La prosperità di Elio Seiano

Dramma per musica

Libretto di Nicolò Minato
Musica di Antonio Sartorio

Prima esecuzione: gennaio 1667, Venezia, Teatro San Salvatore.

Intervenienti

TIBERIO imperatore baritono
Elio SEIANO favorito dell’imperatore contralto
LIVIA soprano
GERMANICO suo fratello soprano
AGRIPPINA soprano
Gaio CESARE soprano
LIGDO confidente di Elio Seiano tenore
PLANCINA vecchia, con Agrippina contralto
EUDEMO paggio, con Agrippina tenore
OMBRA DI DRUSO che fu marito di Livia e fu fatto avvelenar da Seiano altro

Coro di Soldati pretoriani. Coro di Servi. Coro di Damigelle. Coro di Cavalieri. Coro di Popolo. Coro di Paggi.

L’opera si rappresenta in Roma, e ne’ luoghi suburbani di essa.

Libretto – La prosperità di Elio Seiano

Serenissima altezza
L’ossequii del mio cuore, umiliato all’immensità del merito dell’a. v. ser., le grazie de’ suoi virtuosi fatte per felicitare l’armonie di questo dramma, e il beato motivo d’una nascente speranza di veder glorificata la mia penna con qualche comando di a. v. ser. sono le riverenti lusinghe, che affidano il mio ardire di coronar questi fogli con lo splendore infinito del di lei augustissimo nome. Si degni, che mentre giungono queste carte alle sue mani, si prostri il mio ossequio più divoto a’ suoi piedi, e conceda, che l’ombre delle debolezze del mio ingegno restino coperte sotto i fulgori, che il nome immortale dell’a. v. ser. imprimerà su la fronte di questo dramma.
Compatisca l’ardire con quella benignità ch’in essa ammirandosi, confonde le memorie de’ secoli, e insegna nuove meraviglie allo stupore; e si degni donarmi per un raggio delle sue grazie il titolo di suo servo, che non meno a’ suoi piedi, che su queste carte imprimo; sublimando la mia fortuna alla gloria di potermi pubblicare all’universo.

Di v. a. ser.
Umil. divot. e rev. serv.
Nicolò Minato
Di Venezia lì 15 gennaio 1667

Lettore
Eccomi a supplicarti ancora del tuo benigno compatimento alle mie debolezze. Già col Xerse, con l’Artemisia, l’Antioco, lo Scipione, il Muzio, il Seleuco, e il Pompeo, credo, che ti sii reso avvezzo a tollerarmi, mentre vedo la cortesissima continuazione delle tue grazie; le quali mi fanno sempre più bramare di servirti, professando io di farlo per ossequio, e per tributo di riverenza a’ tuoi favori. A questo dramma, nominato La prosperità di Seiano, doveva la sera immediatamente seguente vedersi l’altro intitolato La caduta di Seiano, ma per non ritardarti il godimento de gl’insigni virtuosi che v’intervengono, e il diletto della musica del signor Antonio Sartorio maestro di cappella del serenissimo di Bransvich, il quale ti farà stupire con l’armonia delle sue note, s’è voluto prevenire con questa, per farti poi in brevi giorni sentire anco l’altra composizione. So che le voci fato, destino, dèi, e simili saranno da te ricevute nel solito sentimento della favolosa antichità: essendoti noto, che per la cattolica fede sono pronto a spargere il sangue, come per servire al tuo diletto spargo gl’inchiostri. Compatisci: e vivi felice.

Argomento
Di quello che si ha dall’istoria.
Elio Seiano posto alla corte di Tiberio imperatore di Roma incontrò sì felice fortuna, che prima fatto capitano de’ pretoriani, fu poi arricchito dall’imperatore d’innumerevoli favori. Concorsero tra gli altri due casi felici per Seiano ad accrescergli la grazia di Tiberio: l’uno, che salvò la di lui statua nell’incendio del monte Celio, avendola intatta fatta ritirar dalle fiamme; l’altro che sedendo Tiberio sotto certo volto di grotta, o loggia, rovinando questo sopra Tiberio, vi si sottopose Seiano, e lo sostenne fin che fuggì senza offesa. Finalmente fatto vecchio Tiberio volendo partirsi di Roma lasciò in suo luogo nell’imperio Seiano. Questi però aveva sempre nutriti pessimi costumi sotto speciosa apparenza. Nel suo cuore avevano di continuo tenuto gran posto i pensieri d’arrivare all’impero: quindi fece morir d’occulto veleno Druso, ch’era marito di Livia, per facilitarsi e la strada al dominio, e la consecuzione degli amori di essa. Perseguitò Agrippina figlia di Vipsanio Agrippa, e Germanico di lei marito, a segno che questi morì di veleno, e se bene operato da Pisone, forse però non innocente di quella morte Seiano: Ita Cornelius Tacitus.
Di quello che si finge.
Sopra quest’istoria, abbandonando i funesti successi del veleno di Druso seguìto molt’anni prima, e allontanandosi da quello di Germanico, nel colmo della felicità di Seiano, non lasciando la proprietà istorica, nella qualità de’ sentimenti di ciascun personaggio, per intreccio del dramma si fingono li seguenti verisimili.
Che da Tiberio fosse stata destinata a Seiano per sposa Agrippina: e che, trovandosi questa nell’Armenia dove Vipsanio suo genitore comandava alle romane milizie, fosse stato mandato Germanico per levarla. Che poi arrivando vicino a Roma egli precorra con gl’avvisi, perché sia comandato l’incontro; ma che, lodandola molto Germanico, se ne ingelosisca Seiano, e ricusi d’accettarla, mosso anco a ciò dall’amore ch’a Livia fatta vedova di Druso egli portava: e indi ne divenga persecutore.
Che Livia non sapesse, che il marito Druso fosse caduto per opera di Seiano: piacendo all’autore occultar alla memoria ch’ella fosse conscia, anzi per indegna causa, compartecipe del delitto.
Che G. Cesare fratello d’Agrippina vivesse in Roma tenendo occulti i suoi natali per comando paterno, che fin da le fasce l’aveva finto smarrito per tenerlo celato a motivo d’auguri e oracoli d’Apollo. E che questo sia invaghito di Livia, la quale inclinando a Seiano, ricusi di corrispondere a Cesare.
In questo stato di cose si forma il dramma, nominato La prosperità di Seiano.

Atto primo

Scena prima
Sala reale.
Tiberio. Seiano. Coro di pretoriani. Ligdo domestico di Seiano.

SEIANO
Sostegno de l’impero,
splendor del Lazio, deità di Roma,
le pretorie coorti
reggi, modera, e doma.
Io de l’impero tuo,
or ch’i regni del mondo
con quelli delle sfere
teco Giove divide,
Tiberio non temer, farò l’Alcide.

TIBERIO
Voi conspicue falangi, eroiche schiere
del mio Seiano amato,
seguite la fortuna, amate il fato.

SEIANO
Non avran gl’imperi miei
sdegni rei,
ire torbide,
odio insano.

CORO
Viva viva Seiano.

SEIANO
Non alberga nel mio core
fier rigore,
cui si porgano
preghi invano.

CORO
Viva viva Seiano.

Scena seconda
Gaio Cesare. Tiberio. Seiano. Coro di Pretoriani. Ligdo.

CESARE
Cieca sorte
quanto innalzi quest’altero!
Ma incostante
non hai fede,
e un dì lo calcherai col nudo piede.

