La Didone

Dramma per musica

Libretto di Giovan Francesco Busenello
Musica di Francesco Cavalli

Prima esecuzione: carnevale 1641, Teatro San Cassiano, Venezia.
Video dell’opera

Interlocutori

Nel prologo
IRIDE prologo soprano
Nell’opera
DIDONE regina di Cartagine soprano
ENEA troiano tenore
ANCHISE padre di Enea tenore
ASCANIO figliolo di Enea soprano
CREUSA moglie di Enea soprano
IARBA re degl’Etuli contralto
ANNA sorella di Didone soprano
CASSANDRA troiana soprano
SICHEO marito di Didone in ombra tenore
PIRRO greco tenore
COREBO contralto
SINONE greco basso
Ilionèo, AMBASCIATORE compagno di Enea contralto
ACATE familiarissimo di Enea tenore
ECUBA vecchia moglie di Priamo contralto
GIOVE basso
GIUNONE soprano
MERCURIO contralto
VENERE soprano
AMORE soprano
NETTUNO basso
EOLO tenore
FORTUNA soprano
Le GRAZIE soprano

Coro di Damigelle cartaginesi. Coro di Cacciatori. Coro di Troiani. Coro di Ninfe marine.

Libretto – La Didone

Argomento
Quest’opera sente delle opinioni moderne. Non è fatta al prescritto delle antiche regole; ma all’usanza spagnuola rappresenta gl’anni, e non le ore. Nel primo atto arde Troia, e Enea, così comandato dalla madre Venere scampa quegli incendi, e quelle ruvine. Nel secondo egli naviga il Mediterraneo, e arriva ai lidi cartaginesi. Nel terzo ammonito da Giove abbandona Didone. E perché secondo le buone dottrine è lecito ai poeti non solo alterare le favole, ma le istorie ancora: Didone prende per marito Iarba. E se fu anacronismo famoso in Virgilio, che Didone non per Sicheo suo marito, ma per Enea perdesse la vita, potranno tollerare i grandi ingegni, che qui segua un matrimonio diverso e dalle favole, e dalle istorie. Chi scrive soddisfa al genio, e per schifare il fine tragico della morte di Didone si è introdotto l’accasamento predetto con Iarba. Qui non occorre rammemorare agl’uomini intendenti come i poeti migliori abbiano rappresentate le cose a modo loro, sono aperti i libri, e non è forestiera in questo mondo la erudizione. Vivete felici.

Prologo

Scena unica
Iride.

[Sinfonia]
Caduta è Troia, e nelle sue ruine
giace sepolto d’Asia il bel decoro,
del giudizio fatal del pomo d’oro
l’alta Giunon s’è vendicata al fine.

[Arietta]
Già son precipitati i bronzi, e i marmi
delle memorie dardane superbe,
e circondato sta d’arene, e erbe
un monte d’ossa, una miniera d’armi.

Ritornello

Recitativo
Fiumi di sangue son tutte le strade,
a’ sepolcri infiniti il suolo manca,
l’istessa morte si confessa stanca
dell’ira greca a seguitar le spade.
A te ritorna, o moglie del tonante,
Iride ancella tua con lieti avvisi,
il ferro, e ‘l foco ha i tuoi nemici uccisi,
disfatto è il regno del troiano amante.
O voi mortali, che con legge incerta
librate e premi, e pene ai buoni, e ai rei,
nel giudicar non offendete i dèi,
che tosto, o tardi la vendetta è certa.

Atto primo

Scena prima
Creusa, Enea, Acate, coro di Troiani, Ascanio.

[Coro]

CORO DI TROIANI
Armi Enea, diamo all’armi.

Recitativo

CREUSA
Enea non è più tempo
di stabilir speranze
su la punta alla spada.
Va la patria infelice
fornace di sé stessa
consumandosi in polve, e in faville
la disperata Troia
di reliquie disfatte
cumulo spaventoso
di ceneri confuse orribil monte,
tutte le glorie sue piange defonte.
È infruttuoso omai
il peso di quest’armi,
ma se pur tu confidi,
che l’elmo, e la lorica
possan contro il nemico oprar difese,
deh non partir Enea;
del decrepito Anchise
la canizie impotente,
l’afflitta età cadente
sian di tanta difesa i primi oggetti,
fa’ muro col tuo brando a nostri petti,
se tu parti, chi resta
a custodir dentro alle stanze nostre
il dolce Ascanio? o dio,
Ascanio il tuo, il mio,
il nostro unico figlio
chi salverà da morte, e da periglio?
Di me non parlo no, se ‘l figlio, e ‘l padre
non son forti catene
per trattenerti, o Enea,
che valerà Creusa,
o pregante, o piangente?
Se il titolo di moglie
alle viscere tue trova la strada,
per singhiozzarti le tue angosce al core,
ti prego non partir, ma con quest’armi
difendi Anchise, Ascanio, e tua consorte
dal ferro, dall’incendio, e dalla morte.

ENEA
Creusa ardon le mura,
l’alta città, che in Asia fu regina
ha votata di sangue ogni sua vena,
per empirla di fiamme,
e tu vuoi, che defraudi
del mio sangue la patria, e che non vada
l’anima mia con l’altre accumulata
a insignirsi di gloria,
ad eternare il lume a sua memoria?
Non vadan scompagnate
dalle ferite mie, da miei perigli
queste publiche stragi.
Le spade greche inebriate omai
del sangue del mio re di Priamo il grande
con un sorso del mio
sian testimoni veri,
che il sangue del vassallo
versò morendo gl’ultimi tributi

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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