Il Pigmalione

Scena drammatica in un atto

Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Simeone Antonio Sografi

Fonti letterarie: Metamorfosi (Libro X) di Ovidio.
Prima rappresentazione: 13 ottobre 1960, Teatro Donizetti, Bergamo.

Personaggi:

Pigmalione, scultore (tenore)
Galatea, statua (soprano)

Libretto – Il Pigmalione

ATTO UNICO

PIGMALIONE
Anche spirto né vita più darvi non poss’io
dove sei genio mio
che mai sei divenuto misero mio talento!
In te tutto è già spento
quel foco animator
ch’opre immortali facea sortire un di.
Itene al suolo voi strumenti non più della mia gloria
ma del mio disonor.
Ah, che divenni io mai!
L’opre mirande che in uomo altero
rilucenti in seno brillan cotanto,
sono per gl’occhi miei indifferenti oggetti.
Sino i dolci affetti di tenera amistà,
sì cari un tempo a quest’anima mia
or più non sono per lo stupido cor
che lenti moti per un’alma a cui son questi affetti ignoti.
(siede guardando le statue e i gruppi che gli stanno
d’intorno)
Voi che intorno a me vi state,
cari oggetti lusinghieri
deh voi fate i miei pensieri
un istante tranquillar,
(Si alza con impeto aggirandosi per la scena)
Ah che invano il mio tormento
spera in voi trovar conforto
dall’affanno, oh Dio mi sento
dall’ardore a trasportar.
(si ferma e si rivolge con grande entusiasmo al
padiglione)
Sol colei quest’occhi miei
può quest’alma consolar.
(si accosta al padiglione, poi si allontana; di quando
in quando lo guarda, poi dice:)
Ma, celarla? E perché?
Qual’io ne traggo util piacere?
Perché ritrovo in quella, dell’opra mia,
la più perfetta e bella?
Scoprasi!!!
(s’indirizza per alzar la cortina, che lascia cade
re spaventato)
Qual improvviso io sento insolito tremor.
Fosse ch’io sono e più non mi rammento
che là nascosto sia un lavoro di pietra
un’opra mia?!
(con mano tremante, ritorna al padiglione per
alzare la cortina)
Incerto, dubbioso mirarla vorrei.
(scoprendo la statua e contemplandola con trasporto)
Il nume tu sei di questo mio core
Pigmalione che fai?
Dove ti lasci da un forsennato ardore
misero trasportar!
(guarda la statua)
Venere istessa a te ceda in beltà!
Ma quelle vesti tolgono al guardo mio
quanto in te di vezzoso può l’arte discoprir.
(riprende il martello e lo scalpello, sale
con agitazione i gradini della statua che mostra di
non poter toccare: finalmente – alzando il martello –
rimane alquanto in sospeso … )
Qual forza ignota or questo ferro arresta.
Non è pietra cotesta che son presso a colpir?
Oh timor vano… t’accingi all’opra e non tremar mia mano.
(si incoraggia e riprende lo scalpello, ma
spaventato lo lascia cadere con un alto grido)
Ah che veggo! Ciel che sento!
Qual portento eterni Dei
(riprende tutto tremante)
quelle membra a colpi miei
vidi tutte a palpitar.
Lo stupore e lo spavento
mi fan l’alma in sen gelar.
Ciel che vidi, eterni Dei
quelle membra a colpi miei
vidi tutte palpitar.
Oh trasporti crudeli
oh tormentose brame – d’un impossente cor.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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