TIBERIO
Giovane generoso,
che gl’occulti natali
con la virtù crescente ogn’ora illustri,
spera giorni felici;
tutti de la milizia i gradi adempi,
e di Seiano mio segui gl’esempi.
(parte)

CESARE
Non sicuro sentiero,
Tiberio, mi dimostri. Io, cui son noti
i miei nobili esordi,
ancor ch’altrui saggia ragion gl’occulti,
con oprar non oscuro
dal genitor non tralignar procuro.
Tu m’assisti, e mi reggi;
le vie del tuo voler tu pur m’addita,
incompresa bontà, virtù infinita.
Tu mi salva, e proteggi,
auror del tutto, sempiterna vita,
incompresa bontà, virtù infinita.

Scena terza
Ligdo.
Voi, che con tanti lumi,
quante son le facelle, onde splendete,
a l’opre de’ mortali
indefesse vegliate, eterni cieli,
deh perché sovra i rei piovete il bene?
E gli innocenti poi lasciate in pene!
Ma de l’eterne menti
di penetrar gl’arcani
l’insano ardir onde giammai assumo?
Io, ch’un atomo sono, un’ombra, un fumo!
Quel ch’altrui rassembra gioia
forse è pena,
che dà noia;
e con faccia di martire
il gioire forse viene.
E invano la cagion saper presumo
io, ch’un atomo sono, un’ombra, un fumo.

Scena quarta
Germanico. Soldati.

GERMANICO
O felice chi non ama!
E non porta acceso il core
da l’ardore
del bendato
faretrato,
che gran nume il mondo chiama.
O felice chi non ama!
Di due labbra vezzosette
o ridenti, o dispettose
stan le rose,
d’ogni affetto
vuoto il petto
non le teme, o non le brama,
o felice chi non ama!

Scena quinta
Seiano. Suo corteggio. Germanico. Suoi soldati.

SEIANO
Germanico?

GERMANICO
Seiano?
Di Tiberio a’ comandi
da l’Armenia, ove Agrippa
a le romane legioni impera,
per tua sposa condussi
Agrippina sua prole,
centro de la bellezza, idea del sole.
Precorsi ad avvisarti:
or qual chiede il suo merto
pomposo incontro imponi,
mentre fra le sue tende,
vicino al monte Celio ella m’attende.
Il sol, ch’unito in un sol globo ardente
splende colà nel cielo,
bipartito in due rai
ne gli occhi suoi vedrai.
Al candor de la fronte,
al vermiglio del labbro,
cedon le rose, e i gigli onde s’infiora
la più vezzosa Aurora,
de la strada celeste
smalta il candido latte il puro seno,
e sul crin biondo, e vago,
con precipizi d’oro inonda il Tago.

SEIANO
Germanico, rimanti.

GERMANICO
Altro non dici?

SEIANO
Addio.

GERMANICO
Men scortese a uno scita
risponderesti, o a un barbaro numida.
De la sposa bramata
altro senso non hai? Se d’un nemico
t’esprimessi gl’encomi
più rigido, o insensato,
dimmi dì, partiresti?
Di Seiano son questi
i costumi sublimi, onde Tiberio
sì l’inalza, e l’onora?
Da l’uscio de l’Aurora
fino d’Atlante al mar
ricalca quanto sai
biondo rettor de’ rai
i corsi tuoi
più discortese cor mirar non puoi.
Caucasa rupe alpestre,
cui le vene indurò
borea co’ freddi venti
sian pur rigidi, algenti
i marmi tuoi,
sasso più duro mai produr non puoi.

Scena sesta
Tiberio. Poi Seiano. Guardie.

TIBERIO
Vive sempre un uom, che regna,
tra le guardie de’ sospetti
prigioniero del decoro.
Ha legati insin gli affetti,
cinto ogn’or di ceppi d’oro.
E si trova esposto sempre
a censura rigorosa
del malevolo plebeo;
e l’invidia dispettosa
cerca ogn’or di farlo reo.
Mesto se n’ vien Seiano;
che fia?

SEIANO
Signor con alma ingiusta,
Germanico la sposa
ch’a me conduce, adora. Io con tua pace
più signor non la voglio;
con encomi affettati, e lusinghieri
la lingua contumace
del cor acceso m’additò la face.

TIBERIO
Che mi narri?

SEIANO
L’altero
aspira a nozze; e forse,
con rubelli pensieri,
va disegnando imperi.

TIBERIO
Sempre audace ‘l conobbi.

SEIANO
I cenni tuoi?
L’onor de’ miei sponsali?
Il rispetto? la fede?
Nel temerario core
non frenaro l’ardore?

TIBERIO
Vanne: renderò vano ogni disegno.

SEIANO
(Il colpo che prefissi ha colto al segno.)

TIBERIO
Tanto più facili
sono a cader
quanto più s’ergono
di genio torbido
folli pensier:
tanto più facili
sono a cader.
Tanto più i fulmini
denno temer
quanto più inalzano
eccelse macchine
il volto altier:
tanto più fulmini
denno temer.

Scena settima
Livia. Germanico, Accompagnamento.

LIVIA
Non cessate
stelle irate,
di scherzar con noi mortali.
Son fatali
le cadute,
né resister vi può forza, o virtute.
Sordi cieli.
Si quereli
quanto sa mortal dolente,
ch’inclemente,
adirato
non può forza, o virtù placar il fato.
A Germanico avverso
gira sempre il destino
e con mutanze inopinate incerte
quant’egli opra di bene in mal converte.
Eccolo a punto.

GERMANICO
Livia,
quanto più, ch’io rifletto
al sentimento austero,
che Seiano mostrò, (qual ti narrai)
più confuso rimango
e meco stesso il mio destin compiango.

LIVIA
Reggano a lor talento
le stelle i sensi altrui,
opriam noi qual richiede
giusta innocenza; inviolabil fede.

Scena ottava
Ligdo. Germanico. Livia.

LIGDO
Tiberio questo foglio
a te signor, invia.

GERMANICO
Porgi.

LIVIA
Cieli che fia!

GERMANICO
(legge)
«Ove Agrippina attende
vanne e senza dimore,
tosto la riconduci al genitore.»
Che leggo mai?

LIVIA
Che sento!

GERMANICO
Ah Tiberio, ah Seiano!
In Armenia ad Agrippa
ricondurrò la figlia!
Ripudiata, e non veduta! O cieli!
Di sì eccelsa bellezza
così ingiusto rifiuto!
Ed io sarò ministro
d’opre così deformi?
Che potrò dir? Assentirò ad espormi
a l’ire, a le vendette
d’ingiuria irragionevole, indecente?
No, no: voglio più tosto
viver giorni mendichi,
abitator silvestre
o in arena deserta, o in balza alpestre.

LIVIA
Odi, ferma, se fuggi
diran, che d’Agrippina
con sinistri rapporti,
tu gli sprezzi inducesti,
tu a’ rifiuti movesti.

GERMANICO
Avvertenza prudente.

LIVIA
Cangia, cangia pensiero:
vattene, il tutto narra,
semplice esecutor, e messaggiero.

GERMANICO
Andrò: che fia giammai?
L’ambasciator, del prencipe è un’eco vivo;
replica le sue voci;
e chi sarà che de l’ingiurie altrui
voglia punir lo speco
perché nel sen loquace alberga un’eco?

Scena nona
Gaio Cesare. Livia.

CESARE
Livia! (Oh dio non m’arrischio.)
Livia.

LIVIA
Gaio che brami?

CESARE
Non so qual ne la fronte
nume t’alberghi, e deità risieda,
che con occulta forza
ad adorar i lumi tuoi mi sforza.

LIVIA
Cesare il genio tuo
qual debole bambin, ch’ancor vagisce,
tutto apprende per grande, e s’atterrisce.

CESARE
Eh se tu concedessi
un poco d’alimento
di cortese speranza al cor amante
tosto il bambino diverria gigante.

