La Delia

Poema drammatico

Libretto di Giulio Strozzi
Musica di Francesco Manelli

Prima esecuzione: 20 gennaio 1639, Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo.

Personaggi:

Prologo fatto da EUNOMIA prima ora del giorno sconosciuto
APOLLINE sotto nome di Sole e poi di Nomio pastore di Tracia sconosciuto
VENERE nuova abitante degli antri del monte Olimpo in Tessaglia sconosciuto
VULCANO nuovo abitante degli antri del monte Olimpo in Tessaglia sconosciuto
MERCURIO messagger di Giove, e dio de’ ladri sconosciuto
ADMETO re di Tessaglia pastor di ricchi armenti sconosciuto
DELIA figliola unica d’Admeto sconosciuto
GIOVE sconosciuto
ERMAFRODITO figliolo di Venere, e di Mercurio spia di Giove sconosciuto
PROSERPINA regina dell’inferno sconosciuto
La LUNA che viene incontro a Delia sposa del Sole sconosciuto
Il TEMPO sconosciuto

Coro di tre ciclopi che cantano al suono dei loro martelli. Le tre Grazie nel carro di Venere. Coro di Dèi maggiori in cielo. Amoretto che gonfia la vela della conchiglia di Venere. Coro di Cortigiani di Proserpina. Coro di Pastori, e di Ninfe che danzano cantando, e gridano al ladro, quando Mercurio ruba gli armenti. Coro de’ Soldati della guardia del re Admeto, che danzano all’azione seconda. La famiglia del Sole, cioè le quattro Stagioni, e ‘l Tempo, che rendono ossequio a Delia, e formano il coro.

La scena è in Tessaglia nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo, ove il re Admeto aveva la sua reggia, oggi detta Licostomo, cioè bocca del lupo, così l’amenità di quel sito, è divenuta poi orrida, e spaventosa.

Libretto – La Delia

Signori
Persuaso dalla cognizione di me stesso, io era risolutissimo di non voler stampar alcuno più de’ miei scherzi poetici: e stampandogli per avventura, di più non dedicargli.
Il cimento della stampa è negozio molto pericoloso ne’ vecchi professori, e ‘l dedicare oggidì è un mezzo affrontar i padroni.
Ma poiché mi conviene di rompere il primo proponimento scusatemi, se rompo il secondo ancora.
La sera sposa del Sole deve per retaggio di famiglia esser appadrinata dalle signorie vostre: e dev’io procurarle protettori affezionati alla poesia, ed alla musica insieme, per oggetto della quale opera è stata primieramente composta.
E chi non sa il diletto, che l’illustrissimo vostro padre ha dimostrato sempre di queste due nobilissime professioni? E se le signorie vostre sono e nella prudenza, e ‘n tante altre eroiche virtù il vero ritratto di lui, chi potrà dubitare, ch’in questo ancora non imitino l’operazioni paterne.
So ben io per prova il piacere, ch’ambedue ne ricevono.
Mando dunque all’ombra del lor patrocinio la mia sera, e soddisfo in parte a molte mie obbligazioni.
Non pretendo d’obbligarle a grazie maggiori; ma facendo lor riverenza, bacio alle sig. vostre affettuosamente le mani.

