Il potestà di Colognole

Dramma civile rusticale

Libretto di Giovanni Andrea Moniglia
Musica di Jacopo Melani

Prima esecuzione: 5 febbraio 1657, Firenze, Teatro della Pergola.

Personaggi

ANSELMO potestà di Colognole, padre di Isabella contralto
ISABELLA soprano
CREZIA bambina tenuta in casa di Anselmo altro
GORA vecchia nutrice d’Isabella, madre della Tancia altro
TANCIA soprano
Leonora, sotto nome di LISA creduta sorella della Tancia e figliuola della Gora, ma veramente figliuola di Odoardo contralto
ODOARDO giudice del potestà tenore
DESSO tartaglia gobbo servitore d’Anselmo tenore
LEANDRO tenore
BRUSCOLO servitore di Leandro tenore
FLAVIO basso
CIAPO contadino di Flavio altro
MORO monello altro

Coro di Musici. Truppe di Sbirri. – Truppa di Contadini soldati del paese. Truppe di più Personaggi nella fiera. Truppe di Contadini sul prato della villa di Flavio. Ballo di Contadini, e Contadine.

Il dramma si rappresenta nel villaggio di Colognole.

Prefazione
Questo dramma civile rusticale fu il primo componimento giocoso, che uscisse dalla penna del suo autore, e lo compose per comandamento del serenissimo principe cardinale Giovanni Carlo de’ Medici suo signore. Ebbe la fortuna d’esser rappresentato nell’apertura del sontuosissimo Teatro de’ signori accademici Immobili sotto la protezione della medesima a. rev.; egli sortì tanto aggradimento, che gli restò per sempre il nome del Famoso potestà di Colognole; e non si recita commedia in qualunque genere in Firenze, che non se ne rinnovi la memoria, come del più giocondo, e più dilettevole dramma che udito vi si sia. Lo mise in musica il signor Jacopo Melani, del quale parla gloriosamente la fama; fu accompagnato da vaghi e ricchi adornamenti, balletti, abbattimenti, varietà di scene, con la veduta rappresentativa d’una fiera così numerosa di popolo, di botteghe d’ogni sorte di mercanzie, che rapiva gli occhi, e l’animo de’ circostanti; le recite furono molte, e molte con un concorso pienissimo più una volta che l’altra, non solamente di persone della città e dello stato tutto, ma eziandio di paesi lontani, contribuendo molto all’applauso la somma virtù, e grazia de i recitanti. Ma perché in qualsisia genere di rappresentazione, l’osservare il costume del personaggio che s’introduce tanto nel parlare, che nell’operazioni, è ‘l maggiore obbligo che sia imposto dalle buone regole della poetica a quei tali, che di ben comporre s’industriano, onde loro la più difficile fatica risulta, incontrerannosi nel leggere questo dramma molte voci proprie a i contadini delle nostre ville, le quali non saranno intese da chi non è nativo di Firenze, però si è stimato molto a proposito per facilitarne l’intelligenza, porre nel fine del dramma la dichiarazione non solamente de i vocaboli ma de i proverbi ancora, e dettati rusticali.
Il presente componimento scenico è stato rappresentato in diversi luoghi. Fu replicato in Firenze alla venuta del serenissimo arciduca Ferdinando Carlo d’Austria nel Teatro de’ signori accademici Infuocati, in Bologna, in Pisa, ed in altre città della Toscana.

Argomento
Anselmo Giannozzi cittadino fiorentino, essendo potestà in Colognole, aveva seco condotto Isabella sua figliuola unica, della quale invaghitosi Leandro, giovane d’onesta nascita, ardentemente desiderava le di lei nozze, ma per esser’egli povero, Anselmo non v’acconsentì fin tanto, che per le bizzarre invenzioni di Bruscolo, servo di Leandro, non si dette a credere (essendo vecchio, e semplice, e avaro) che Leandro fosse oltre misura facoltoso sopra ogni altro gentiluomo della sua patria.

Libretto – Il potestà di Colognole

Atto primo

Scena prima
Villaggio di Colognole con la veduta di varie ville d’ogni intorno.
Isabella, Lisa.

ISABELLA
Son le piume acuti strali
ad un sen, nido d’amore.
Del riposo sotto l’ali
non ha quiete ‘l suo dolore;
misera star non ponno
quest’occhi aperti al pianto, e chiusi al sonno.

LISA
Che stravaganza è questa?
pria che spunti l’aurora,
come vi siate desta?
Oh che strani capricci,
casca la guazza ancora,
torniamo a casa, che ci guasta i ricci.

ISABELLA
Messaggiera fedele
d’una carta amorosa,
che nel suo nero esprime
d’una candida fé note loquaci,
vanne a Leandro mio,
prendi, parti, ritorna; osserva, e taci.

LISA
Ben cento volte, e cento
il vostro genitor tutto adirato
vietovvi amar costui; deh vi sovvenga
che beffarsi del padre è gran peccato.
Pigliate il foglio.

ISABELLA
Eh Lisa
non hai provato amore,
se le colpe in amor danni, e correggi;
tiranneggiando un core,
vuol soggetto ogn’impero alle sue leggi;
vanne a Leandro.

LISA
Appena
son tre giorni, che venni
(benché nata in paese)
da nov’anni finiti ad abitarlo;
che bambina mi prese
vostro padre, e con voi
(lo rimeriti il ciel) fece allevarmi;
Leandro io non conosco.

ISABELLA
Aurate chiome,
nere pupille porta il mio tesoro,
e nel ciel del suo volto
vibran soli notturni i raggi d’oro,
pendon vermiglie piume
da’ crini suoi fregio d’alati arcieri,
onde volano accesi i miei pensieri.
Ivi l’attendi, e vedi
de’ suoi be’ lumi al gemino splendore,
che da più vaga sfera
partir non puote un amoroso ardore.

Scena seconda
Lisa.
Ah pur troppo il conosco,
lo vidi, ed in un tratto
arsi per lui; se crede
Isabella ch’io porti
questa carta, s’inganna; no alla fé;
dar non mi voglio la scure sul piè.
Se nacqui contadina,
ho genio a farmi nobile;
forse ‘l ciel mi destina
a miglior sorte, ché fortuna è mobile;
nel scoprire a Leandro
il mio sincero affetto,
libera vo’ parlar senza rispetto.
Se d’amor un cor legato
è soggetto alla vergogna,
per morirsi disperato,
altro mal non gli bisogna.
Se Cupido cieco sta,
i rossori non apprezza;
la modestia fugge, e sprezza,
mentre sempre nudo va;
tenta in van chi presume
di far onesto un nume,
ché per dolce fallire al mondo è nato.
Se d’amor un cor legato
è soggetto alla vergogna,
per morirsi disperato,

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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