LIVIA
La speranza è una chimera
che ogni un fingere la sa;
ella nasce in ogni core,
chi la vuole sempre l’ha;
ella è un’ombra lusinghiera,
che il desio seguendo va.
La speranza è una chimera
che ogni un fingere la sa.
Un piacer è la speranza,
che ottenerlo ogni uno può,
a ciascun, che la pretende
ella mai non dice no.
Chi le presta fede intiera
consolato ogn’ora sta.
La speranza è una chimera
che ogni un fingere la sa.

CESARE
Così cruda mi lasci, e per mio danno
mi palesi, e m’insegni
che la speranza è un volontario inganno.
Picciol nume
di ferirmi puoi lasciar;
lo sperar
se mi fia vano
cessa di saettar cieco inumano.
Se la speme
che potrebbe consolar
il penar
pur mi deride,
lascia cor mio d’amar beltà ch’uccide.

Scena decima
Seiano. Poi Livia.

SEIANO
Se potesse il cor cessar
di seguire una beltà,
quand’è stanco di penar,
chiamerei felicità
il servire, e l’adorar.
Ma perché prefisso fu,
che chi misero cadé
in amor non sorge più,
un inferno dir si de’
l’amorosa servitù.
Ecco Livia: non so se gelosia
di Germanico, o pure
la beltà di costei
a escluder Agrippina
induca i sensi miei. Bella?

LIVIA
Seiano.

SEIANO
È possibile mio bene,
ch’il mio duol sia tuo contento,
tue delizie le mie pene,
tuo piacer il mio tormento?

LIVIA
Come poss’io, Seiano,
creder mai a le tue voci amorose,
se fin là da l’Armenia
vai cercando le spose.

SEIANO
Così volea Tiberio: e ben tu scorgi
al genitor delusa
ritornar Agrippina,
e a l’impero latin Livia vicina.

LIVIA
A l’impero latin? come Seiano?

SEIANO
Tiberio è già canuto: e tu non vedi
che tutto a mio favor il ciel dispone,
che mi seguon gli scettri, e le corone?

LIVIA
Sì ma esposto rimiro
a l’ire, a le vendette il mio germano.

SEIANO
Ti lascio: pensa, o Livia
con più elevato ingegno.
E metti in paragon fratello, e regno.

LIVIA
Chi su l’altrui ruine
i regni fabbricò,
cadé, precipitò.
A tutto il ciel sovrasta:
per viver lieto l’esser re non basta.
Chi con l’altrui cadute
alzarsi procurò
cadé, precipitò.
Chi nutre rei pensieri
viver contento lunghi dì non speri.

Scena undicesima
Villa deliziosa fuori di Roma con siti d’acque cadenti, confina col monte Celio.
Agrippina. Plancina nutrice.

AGRIPPINA
Fonti limpide, e chiare,
che con passi d’argento
per strade di smeraldi ite fuggendo,
anch’io fuggir amor da voi apprendo.
Come ‘l continuo corso
rende chiaro ‘l cristallo
de l’onda vostra che giamai s’oscura
così ‘l fuggir amor fa l’alma pura.

PLANCINA
Troppo omai differisce
Germanico il ritorno.

AGRIPPINA
Tardan forse il soggiorno
gl’apparati, e le pompe.

PLANCINA
Le gioie prolungate
riescono più grate.

AGRIPPINA
Sento però nel core
un palpitar confuso, ed indistinto
che mi par, fra sospiri
precursor di sventure, e di martiri.
Su la rota de la sorte
sorda, e cieca, ogn’uno sta,
né mai sa
quando fermi il corso abile
del legno instabile.
Adirate ogn’un, che nacque
le sue stelle ritrovò
né si può
mai saper, benché si preghino,
quando si pieghino.

PLANCINA
Agrippina
è vicina a lo sposo,
e riposo
non ritrova:
io per prova
ben l’intendo,
benché parli in frase oscura;
è un appetito sol de la natura?

Scena dodicesima
Germanico. Poi Agrippina, e Plancina.

GERMANICO
Chi ha nemica la fortuna
viver lieto mai non speri,
ogni gioia
si fa noia
sempr’avversa, ed importuna
la ritrovi a’ tuoi pensieri.
Quand’il crine altrui ritolse
usa poi costumi fieri.
Ogni bene
cangia in pene,
e tormenti solo aduna,
ove pria donò piaceri.

AGRIPPINA
Momenti più noiosi
non ebbi mai.

PLANCINA
Signora
egli è qui. Lieta, lieta.

AGRIPPINA
Parmi confuso, e mesto.
Germanico?

GERMANICO
Agrippina?

AGRIPPINA
Turbato i rassembri.
Che riporti? Favella.

GERMANICO
L’influenze maligne.
O l’incostanza umana.
Anzi sospetti, gelosie (confuso
non ritrovo il principio).

AGRIPPINA
Intesi, intesi.
Forse de le mie nozze
è pentito Seiano?
Parla; rispondi.

GERMANICO
A ricondurti al padre
m’invia Tiberio. I cieli
m’attestino qual sento
ira, confusion, pena, tormento.

PLANCINA
Sventurata ch’ascolto? Oh cieli! oh dèi!

AGRIPPINA
Io sprezzata così?
Io così vilipesa?
Mi ripudia Seiano?
Mi caccia Tiberio?
È mia colpa? È suo sdegno? O mio destino?
Tutto mi svela, dì.

GERMANICO
Con giuste lodi
spiegai le tue bellezze,
le ampliai, le descrissi
con nobil paragon di ciel, di sole.

PLANCINA
Sii tu pur benedetto.

GERMANICO
Mossero gelosia le mie parole.

PLANCINA
Vedi, vedi che sorte?

GERMANICO
Ei mi suppose amante. E già che puote
concepirmi infedele,
e s’indusse Tiberio
a credermi sleal; m’avesse almeno
tratta l’alma dal seno.
Se questa è reità, se quest’è colpa,
il colpevol io sono, io sono il reo;
fa venir chi m’uccida,
ch’il morir a’ tuoi piè mi fia trofeo.

AGRIPPINA
Sorgi: che sì crudel già non son io,
quant’è stolto Seiano.
Di te s’ingelosì? dunque il tuo merto
maggiore del suo confessa.
Che gelosia non nasce
di chi più vil si crede
in chi più degno si conosce. I’ certo
di Seiano i giudizi,
di Tiberio gl’assensi
stimar poco non oso.
Sarai dunque mio sposo,
che di questi imenei,
s’ei degno ti stimò, degno tu sei.

PLANCINA
Bene a fé, bene!

GERMANICO
Ferma Agrippina: questo
è un dar forza a i sospetti.

AGRIPPINA
È un vendicarsi
di chi li concepì.

GERMANICO
Ma farmi reo
di vile infedeltà.

AGRIPPINA
Falsa è l’accusa.

GERMANICO
Ma ch’il saprà?

AGRIPPINA
Gli dèi.

GERMANICO
E Roma, e ‘l mondo?

AGRIPPINA
Basta:
così risolsi; e di vibrato dardo
fermar il preso corso è più leggero,
che di donna cangiar fermo pensiero.

PLANCINA
Buon pro signor, addio.
A fé lo piglierei per sposo anch’io.

Scena tredicesima
Germanico.
Quanto meco tu scherzi iniqua sorte!
Quel ch’accettar non posso
cortese m’esibisci.
D’impossibili gioie
prodiga m’arricchisci
e perché maggior pena il mal mi rechi
tu m’avvicini al sol, e poi m’acciechi.
A gl’assalti di beltà
chi resiste
molto fa.
Qui consiste
la costanza, e la fortezza!
Ha più forza una bellezza
ch’un esercito non ha.
Chi resiste
molto fa.
Pur a i lacci d’un bel crin
sol chi vuole
cede al fin.
Se per Iole
a filar s’indusse Alcide,
de l’insania v’è chi ride;
che s’Amor è un dio bambin
sol chi vuole
cede al fin.