Di Venezia li 20 gennaio 1639

Lettori
Io non infilzo concetti, né sono alchimista di metafore. Se sapessero alcuni con quanta poca fatica si fa la moneta falsa dell’eloquenza, che corre oggidì, si arrossirebbero in darle cotanto spaccio: s’intendessero similmente, quanto sia malagevole il formar l’oro puro d’uno stile facile insieme, e sostenuto, non si riderebbero di coloro, che dopo l’esercizio di molti anni arrivano quasi a saperlo fare.
La musica è sorella di quella poesia che vuole assorellarsi seco, ma, quando non s’intendono bene tra di loro, non sono né attinenti, né amiche.
Il canto, che raddolcisce gli animi, riesce in due maniere un’aborrita cantilena, o quando s’ha da gir dietro alle chimere del poeta, o quando dileguandosi la parola, o la finale d’alcuna voce nell’ampiezza dei teatri, smarriscono gli uditori il filo de gli ammassati concetti.
Prima nella memoria, che ne gli orecchi, e più decantati, che cantati devon esser que’ versi, che si rivolgono nel condimento delle musicali armonie; e delle cose dilettevoli la ripetizione non reca tedio.
Per questo io son ricorso alla stampa, acciò ch’ella sia la contracifra di que’ musici, che cantano talora più volentieri a loro medesimi, ch’agli ascoltanti.
Ho partita con qualche metodo l’opera in tre azioni. Division comune di tutte le cose: principio, mezzo, e fine. Gli antichi ne formavano cinque, perché vi frammettevano il canto. Questa ch’è tutta canto, non ha di bisogno di tante posate.
Ho introdotto qui l’Hilaredo de’ greci, e questi sarà il giocoso Ermafrodito, personaggio nuovo che tra la severità del tragico, e la facezia del comico campeggia molto bene su le nostre scene.
D’un paio d’ore mi son preso licenza: non so s’Aristotele, o Aristarco me le farà buone. Quando non avessi errato in altro buon per me, ma quando comincia a tremar la mano al poeta, molto più gli trema il cuore: le belle arditezze sono da’ giovani, de’ quali s’innamora, come donna, più volentieri la fortuna. Abbozzai la Delia nelle ritiratezze del passato contagio, per sollievo dell’animo, e per tributo di riverenza a gran principe, nelle cui nozze io mi credeva di pubblicarla. Non seguì per mia negligenza. Ed esce ora molto meglio raffazzonata, ch’ha ritrovato mecenate di tanta stima, recitanti sì degni, e macchine sì belle in teatro sì ragguardevole dell’illustriss. sig. Gio. Grimani, nato meravigliosamente in pochi giorni per la felicità di un secolo.
Le favole finalmente sono favole, e le divinità de’ gentili tutte sciocchezze, onde ci si può scherzar sopra allegramente; ma l’allegorie, che nascono da loro non sono senza profitto. Così le voci fortuna, fato, destino, sorte, e simiglianti sono leggerezze poetiche, e non sentenze teologali.

Argomento
Dopo la guerra de’ giganti, saettò Giove Esculapio, e Fetonte figliuoli del Sole, per l’arditezze loro. Non potendo il Sole vendicarsi con Giove, uccide i ciclopi fabbricatori del fulmine: viene il Sole cacciato dal governo della luce: scende in terra, si finge Nomio, e serve per pastore il re Admeto di Tessaglia. Amoreggiato da Delia figliuola d’Admeto, le promette d’esser suo sposo. E richiamato, per opera di Mercurio, in cielo da Giove, che malamente guidava il carro della luce; ma non vuol lassù ritornare, se non conduce seco la sua Delia. Gli vien da Giove conceduto: e sale con esso lei alle beate stanze, ove ella diviene sua pregiatissima moglie.

Allegoria
I figlioli del Sole, fulminati da Giove, sono i miseri mortali, sottoposti al castigo di lui, per l’alterigia, ed arditezza loro.
I ciclopi significano i vapori malvagi, che fabbricano il fulmine delle pestifere calamità.
Il Sole saetta i ciclopi, cioè que’ perniciosi vapori, quando co’ raggi suoi gli disperde, e fa cessar il male.
Credesi, che scenda in terra, allora, ch’egli apparisce tanto benefico al genere umano.
Fingesi pastor d’Admeto, cioè del principe prudente, il quale coopera con mezzi opportuni alla nostra salvezza. Ama, ed è amato da Delia, cioè dalla sapienza, la quale con dubbia luce, e sotto nome di Sera, risplende: poscia che il saper nostro non giunge mai all’intera cognizione. Viene vagheggiata da Mercurio, dio dell’astuta eloquenza, ma ella s’invaghisce del Sole, cioè della verità, con la quale la vera sapienza si sposa.

Prologo

Scena prima
Eunomia.
Della reggia del ciel custode eterna
apro le porte al mattutino lume:
e ‘l calle infioro al frettoloso nume,
ch’il dì conduce, e le stagioni alterna.
Del gran tonante io son l’ancella usciera,
l’ora prima del giorno Eunomia, e desto
al lavor duro, al faticar molesto,
di voi mortali ogni sopita schiera.
Mal veduta da molti, a cui non piace,
ch’io risvegli al sudor l’umane genti:
or vi chiamo al gioir, chiamo ai contenti
messaggera d’amor, nunzia di pace.
Se qui vittoria, e qui trionfa onore,
serenissimi sposi, anch’io le porte

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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