questa fede che ti diede
la virtù, non mai l’amor.
Nel tuo sen, crudel, vorrei
vendicare il mio dolor.

Scena seconda
Fengone, e Siffrido.

SIFFRIDO
Grazie agli dèi. T’inchino
fuor di periglio, o re. (Perfida sorte!)

FENGONE
Di Gerilda l’amor mi tolse a morte.

SIFFRIDO
Ma qual duolo ancor serbi?

FENGONE
Goder poss’io con mille insidie al fianco?

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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