Scena quattordicesima
Plancina. Eudemo.

PLANCINA
Se le chiome
tempo avaro incanutì
tutti ancora non sopì
i pensieri del piacere;
chi mi parla di godere
mi discaccia ogni martir
e mi fa ringiovanir.
Non si perde
con i giorni la virtù,
solo acerbi in gioventù
sono i frutti de’ diletti,
ma si rendon più perfetti
se stagion li maturò,
chi no ‘l prova dir no ‘l può.

EUDEMO
T’inganni a fé se credi
persuader altrui
a far già mai rifiuto
di vaga treccia d’or per crin canuto.
Come vuoi tu ch’Amore,
ch’è tenero bambino,
alimentar si possa
sol di pelli rugose, e d’arid’ossa?

PLANCINA
Non son già qual tu credi
consunta da l’età,
ho qualche avanzo ancor di mia beltà.

EUDEMO
La femmina invecchiata
è un vestito all’antica,
ogn’uno lo ricusa,
è stato bello un dì ma più non s’usa.

PLANCINA
Ecco Agrippina: taci.

Scena quindicesima
Agrippina. Plancina. Eudemo. Poi Germanico.

AGRIPPINA
Lucide faci
ch’in cielo splendete;
piovete
serene
vezzosi splendori
ch’in sen del mio bene
diventino ardori.
Picciolo nume
quel dardo, che spezza
asprezza,
rigore,
se gloria tu brami
avventa in quel core,
fa pure ch’egli ami.

EUDEMO
Eccolo a fé.

AGRIPPINA
Germanico che pensi?

GERMANICO
A le mie pene acerbe.

AGRIPPINA
L’esser amato è pena?

GERMANICO
Oh dio, deh taci.

AGRIPPINA
M’aborrisci tu forse?

GERMANICO
Tolganlo i cieli.

AGRIPPINA
Adunque
segui ‘l mi’ amor.

GERMANICO
Non posso.

AGRIPPINA
Chi te ‘l vieta?

GERMANICO
La sorte.

AGRIPPINA
E ‘l tuo voler?

GERMANICO
È servo.

AGRIPPINA
Di chi?

GERMANICO
De la ragion.

AGRIPPINA
Chiedi a Tiberio
ch’a me ti doni.

GERMANICO
Chiederei la morte.

AGRIPPINA
Io ‘l chiederò.

GERMANICO
Tanto abbassar ti vuoi
a chi t’offende?

AGRIPPINA
Bellicosi acciari
saran le voci mie. Vattene a lui,
di’ che per vendicarmi
armerò queste genti.
E aggiunte a le mie forze
moverò le vicine,
desterò le lontane,
porrò catene al Tebro,
cingerò ‘l Campidoglio;
di Seian, di Tiberio
farò crollar l’orgoglio:
e solo por il freno
a’ marziali ardori
potrai tu con le nozze, e con gl’amori.

GERMANICO
Agrippina!

AGRIPPINA
Eseguisci.

GERMANICO
Deh raffrena lo sdegno,
in pace lascia gl’innocenti colli,
(si inginocchia)
e solo in me rivolto
l’impeto sfoga.

AGRIPPINA
Stolto
e l’error tuo non vedi?
Io t’offro ‘l seno, e tu vuoi starmi a’ piedi?

Scena sedicesima
Germanico, poi Plancina. Eudemo. Ligdo. Genti con tizzoni di fuoco in mano lieti d’averlo estinto.

GERMANICO
Volete così
mie nemiche deità.
Soffrirò,
tacerò,
fors’un dì si cangerà
quel destin, che m’agitò,
e benigno mi sarà.
Soffrirò,
tacerò.
Al fin cesserà
l’ostinato suo rigor.
Soffrirò,
tacerò
ne le pene, e nel dolor,
così forse vincerò
di mia sorte il rio tenor.
Soffrirò,
tacerò.
(parte)

LIGDO
Par che voli la fiamma
d’intorno al Celio monte
e sì viva s’apprese,
che con progressi immensi in picciol ora
opre di lungh’età strugge, e divora.
La statua di Tiberio
solo preme a Seiano.

CORO
A questa s’accorra
si salvi, si guardi,
e nulla si tardi.
(partono)
Si vede arder il monte.

PLANCINA E EUDEMO
Ahimè.

PLANCINA
Per lo timore
non so dov’io mi vada.

EUDEMO
Dov’io sia non discerno.

PLANCINA
Il monte Celio diventò l’inferno!

EUDEMO
Ma già cessa la fiamma,
parte chi l’ammorzò.

PLANCINA
Non ci fermiam qui, no.

EUDEMO
No, no, ch’a dir il vero
sei tant’arida, e secca
che se la fiamma ti s’appiccia intorno,
pria, ch’estinguer si possa,
t’abbrucia viva, viva insin su l’ossa.
Otto Persone con tizzoni di fuoco in mano fanno un ballo.

Atto secondo

Scena prima
Cortile in Roma.
Cesare. Livia.

CESARE
Io temo.

LIVIA
Io spero.

LIVIA E CESARE
Ma temo sperando,
ma spero temendo,
languisco godendo,
gioisco penando,
temer, e sperar
è tutto un languire,
è tutto un penar.

CESARE
Livia?

LIVIA
Cesare?

CESARE
Vano
sarà dunque il mio amore?

LIVIA
A due fiamme non basta un solo core!

CESARE
Ami dunque?

LIVIA
Seiano.

CESARE
Né per me v’è conforto?

LIVIA
Egli nel cor mi vive.

CESARE
(Ed io son morto.)
Dimmi, indurti a gl’affetti
d’uom sì torbido, altero
che può mai?

LIVIA
Quel ch’io spero.

CESARE
E di me, che sarà?

LIVIA
Chiedilo a’ cieli!

CESARE
T’adoro.

LIVIA
Or che vorresti?

CESARE
Amor.

LIVIA
Tardo ‘l chiedesti: ecco Seiano,
parti ch’ingelosirlo i’ non vorrei.

CESARE
Che miseria è la mia? pietade o dèi!

Scena seconda
Seiano. Livia. Cesare.

SEIANO
La rota instabile
cieca fortuna
fisse per me,
e in van rivolgerla
si crede a fé,
che più mutabile
ella non è.
Livia, di’? risolvesti
d’assentir a’ miei preghi?

CESARE
(Voglia ‘l ciel che lo neghi.)

LIVIA
Gradirti non poss’io,
se fautor non ti fai
di Germanico mio.

CESARE
(Or che dirà costui?)

SEIANO
Sarò di sue fortune
preservator fedele.

CESARE
(Ahi fiera sorte.)

LIVIA
Chi di ciò m’assicura?

SEIANO
Sopra la vita sua Seian lo giura.

CESARE
(Spergiuri d’amator il ciel non cura.
(parte)

LIVIA
Proteggi l’opre sue.

SEIANO
Sosterrò le sue parti.

LIVIA
Ed io d’amarti
non cesserò,
fin che spirito, e vita in seno avrò.

SEIANO
Dunque mio bene,
centro sarà
de le fortune mie la tua beltà.

LIVIA
Spera Seiano
felice amor,
esulti l’anima tua, festeggi ‘l cor.

SEIANO
Meta beata
de’ miei desir:
alberga nel tuo seno il mio gioir.

Scena terza
Tiberio. Seiano.

TIBERIO
Mio Seiano gradito,
lascia ch’al sen ti stringa,
e che gl’obblighi miei
con le stesse tue braccia al cor mi cinga.

SEIANO
Signor di debil servo
l’umiltà troppo esalti, e troppo onori.

TIBERIO
Del Celio il vasto incendio
a cui l’effigie mia sottrar facesti
gran motivi ti diede
d’illustrar la tua fede.
Onde per segno espresso,
che nel merto crescendo ogn’ora vai,
compagno dell’impero a me sarai.

