Colombo

Melodramma serio in due atti

Libretto di Felice Romani
Musica di Francesco Morlacchi

Prima esecuzione: 21 giugno 1828, Genova, Teatro Carlo Felice.

Personaggi:

Cristoforo COLOMBO baritono
FERNANDO di lui figlio, amante di contralto
ZILIA giovane americana figlia di soprano
JARICO cacico di Maima basso
ZAMORO cacico d’Aiti, rifugiato in Maima, amante di Zilia tenore
DIEGO ufficiale castigliano tenore
Bartolomeo FIESCO altro

Cori e Comparse. Ufficiali, Soldati, e Marinai, Castigliani, Guerrieri Indiani e Aitiani, Vecchi e Indovini. Donzelle di Maima, Coriste, e Ballerine.

La scena è presso il mare nel campo castigliano, e in Maima tribù selvaggia della Giamaica. L’epopea è l’ultimo viaggio di Colombo.

Libretto – Colombo

Proemio dell’autore
Trattandosi di un melodramma, genere di poema, non so se a torto o a ragione, tenuto in niun conto dagli Italiani, inutile potrà sembrare, o per lo meno orgoglioso qualunque proemio; ma trattandosi di argomento gravissimo, da rappresentarsi in solenne occasione, e al quale son rivolti gli sguardi della mia patria, mi siano permesse brevi parole, che manifestino l’intendimento con cui ho proceduto nel mio lavoro, e le difficoltà che ho dovuto combattere. La prima e la maggiore di tutte fu quella di presentare l’eroe nell’aspetto più degno di lui, nella situazione più gloriosa, e nel tempo istesso più nota agli spettatori. Tal’era la prima scoperta del nuovo mondo, poiché a questa ricorre tosto ogni mente; ed io avrei dovuto scegliere il primo viaggio di Colombo, i pericoli da lui corsi in mari intentati, e il di lui trionfo al primo por piede nella vergine America. Ma soggetto gli è questo, che quanto conviene al poema che racconta, altrettanto sconviene al poema che rappresenta. L’autore drammatico ha d’uopo d’un nodo che ravvicini tutti i personaggi, e di un’azione in cui campeggi l’amore, passione più d’ogni altra prediletta dalla musica. E il mio primo atto sarebbe passato in mare, il secondo a s. Salvatore, divisi sarebbero stati i personaggi, e due per così dire le azioni. Doveva io forse rappresentare l’eroe di ritorno in Castiglia, onorato dai sovrani, cui fa dono d’un mondo? Tutta l’azione si sarebbe ridotta in una splendida scena, il rimanente sarebbe stato languido, freddo e senza passione. Doveva io scegliere il momento in cui l’invidia e l’ingratitudine trionfano del merito e della fede, e il premio di Colombo sono oltraggi e catene? Troppo nera sarebbe stata la tela che avrei tessuta, e troppo odiosi personaggi avrei dovuto porre in iscena. Oltre di ciò mi si parava d’innanzi l’istessa difficoltà di luogo, di tempo, d’interesse musicale. Queste cose fra me rivolgendo, miglior consiglio mi parve di attenermi all’ultimo viaggio dell’illustre genovese, quando egli gittato dalle tempeste nell’isola di Giamaica, obliato dall’universo, minacciato da feroci popoli, e insidiato da’ suoi stessi seguaci, lotta coraggioso co’ la sua mala fortuna, e maggiore di Filottete, che deserto in Lenno impreca la vendetta degli dèi sui colpevoli Greci, soffre invece senza mormorare l’abbandono de’ castigliani, disarma i selvaggi co’ la sua virtù, co’ la costanza tiene in freno i rivoltosi, e soccorso da Fiesco, da lui spedito a Cuba, trionfa d’ogni ostacolo, e scioglie le vele pieno della speranza di afferrare le spiagge del gran continente. Un anno di soggiorno nell’isola di Giamaica rende probabile l’intelligenza del linguaggio degli Indiani, non che l’amore di Fernando per la figlia di un cacico; amore episodico, ma talmente innestato coll’azione principale, che senza di esso l’azione non avrebbe luogo; amore che aumenta i pericoli di Colombo, e viemaggiormente lo dimostra magnanimo: imperocché non è solo l’eroe che si trova in cimento, ma il padre ancora che trema per la vita del figlio, di quel figlio, che deve tramandare ai posteri la storia delle paterne scoperte. (*)
Io fingo, che presso il cacico di Maima, nelle cui terre è naufragato Colombo, siasi ricoverato Zamoro, un de’ cacichi d’Aiti, il quale venga a raccontare a que’ di Giamaica le crudeltà esercitate dagli europei nella natale sua terra, e che col racconto di tanti infortuni tragga gli ospiti suoi a congiurare contro Colombo per trucidarlo con tutti i castigliani. Jarico, tale è il nome del cacico di Maima, sbigottito dal comune pericolo, stringe alleanza con Zamoro, e per farla più salda, gli concede la propria figlia in isposa. Ma Zilia, così chiamasi la giovane indiana, è invaghita di Fernando, figliuol di Colombo; né può soffrire altro sposo, né reggere all’idea che a tradimento sia trucidato il suo amante. Quantunque le leggi di Maima condannino a crudel morte chiunque sveli il segreto della patria, essa il palesa. I castigliani, non più colti all’improvviso, combattono e vincono i selvaggi; ma Fernando rimane prigioniero. Ei deve morire, se Zilia, rimasta nel campo castigliano, non è renduta al padre per essere immolata ai traditi dèi di Maima. Il generoso Colombo ricusa di comprar la vita del figlio con quella della salvatrice di tutte le sue genti; ma Zilia egualmente generosa, fugge da Colombo, e spontanea si presenta alla vendetta della patria. Ella morrebbe, se l’eroe non venisse a salvarla, spaventando i selvaggi con un eclissi di luna da lui preveduto, eclissi che come abbiam dall’istoria, serve ai castigliani per ottenere alimenti dai minacciosi indiani, e ch’io faccio servire a più nobile e più commovente circostanza. I selvaggi sono attoniti, e vinti dall’ascendente dell’eroe: giunge Fiesco a compiere le meraviglie di quella notte solenne: Colombo trionfa: e preso possesso dell’isola, pianta quivi la croce, e i redenti popoli intorno ad essa raccoglie. Tale è l’orditura del mio melodramma; e in essa, se mal non mi appongo, l’invenzione non nuoce alla storia, né la storia alla invenzione; e quel che più preme in siffatti componimenti, se tutto non giova alla ragione poetica, giova almeno alla ragion musicale.
Quanto ai caratteri storici: per non parlar di Fernando, giovinetto appena uscito dall’adolescenza, ardente come il vuole l’età sua, e generoso qual dev’essere il figlio di un eroe: il personaggio principale, il sommo almirante di Castiglia, Colombo è da me rappresentato qual era; umano, costante, religioso: vir fortis cum mala fortuna compositus. Tanto nel sedare la rivolta dei castigliani, quanto nel disarmare i selvaggi, io gli diedi, per così esprimermi, un tal quale aspetto d’ispirato: e in ciò fui coerente alle tradizioni, e all’esaltate idee di que’ tempi. Egli avea detto ai castigliani: Se in tre giorni non appare la promessa terra, noi desisteremo dall’impresa: e in tre giorni la promessa terra comparve. Se Ovando scioglie da Cuba, è minacciato da terribil tempesta: e Ovando spiega le vele, ed è sepolto nel mare. Quanto ei fa, quanto ei dice tutto è attestato dagli storici; e se il principale suo scopo sembra esser quello di recare la vera fede nell’Indie, questo pure è giustificato dalle lettere ch’egli stesso scriveva ai sovrani di Castiglia.
Quanto ai caratteri d’invenzione, io gli ho ideati come volea la ragione del mio poema. Tranne Zilia, purificata, per così dire, dall’amore, i selvaggi son quali esser devono: feroci, e senza alcun freno fuorché quello della propria superstizione. Nulladimeno io diedi loro un certo qual senso d’onore, e vivissima la carità della patria; affetti ch’io credo ingeniti nel cuore dell’uomo. Degli usi e dei riti loro, ne giudichi il lettore. Privi, come noi siamo, di monumenti e di tradizioni intorno ai costumi ed ai culti delle prime terre scoperte dagli spagnoli, era a me lecito immaginarli come conveniva all’azione: tuttavia poco o nulla si scostano da quelli che trovati furono in regioni visitate più tardi.
Dovrei parlar dello stile. Ma chi non conosce i ceppi dei poeti melodrammatici? Dirò soltanto che ho conservate alcune tinte locali meglio che per me si è potuto in un componimento, ove il dialogo è soverchiamente conciso, ove non tutte le frasi sono accettate dalla musica. Qualche libertà mi rimaneva nei cori, ed io ne ho profittato.
Con questo mio lavoro io non oso sperare di aver corrisposto all’aspettativa de’ miei concittadini: tuttavolta andrò sempre superbo che mi abbian tenuto da tanto gl’illustri personaggi che a me lo commisero. Se indegno del più grande fra i Genovesi è il serto ch’io gli ho tessuto con un melodramma, è forse più colpa del genere, che mia. Allo scopritor dell’America vuolsi un’epopea. Avvi chi l’ha meditata, ma fortuna gl’impedisce di compierla.

