La forza del destino

Opera in quattro atti

Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave

Fonti letterarie Don Álvaro o la Fuerza del sino di A. Saavedra, duca di Rivas.
Prima rappresentazione: 10 novembre 1862, Teatro Imperiale, San Pietroburgo.

Personaggi

Il Marchese Di Calatrava, Basso
Leonora,                                              Soprano
suoi figli,
Don Carlo di Vargas,                Baritono
Don Alvaro, Tenore
Preziosilla, giovane zingara, Mezzo-Soprano
Padre Guardiano,                                 Basso profondo
} Francescani,
Fra Melitone,                                        Baritono brillante
Curra, cameriera di Leonora, Mezzo-Soprano
Un Alcade, Basso
Mastro Trabuco, mulattiere, poi, rivendugliolo, Tenore
Un Chirurgo militare spagnuolo, Tenore
Coristi: Mulattieri, Peasani spagnuoli e italiani; Soldati spagnuoli e italiani d’ogni arma; Ordinanze relative; Reclute italiane; Frati Francescani; Poveri questuanti.
Coriste: Paesane e Vivandiere spagnuole ed italiane; Povere questuanti.
Ballo: Paesani, Paesane e Vivandiere spagnuole ed italiane; Soldati spagnuoli ed italiani.
Comparse: Oste, Ostessa; Servi d’osteria; Mulattieri, Soldati italiani e spagnuoli d’ogni arma; Tamburini; Trombe; Paesane e Fanciulli delle due nazioni; Saltimbanco; Venditori d’ogni specie.

Spagna e Italia.
Verso la metà del XVIII secolo.

Libretto – La forza del destino

Atto Primo
Scena I

Siviglia. Una sala tappezzata di damasco con ritratti di famiglia ed arme gentilzie, addobbata nello stile del secolo XVIII, però in cattivo stato. Di fronte, due finestre; quella a sinistra chiusa, l’altra a destra aperta e praticabile, dalla quale si vede un cielo purissimo, illuminato dalla luna, e cime d’alberi. Tra le finestre è un grande armadio chiuso, contenente vesti, biancherie, ecc. Ognuna delle pareti laterali ha due porte. La prima a destra dello spettatore è la comune; la seconda mette alla stanza di Curra. A sinistra in fondo è l’appartamento del Marchese, più presso al proscenio quello di Leonora. A mezza scena, alquanto a sinistra, è un tavolino coperto da tappeto di damasco, e sopra il medesimo una chitarra, vasi di fiori, due candelabri d’argento accesi con paralumi, sola luce che schiarirà la sala. Un seggiolone presso il tavolino; un mobile con sopra un oriuolo fra le due porte a destra; altro mobile sopra il quale è il ritratto tutta figura, del Marchese appoggiato alla parete sinistra. La sala sarà parapettata.
Il Marchese di Calatrava, con lume in mano, sta congendandosi da Donna Leonora preoccupata. Curra viene dalla sinistra.

MARCHESE: (abbracciandola con affetto)
Buona notte, mia figlia. Addio, diletta . . .
Aperto ancora è quel veron.
(Va a chiuderlo)

LEONORA: (fra sé)
Oh, angoscia!

MARCHESE:
Nulla dice il tuo amor?
Perché sì triste?

LEONORA:
Padre . . . signor . . .

MARCHESE:
La pura aura de’ campi
pace al tuo cor donava.
Fuggisti lo straniero di te indegno.
A me lascia la cura dell’avvenir;
nel padre tuo confida che t’ama tanto.

LEONORA:
Ah, padre!

MARCHESE:
Ebben, che t’ange? Non pianger.

LEONORA: (fra sé)
Oh, rimorso!

MARCHESE:
Ti lascio.

LEONORA: (gettandosi con effusione tra le braccia del padre)
Ah, padre mio!

MARCHESE:
Ti benedica il cielo.
Addio.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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