SEIANO
Signor gl’uffici imiti
del luminoso nume,
e con egual costume;
mentre gl’ossequi miei di rai circondi
la luce a l’ombre in sen spargi, e diffondi.

TIBERIO
Ma Germanico giunge,
vediam ciò ch’ei riporti.

SEIANO
Come Agrippina tollerò i suoi torti!

Scena quarta
Germanico. Tiberio. Seiano.

GERMANICO
Signor torno a’ tuoi piedi.

TIBERIO
Agrippina che fa?

GERMANICO
Nel suo sembiante
vidi belve nemee,
ircane tigri, barbari leoni,
arpie, cerberi, furie.

SEIANO
E torni vivo!

GERMANICO
Fu grand’il rischio.

SEIANO
E come
s’uniro belve, arpie, cerberi, e furie
con le rose, co’ i gigli
con un sol così vago,
con il candor del ciel, con l’or del Tago?

GERMANICO
Ogni beltà più fulgida, e più pura
nembo di sdegno oscura.

TIBERIO
Ma che fece? partì?

GERMANICO
Vestita d’armi
sì che rassembra a punto
una Venere armata,
o da Gradivo un mascherato Amore,
vibra lampi di sdegno, e di furore.
Suscita le sue genti
a l’ire, a le vendette,
e di lucido acciar cinta la chioma
d’improvviso minaccia il Tebro, e Roma.

TIBERIO
Sì crudel? sì feroce?

GERMANICO
A l’armi avvezza
vestì ne’ teneri anni elmi, e lorica;
la seguon numerose
varie genti pompose,
queste in falangi ostili ella converte,
minacciando ire espresse, e guerre aperte!

SEIANO
Sbarbicar dal terreno
convien pianta nociva
pria ch’i rami distenda.

TIBERIO
Or dunque; prendi
le schiere preparate
per flagellar con l’armi
la Pannon ia superba, e tosto opponiti,
con guerra repentina,
a l’ire d’Agrippina.

SEIANO
Sovvengati la fede
a la patria dovuta,
va’ combatti, trionfa
e torna vincitor di palme cinto,
se la Venere armata,
s’il mascherato Amor già non t’ha vinto.

Scena quinta
Germanico.
S’in odio m’avete,
o cieli
crudeli,
almen m’uccidete;
sul misero crine
di fulmini ardenti,
tempeste cadenti,
perché non sciogliete,
s’in odio m’avete?
S’aver fé mi fate,
o stelle
rubelle,
almen m’uccidete!
A tormi la vita
con ire letali
le parche fatali,
perché non movete,
s’in odio m’avete?

Scena sesta
Livia. Germanico.

LIVIA
O dolci ferite
mi fate languir:
e pur m’aggradite
col farmi morir,
tra’ mesti sospiri
mi sento cader,
e pur tra’ martiri
io trovo piacer.
Germanico? esponesti
a Tiberio a Seiano
gli sdegni d’Agrippina,
gli assalti che minaccia,
le guerre, che destina?

GERMANICO
Sì.

LIVIA
Che ti disse?

GERMANICO
Capitan m’elesse
contro di lei.

LIVIA
Ch’ascolto!

GERMANICO
Mira in qual labirinto
misero son involto! E quai, se vinco,
de le vittorie mie saran le spoglie?
Condur cattiva in Roma
chi mi s’offre per moglie? E s’io son vinto
col danno de la patria
andrà congiunto il mio,
e potrà forse la calunnia altrui
di fellonia notarmi.
Or vedi, ferità di ciel tiranno,
il vincer o ‘l cader m’è sempre danno.

LIVIA
Ne l’angustie più gravi
la virtù si cimenta.
Le lusinghe del senso, e del desio
supera, vinci; e segui
il destin, che ti chiama,
o a la morte, o a la fama.

GERMANICO
Per sentier generoso
seguirò l’orme illustri,
di lealtà, di fede.
Pur che nulla s’adombri
la nobiltà de l’alma il resto pera.
Sì, sì dunque m’invio
dov’il destin mi chiama,
o a la morte, o a la fama.

LIVIA
A la forza de le stelle
ben resistere si può;
ma ‘l mortal ben spesso imbelle
via d’ostarli non trovò.
Può ‘l saggio, e ‘l forte
vincer le stelle, e dominar la sorte.
Violenti i moti loro
i pianeti non han già,
il mortal, per suo decoro,
incolpando il fato va.
Può ‘l saggio, e ‘l forte
vincer le stelle, e dominar la sorte.

Scena settima
Seiano. Livia. Ligdo.

SEIANO
Idolo mio!

LIVIA
Le voci
non rispondono a l’opre.

SEIANO
Perché?

LIVIA
Lasci Germanico di Marte
esposto a l’ire armate.

SEIANO
Le vittorie sperate
cresceranno i suoi merti.

LIVIA
Son del nume guerrier gli eventi incerti.

SEIANO
Contro femmina imbelle
è certa la vittoria.

LIVIA
Il cimento è maggior, minor la gloria.

SEIANO
A le più scelte coppie
aggiungerò guerrieri,
ond’i trionfi suoi più certi speri.
Amerai
chi t’adora?
Dimmi un sì.

LIVIA
Non posso ancora.
Cor dolente
non dà loco
di Cupido al dolce foco,
a la fiamma lusinghiera.

SEIANO
Spera, spera,
che d’allori
cinto ‘l crine tornerà.

LIVIA
Gioirà,
se ciò fia,
l’alma mia.

SEIANO
Cessa dunque
d’esser fiera.

LIVIA
Spera, spera.

SEIANO
Ma tra tanto
più languire
tu mi fai.
Amerai
chi t’adora?
Dimmi un sì.

LIVIA
Non posso ancora.
(parte)

SEIANO
Che sofferenza! Oppresso
Germanico vedrò: ch’a la mia speme
d’arrivar a’ diademi
ostacolo sì forte
è troppo periglioso.
Livia s’inganni pur, con forma aperta,
che chi finger non sa, regnar non merta.

LIGDO
Quanti sono ch’oggidì
fan così.
Molte paion cortesie,
né son altro che bugie.
Più trattar con verità
non si sa.
Quest’usanza già fiorisce
s’accarezza, e si tradisce.

Scena ottava
Campagna deliziosa fuori di Roma.
Agrippina vestita d’armi. Plancina. Eudemo.

AGRIPPINA
Bambino ch’è nudo,
d’eserciti ignaro,
mi veste d’acciaro,
mi porge lo scudo.
Di sdegno guerriero
irato furore
m’accende nel core
il picciolo arciere.

EUDEMO
Contro di noi, signora,
un esercito invia
adirato Tiberio:
e già, già s’avvicina.

PLANCINA
Siam perduti Agrippina.

AGRIPPINA
Come sì d’improvviso
ebbe pronte le schiere?

EUDEMO
Erano mosse
ver la Pannonia.

AGRIPPINA
Tosto
opporrò le mie genti,
l’avvantaggio del sito,
l’armi più forti, e forse
le milizie più esperte,
e unito a la ragion desio di gloria
ci daran la vittoria

EUDEMO
Solo a stupor m’induce,
che de l’armi latine
è Germanico il duce.

AGRIPPINA
Germanico?

PLANCINA
Che narri?

AGRIPPINA
Contro di me? Strano destin.

PLANCINA
Che pensa?
Che farà?

EUDEMO
Dunque pure
Germanico la sdegna.

PLANCINA
Eh se di sposi
v’è tanta carestia
Roma non fa per me in fede mia.

AGRIPPINA
O là: candide insegne
s’espongan tosto. Voi
a Germanico andate,
ditegli che sospendo
l’armi, e con lui di favellar attendo.

EUDEMO
Ubbidita sarai.