(*) Infatti Fernando Colombo scrisse la storia del padre: ed ottimo intendimento, a mio credere, fu quello di averlo introdotto nel dramma come testimonio delle cose che aveva un giorno a raccontare, e come il sol uomo a cui Colombo poteva confidar degnamente e le sue speranze e i suoi timori. Una scena che per economia musicale mi è convenuto sopprimere, ma che in prova io trascrivo, non solo giustifica sì fatto intendimento, ma un altro ancora che da per sé rileveranno i lettori.

COLOMBO
Oh! immensa, e ricca terra
ch’io visitai primiero! Oh! continente
intentato finor, ov’io qui pera,
di più scaltro nocchier sarai tu gloria?…

FERNANDO
Giammai, giammai… non mentirà l’istoria.

COLOMBO
Testimon di mie sventure,
in Europa il ciel ti guidi;
la tua voce al mondo gridi
che maggiore e sol per me.

FERNANDO
Renderan l’età future
la giustizia a te negata:
macchia ognor di cieca e ingrata
questa etade avrà per te.

COLOMBO
Io lo spero: il tempo è giusto
correttor de’ torti umani.

FERNANDO
Domator del fato ingiusto
fia ch’ei rechi i legni Ispani,
e alle rive a te contese
ti conduca vincitor.

COLOMBO
Sì, Colombo a nuove imprese
coraggioso innalza il cor.
a 2

FERNANDO
Giovin mondo a lui svelato
per sentier non corsi mai,
tu primier vendicherai
chi dai flutti uscir ti fe’.

COLOMBO
E tu terra ov’io son nato,
se di un mondo non godrai,

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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