Erminia

Favola pastorale in cinque atti

Musica: Giovanni Bononcini
Libretto: Gaetano Lemer

Prima rappresentazione: Roma, Teatro della Pace, carnevale, 1719

Personaggi

  • Erminia
  • Tancredi
  • Flora
  • Ennone
  • Niso
  • Silvio

Libretto – Erminia

Dedica

Persuaso da molti amici, li quali appresso di me tutto possono, mi sono lasciato indurre, ECCELLENTISSIMO SIGNOR CONTE, ad ordinare la presente Favola per il Teatro; cosa dal mio istituto lontana per le altre occupazioni, che m’intrattengono, e da me fuggita, non per la sua malagevolezza, come per la depravazione, che nella nostra Scena Italiana hà ingombrato il gusto del Popolo; il quale non facil’impresa nè dalle mie forze è dì cangiare così di subito; sìccome altresì per avventura più malaggevole a chi sia mediocremente imbevuto di sana erudizione il secondarlo. Taleche delle due cose una necessario è che siegua: o d’esser barbaro per dilettare, o di comporre, com’è in proverbio, a se, ed alle Muse, senza incontrare il commune assenzo, ciò che è da schivarsi in tutte quelle operazioni, che nel solo, e vulgare piacere si rivolgono. A che benissimo da me avvertendosi (intanto che miglior luce, siccome nella Lirica poesia è accaduto, così nella Drammatica rischiari li nostri ingegni) hò procurato di scieglier suggetto, che per la sua umiltà non lasci alla moltitudine desiderare quegli strepitosi accidenti, ed avvenimenti impossibili, che da essa nelle azzioni grandi, e regali si vogliono, nulla considerando, se colla natura, o nò ben consentono, e di non deviare insieine (per quanto mi è stato concesso fra molte disconvenevolezze, che forza è pure di conserbare) dalla norma del verisimile.

Intorno di che, a V. E. il di cui animo delle migliori cognizioni è imbevuto, alcuna cosa mi rimane a dire per mìa difesa; se rappresentando io Amori, ed operazioni di Pastori, o fra Pastori accadute, di quella simplicità, e naturalezza noll’hò vestite, che unicamente in Teocrito più s’ammirano, che imitar si posano. E£di ciò recare ve ne potrei varie cagioni; Ma le altre tralasciando, vi dirò solo, che alle colte orecchie, e nella civile conversazìone educate, mal si conviene così rozzamente, come dalle rusticbe persone si pensano i concetti delle cose recare, senza che per lo più non molto di diletto, e d’artifizio in loro contengono. Onde non sarebbe, a mio credere, affatto per questo di compatimento indegno il Guarino, se, a ciò forse riguardando, fece i suoi Pastori più delicatamente pensare, e meno semplicemente discorrere, di quella scusa avvalendosi, che Stirpe e prole di Semidei gl’introduce; di quale pure si serve il Tasso nel suo episodio d’Erminia, e di presente m’avvalgo io, che da questi hò tolto l’argomento della mia Favola, allorché fa dire a quel tale vecchio Pastore.

E benché fossi guardian degl’Orti
Vidi, e conobbi pur l’inique Corti.

Talché maravigliare non vi dovrete, se le di lui figliuole, che da me si producono, alcuna volta dalla naturale rusticità s’allontanano. Oltre che Virgilio medesimo non è stato punto più esatto osservatore di questo costume ne’ suoi Buccolici; e tacere da me, non si debbe, che il dover servire alla Musica, e necessità di rime, e mendicato rìcercamento di parole dal Poeta richiede: onde poco, per quanto stimi, colui non ottiene, che al presente gusto sodisfacendo non incontra da i dotti d’una intera barbarie la riprensione.

Quale per fine questa mia Pastorale rappresentazione ella siesi: mi è piaciuto di offerirla a Voi, ECCELLENTISSIMO SIGNORE, che abbenche di straniera origine, e d’idioma tanto dal nostro lontano; nientemeno così perfettamente li più nascosti pregi dell’Italiana favella, e del Toscano Dialetto conoscer sapete, ed in scrivendo adoperare; e ciò, che più maravigliosa cosa è, con si esatta critica della nostra poesia giudicate; tutto quello nauseando, che da buona parte deg’Oltramontani, e da non pochi de’ nostri medesimi viene con applauso, ed ammirazione ricevuto: trattivi i primi dall’ignoranza della lingua, e gli altri delle buone, e solide scienze, e dall’inganno d’una sucata eloquenza. Vi si aggiugne, che era questa Favola a Voi dovuta, perche ed il Teatro dove si aggisce, è nella vostra Clìentela, ed il Composìtore della Musica l’abbiamo per benefìzio vostro: il quale Composìtore, siccome dottìssìmi uomini si sono intorno alla vera eloquenza in questo secola affaticasi per renderla al primo onore: così ora con alcun’altro in questa facoltà s’affatica, studiandosi di ridurla alla norma della natura, da cui era per lunghissimo tratto deviata. Raccogliete adunque l’Opera mia con benigno animo, come solete, e me del vostro favore, e cortese compatimento degnate.

Al lettore

IL fondamento di questa Favola ritrarre lo puoi dal noto Poema di Torquato Tasso nel Canto Settimo, volendoti però avvertito, che non è piaciuto all’Autore di seguire interamente quel Episodio in ogni sua parte, come nel vestirsi Erminia le arme di Clorinda, nel mandare del suo Scudiere a Tancredi; in ciò alfine, che da quello discordare ritroverai. Esscndo libero a ciascuno (siccome e gli Greci Tragici anno fatto, e da’Mitologi, si raccoglie) il variare la stessa Favola a proprio talento, purché possibile azzione, e verisimile si rappresenti.

 


ATTO PRIMO

 

Scena prima

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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