PLANCINA
Più strani eventi non s’udir giamai.

AGRIPPINA
Fier contrasto
nel mio core
fa vendetta
con amore.
E s’affretta
di vedermi ogn’un sua preda,
pur convien ch’un d’essi ceda.
Nel mio seno
del lor foco
ambi armati
son entrati
e fra poco,
bench’ogn’un di vincer creda,
converrà, ch’un d’essi ceda.

Scena nona
Eudemo. Germanico. Agrippina. Plancina.

EUDEMO
Germanico signora
giunge a’ tuoi cenni.

PLANCINA
Che dirà giamai?

AGRIPPINA
S’ascolti. (De l’alma
si turba la pace,
si scuote la calma.)
Germanico?

GERMANICO
Agrippina.

AGRIPPINA
Tu d’armate falangi
duce contro di me?

GERMANICO
Che far poss’io,
s’il destin m’è nemico?

AGRIPPINA
Che pretendi?

GERMANICO
Lo chiedi
al mio fato.

AGRIPPINA
Assalirmi?
Le genti debellarmi?
O vincermi, o fugarmi?
Tutto facesti omai: cedo; son vinta,
verrò se ‘l chiedi prigioniera, e serva
partirò, se l’imponi;
sarò qual più t’aggrada,
e fuggitiva, e preda.
L’opre del tuo poter Tiberio veda.

GERMANICO
Dunque cedi a l’impresa?

AGRIPPINA
Per non recarti offesa.

GERMANICO
Partiran le tue genti?

AGRIPPINA
A un tuo cenno, in momenti.

GERMANICO
L’ira s’estinse?

AGRIPPINA
Cade ogni furore.

GERMANICO
Terminaro gli sdegni?

AGRIPPINA
Ha vinto amore.

GERMANICO
Vanne dunque: e gli dèi
ti siano amici.

AGRIPPINA
E parti
così, rigido ingrato!
Tu fra le regie nato
non già no: ma tra i boschi, e su le balze
più gelide, più strane
avesti il latte da le tigri ircane.

GERMANICO
A fronte de le schiere
in grado di nemico
dimmi Agrippina, oh dio,
con lusinghe d’amor parlar poss’io?

AGRIPPINA
Vieni a le tende.

GERMANICO
Lo saprà Tiberio,
la mia fede s’oscura,
la lealtà s’offende.

AGRIPPINA
Ormai m’annoia
la stolida viltà, l’asprezza austera,
che con titoli illustri
di lealtà, di fé coprir procuri.
Torna fastoso a Roma.
Per non sdegnar Tiberio
pregiudica a te stesso,
vilipendi Agrippina. Anch’io mi parto,
e a l’Armenia m’invio,
per più non rimirarti. Ingrato, addio.

GERMANICO
Fermati, oh dio, pubblicherò che t’amo
a Tiberio, a Seiano, a Roma, al mondo.

AGRIPPINA
Ne’ favor di fortuna
tosto il ben si disperde,
e chi perde un istante il tutto perde.

PLANCINA
Ah, ah ti spiace eh?
A fé ti credo, a fé,
che sì buona vivanda,
sì facilmente amor altrui non manda.

EUDEMO
Speranza più non v’è,
a fé tu merti, a fé,
sempre in continue brame
de’ piaceri d’amor languir di fame.

Scena decima
Germanico.
La vita che giova,
se non a penar!
Con volo rapace
la gioia fugace
nascendo dispar,
il mal si ritrova,
il ben non appar.
La vita che giova,
se non a penar!
Speranza fallace
sol usa ingannar,
di cauto mortale
prudenza non vale
i colpi a schivar.
Ch’il fato riprova
l’umano sperar,
la vita che giova,
se non a penar!

Scena undicesima
Agrippina. Germanico.

AGRIPPINA
Tu non parti? che fai?

GERMANICO
Cerco ‘l mio core
che qui perdei.

AGRIPPINA
Tiberio
saprà queste dimore,
adirar lo farai.

GERMANICO
Al mio dolente cor non crescer guai.

AGRIPPINA
Al tuo cor? Se non l’hai, che qui ‘l perdesti!

GERMANICO
Non ho cor per gioire,
ben ho cor per languire.

AGRIPPINA
Non più: vanne, ch’in faccia a le tue schiere
in grado di nemico,
di lusinghiero amor parlar non déi.

GERMANICO
(Lasso troppo cadei.)
Parto sì.

AGRIPPINA
Che farai?

GERMANICO
Quanto concede
a la forza d’amor onore, e fede.

AGRIPPINA
Da le fiamme de lo sdegno
nacque amore
nel mio core,
e s’avanza a sì gran segno,
che son fatta a poco a poco
tutta fiamma, e tutta foco;
e non so
quando più l’estinguerò.
Era fiamma di vendetta
quell’affetto
che nel petto
m’avvampò con tanta fretta,
ma cangiossi a poco a poco
quella fiamma in alto foco.
E non so
quando mai l’estinguerò.

Scena dodicesima
Giardino in Roma.
Livia. G. Cesare.

LIVIA
Ho pietà del tuo duolo.

CESARE
Or perché mi tormenti?

LIVIA
Io?

CESARE
Sì.

LIVIA
Come?

CESARE
Prigionier mi tieni.

LIVIA
Libertà ti concedo.

CESARE
Mi dai ciò, ch’io non chiedo.

LIVIA
Dunque incolpa te stesso.

CESARE
Accuso te, che mi legasti.

LIVIA
Credi,
Cesare, che t’inganni.

CESARE
Sono i tuoi crini d’or i miei tiranni.

LIVIA
S’amor tolse l’auree fila
da’ miei crini, e ti legò,
li rubò,
ch’io nulla so.
E t’inganna, e teco finge,
spezza il nodo, che ti stringe.
S’ei ti dice che lo strale
da’ miei lumi pur uscì,
lo rapì,
quando ferì.
E t’inganna, e teco finge,
spezza il nodo, che ti stringe.
(parte)

CESARE
Che fate voi con me
speranze vane?
Inumane dispietate
son armate di fierezze
le bellezze ch’adorate.
Se d’aita, e di pietate
loco alcuno più non v’è,
che fate voi con me?
Non albergate più
dentr’il mio core,
ogni ardore cessi pure:
se sicure voi non sete,
né potete a le punture
de l’acerbe mie sventure
aver punto di mercé,
che fate voi con me?

Scena tredicesima
Tiberio. Seiano. Ligdo.

TIBERIO
Sì, sì fuori di Roma,
e lungi dal comando
bramo condur i miei canuti giorni;
lo scettro vuol depor la stanca mano.
E le mie veci sosterrà Seiano.

SEIANO
De l’impero latino,
benché assente sia tu, l’alma sarai.
Così ‘l sol vago, e biondo,
sia lontan quanto vuol, dà vita al mondo.

TIBERIO
L’Atlante mio sarai.

SEIANO
Pur ch’io non sia ‘l Fetonte,
ch’inesperto cadé dal carro aurato.

TIBERIO
Troppo Seiano amato
il paragon disdice.

SEIANO
Sempre più dée temer chi è più felice!

TIBERIO
La fortuna dispettosa
cede al fin alla virtù.
Quanto quella è più noiosa,
tanto questa è forte più.
Inimica rigorosa
l’una e l’altra sempre fu,
ma fortuna dispettosa
cede al fin alla virtù.

SEIANO
Ferma signor, ch’a noi
Germanico se n’ viene.

Scena quattordicesima
Germanico. Livia. Seiano. Tiberio.

GERMANICO
Le picciole arene
sì non scuote
vento irato,
quanto me bersaglia il fato!

LIVIA
Ecco Tiberio.

GERMANICO
A te signor m’inchino.

TIBERIO
Così tosto ritorni?

GERMANICO
Ali mi diede
il contento, e la gioia.
A l’apparir, signor, de le tue genti,
al lampeggiar de l’armi,
ed a lo stender sol l’aquile a i venti,
abbagliata, atterrita
cesse Agrippina, ritirò le schiere:
parte, si dà per vinta, altro non chiede,
ed io questi trofei porto al tuo piede.

TIBERIO
Or la tua fé conosco;
al tuo merito applaudo,
e contento t’abbraccio.

LIVIA
Lieta respiro.

SEIANO
Ed io già son di ghiacci.

TIBERIO
Chiedi ciò che t’aggrada: a’ merti tuoi
nulla sia, che si neghi.

GERMANICO
(Adesso è tempo.)
Già che Seian ricusa
le nozze d’Agrippina.

SEIANO
(Ah ah l’intendo.)

GERMANICO
A me signor concedi
ch’io le ottenga.

LIVIA
(Dimanda inopportuna!)

SEIANO
Che ti dissi? Ora vedi
s’i sospetti son certi.

TIBERIO
Le nozze d’Agrippina! Ah ben comprendo
gl’affettati concerti,
resti prigion l’infido…
Le colpe son patenti,
l’infedeltà sicura,
l’ingiuria manifesta.

LIVIA
Oh dèi, che sento?

TIBERIO
E l’istessa vittoria è un tradimento.

SEIANO
Vieni, vieni; lo sdegno
di Tiberio placar ambi cerchiamo.

LIVIA
Così ‘l fato ci arrida.

SEIANO
Livia, Livia adorata in me confida.

Scena quindicesima
Germanico.
Perché quand’apersi
a l’aure vitali
le labbra infelici,
non erano aspersi
di fiati letali
i giorni nemici
per farmi perir?
Che d’un lungo penar meglio è ‘l morir.
S’ogn’ora stancarmi
con aspri tormenti
la sorte dovea
più tosto negarmi
i primi alimenti
benigna potea,
e farmi perir,
che d’un lungo penar meglio è ‘l morir.

Scena sedicesima
Ligdo. Gaio Cesare.

LIGDO
Così afflitto? per che?

CESARE
Livia m’aborre.

LIGDO
Par che tutto a contrario
influiscan le stelle.
Germanico è depresso,
e da sorte serena
inalzato Seiano.

CESARE
E Gaio pena.

LIGDO
La turba adulatrice
che se n’ va con l’applauso,
quasi legno su l’onde
ove l’aura la spinge,
né sa ch’il vento stesso
che lo vezzeggia un dì, l’altro lo frange,
danza, ride, e festeggia.

CESARE
E Gaio piange.
Amor se tra gli dèi
che son tutta bontà
lurco pur hai,
perché senza pietà,
uno spirto infernal chiamar ti fai?
Se pur sei dolce nodo
che l’alme sai legar,
deh perché poi,
facendo altrui penar,
uno spirto infernal mostrar ti vuoi?

LIGDO
Lieto stuolo danzando,
e Seiano acclamando,
veggio venir: io parto,
che sapendo i suoi falli, e le sue colpe,
parmi sempre veder qualche sventura.
Quest’è un seren d’april, che poco dura.
Vengono 8 Servi facendo un ballo.

Atto terzo

Scena prima
Stanze reali.
Agrippina in abito di pellegrina. Plancina. Eudemo.

AGRIPPINA
Vendetta, e amore,
de l’alma tiranni,
inducono il core
a tesser inganni.
Tu cieco, bendato
facilita i modi,
al fine bramato
seconda le frodi.

PLANCINA
Nisa, vuoi ch’io ti chiami
principessa di Cipro?

AGRIPPINA
Sì che Roma
più non mi vide.

PLANCINA
No: ma s’io mi scordo,
o del nome, o del loco
sarà finito il gioco.

AGRIPPINA
Vedi pur che non erri.

PLANCINA
E s’Agrippina
dicessi alcuna volta
riditi pur di me; di’ ch’io son stolta.

AGRIPPINA
Parla poco.

PLANCINA
A fé questa è risoluta,
fingerò d’esser muta.

EUDEMO
Queste appunto signora
son di Livia le stanze; ella se ‘n viene.

AGRIPPINA
Ch’io son Nisa dicesti.

EUDEMO
Sì sì, nulla temer, tutto va bene.

Scena seconda
Livia. Agrippina. Eudemo. Plancina.

LIVIA
Principessa t’inchino. E qual già mai
fortunata mia sorte
queste grazie mi porge?

AGRIPPINA
Livia il tuo fato illustre
a ogni merto ti scorge.
Io da le patrie mura
al tempio eccelso del guerriero dio
supplice peregrina
per mio voto m’invio.
Promisi a gl’alti numi
di procurar la libertà bramata
di qualunque trovassi
ove farò passaggio
viver prigion per non indegna causa.
Tale mi fu supposto un tuo germano,
vuò cercar se m’avviene
di sottrarlo a i legami, a le catene.

PLANCINA
O come finge bene!

LIVIA
Principessa ti scorge il giusto cielo
ad opra sì cortese.
Un suo nobile amor prigion lo rese!

AGRIPPINA
Tutto esposto mi fu.

LIVIA
Ma vien appunto
con Seiano Tiberio.

AGRIPPINA
Quest’è Seiano?

LIVIA
Sì.

PLANCINA
Bizzarro incontro.

AGRIPPINA
(Mi s’accendono l’ire.)

EUDEMO
Stiamo pure ad udire.

Scena terza
Tiberio. Seiano. Agrippina. Livia. Eudemo. Plancina.

TIBERIO
Chi è costei?

SEIANO
Com’è vaga!
Scesa par da le sfere.

AGRIPPINA
Invitto Augusto,
Nisa di Cipro umile a te s’inchina.

TIBERIO
Eccelsa peregrina,
principessa sublime,
ove così t’invii?

AGRIPPINA
Per certo voto
al tempio di Gradivo.

TIBERIO
Sia felice l’arrivo; e il Tebro esulti
del suo metto arricchito.

SEIANO
(Da quei rai son ferito.)

AGRIPPINA
Dei prigion non vili,
né rei di colpe indegne,
ch’ove m’invio ritrovo,
chieder la libertà promisi a’ numi;
il germano di Livia
perciò supplico in dono.
E s’è troppo il desio,
scusa la qualità del voto mio.

SEIANO
Strana richiesta!

TIBERIO
Nulla a te si neghi.
Libero sia.

AGRIPPINA
Ne l’alma
con memoria fedele
registrerò i favori.

SEIANO
(Fatt’è il mio seno un Mongibel d’ardori.)

LIVIA
A ringraziarti non ho cor che basti.

AGRIPPINA
Andrò signor con Livia.

TIBERIO
A tuo piacere
vanne, e la regia mia
co’ tuoi soggiorni onora.

SEIANO
(O come di repente il cor l’adora!)

AGRIPPINA
Non è questi Seiano?

SEIANO
E sia felice,
s’a te servir gli lice.

AGRIPPINA
M’è caro di vederti.

SEIANO
Vedi un adorator de’ tuoi gran merti.

AGRIPPINA
Io ti devo, Seiano,
oblighi, che non sai.
(Egli ad amarmi a fé comincia omai.)

Scena quarta
Seiano. Tiberio.

SEIANO
(E quai Nisa mi deve
oblighi ignoti?) Se per te signore
de l’intere province
fui pronto a espormi a gli odi,
a non curar fortune,
a tributar il sangue, a dar la vita,
or ti chieggo mercé. Le nozze mie
fa’ procurar con Nisa:
l’alma mi fu divisa
dal sen co’ lampi di que’ lumi ond’ardo,
e a far l’ufficio d’alma entrò uno sguardo.

TIBERIO
Poco chiedi Seiano:
tutto oprerò per compiacerti, e credi,
che de l’anima mia,
se divisibil fatta
l’avessero gli dèi,
la metà volentieri a te darei.

Scena quinta
Germanico. Tiberio. Seiano.

GERMANICO
Signor grazie ti rendo,
che libertà mi dai;
ogn’or fido m’avesti, e ogn’or m’avrai.

TIBERIO
A Nisa il tutto devi.

GERMANICO
A chi?

TIBERIO
Di Cipro
a l’alta principessa.

GERMANICO
Come?

TIBERIO
Sol essa in libertà ti torna,
e, già, ch’ella soggiorna
con Livia tua, per emendar l’errore
in cui cadesti già, proponi a lei
di Seian gl’imenei.
Opra con lealtà: digli ch’ei l’ama,
ch’il senato gl’applaude,
Tiberio li desìa, Roma li acclama.

GERMANICO
Ubbidirò a’ tuoi cenni.

TIBERIO
Vanne, e se trovi in lei fulgide faci
a i rai chiudi le luci, e ti rammenta
che se farfalla fugge
da gl’incendi del lume,
un’altra volta poi s’arde le piume.

SEIANO
Tiberio sei de le mie gioie il nume.

Scena sesta
Germanico.
Dunque, io misero deggio
altrui condir le mense, e star digiuno?
Tanto cielo importuno
contro me d’ira freme?
Perdo, perdo Agrippina, e ‘l cor insieme.
Ove sete
furie cerberi,
deh correte,
laceratemi,
che a chi vive
in pena infinita
è pietà singolar toglier la vita.
Deh troncate
del mio vivere
parche irate
l’ore misere,
ch’a chi langue
in pena infinita
è pietà singolar toglier la vita.

Scena settima
Agrippina. Germanico. Plancina.

AGRIPPINA
Cessate sospiri
fermatevi un poco
a la speme che se n’ viene
le mie pene
danno loco;
si ritirano i martiri,
fermatevi un poco,
cessate sospiri.

GERMANICO
(Germanico che miri?)

AGRIPPINA
Tormenti partite
lasciatemi in pace;
per uscir da’ suoi affanni
usa inganni
cor sagace,
e risana le ferite.
Lasciatemi in pace,
tormenti partite.

GERMANICO
(Occhi no, non mentite.)

GERMANICO
(Sì sì ch’è dessa.) E come
Agrippina tu in Roma? In queste spoglie?

AGRIPPINA
Che Agrippina?

GERMANICO
Mia luce.

PLANCINA
O quest’è bella.

GERMANICO
Da l’insolite spoglie
la beltà, che m’accese, ah ben traluce.

AGRIPPINA
Tu deliri. Chi sei? più non ti vidi.

PLANCINA
(Io scoppio da le risa.)

GERMANICO
S’a uccidermi venisti
dillo, ch’al tuo rigore
esporrò volontario e l’alma e ‘l core.

AGRIPPINA
Di’, chi sei?

GERMANICO
Sì deforme
son reso a l’occhi tuoi,
che Germanico, oh dio, più non conosci?

AGRIPPINA
Tu Germanico? a fé dunque vaneggi.
Principessa di Cipro
Nisa son io che libertà impetrai
da Tiberio per te.

GERMANICO
(Sogno o son desto?)
Mia vita.

AGRIPPINA
Che ardimento.

GERMANICO
In odio forse
il tuo amor s’è rivolto?

AGRIPPINA
Io non ti vidi più; va’ che sei stolto.

GERMANICO
Plancina?

PLANCINA
Che Plancina.

GERMANICO
Digli, ch’io ben ravviso
l’adorato suo volto.

PLANCINA
Io non ti vidi più; va’ che sei stolto.

Scena ottava
Germanico.
Sono pur suoi quei lumi,
è pur sua quella voce; e se mentirmi
potesse il ciglio, e ‘l labbro,
già non m’inganna il core,
che conosce il su’ ardore.
Ma s’ella ‘l nega, s’a Tiberio, a Roma
si palesa per Nisa,
esser non può Agrippina; un altro volto
avrà prodotto il fato
simile a quel di lei per più schernirmi.
Non so ciò ch’io mi creda.
O larve insussistenti
son quelle ch’io miro,
o ch’io schernito sono, o che deliro.
È un Anteo mia sorte ingrata;
più che vinta, e superata,
dal poter di mia costanza
cade a terra,
più risorge, e mi fa guerra.
Di rapido torrente
ell’un impeto corrente,
cui de gl’argini ‘l riparo
giova poco,
cresce, e rompe in altro loco.

Scena nona
Luogo delizioso con logge.
G. Cesare. Livia.

CESARE
Apri le luci amor,
la benda sciogliti,
il mio fiero dolor
a mirar volgiti.
E con un stral pungente
la mia bella crudel rendi clemente.
Stempra, Cupido, il gel
ch’indura l’anima
de la beltà crudel,
ch’il sen m’esanima.
E con la face ardente
il suo rigido sen rendi clemente.
Seian Nisa pretende,
potrà Livia esser mia; lieto mio core,
ella è qui. Dolce amore
che farai, se di Nisa
sarà sposo Seiano?

LIVIA
Odierò l’inumano.

CESARE
De la Psiche di Cipro
s’egli farà il Cupido?

LIVIA
Aborrirò l’infido.

CESARE
Il mio amor gradirai?

LIVIA
Ben sperar lo potrai.

CESARE
Così parto contento.
Basta questo alimento
a un’eterna costanza.
Val per mille tormenti una speranza.

LIVIA
È pur grave martir essere amante!
Ogn’ora si pena,
si mette in catena la libertà;
il core si dà
e più volte a un incostante.
È pur grave martir essere amante!
Si langue, si more;
e spesso al rigore di poca beltà
servendo si sta
e più volte a un incostante.
È pur grave martir essere amante!

Scena decima
Seiano. Tiberio. Genti.

SEIANO
Belle luci in un momento
mi rapiste il cor dal sen.
È pur dolce quel velen
che ne l’alma già mi sento.
Mi rapiste il cor dal sen,
belle luci in un momento.
Vaghi lumi in un istante
nel mio petto amor volò,
né fin or m’avveggio ben
se dà gioia o pur tormento.
Mi rapiste il cor dal sen
vaghi lumi in un momento.

TIBERIO
Seiano?

SEIANO
Mio signor?

TIBERIO
Come improvvisa
ti fece prigioniero
la bellezza di Nisa?

SEIANO
Opra in momenti la virtù efficace.

TIBERIO
Io ch’al tempo fugace
cessi già
la bionda età,
d’un incendio sì repente
sono esente.

SEIANO
Ahimè.

TIBERIO
Cieli aita, aita.
Cade un volto di loggia sotto la quale si trova Tiberio. Seiano si sottopone, e lo sostenta fin che Tiberio esce salvo.

SEIANO
Fuggi Tiberio, fuggi
pria che tu resti oppresso,
Seiano alle ruine offre sé stesso.
Poi esce non offeso anco Seiano.

TIBERIO
O stupor? Salvo sei?

SEIANO
Col favor degli dèi.

TIBERIO
Questi giorni di vita
che preservasti con valor sovrano
sono tuoi, non son miei.
Io più non vivo a me, vivo a Seiano.

SEIANO
Or m’è cara la vita,
ché per te la sprezzai.

TIBERIO
In avvenir a Roma
tu Tiberio sarai.
Ed è ben giusto sì, con cambi degni,
che s’io vivo per te, tu per me regni:
prendi.
Tiberio dà lo scettro a Seiano.

SEIANO
Signore il peso
dìasi a me, lo splendore a te rimanga.
Lo ricevo, lo bacio, e qual tuo servo
depositario tuo per te ‘l conservo.

TIBERIO
Selve amiche valli amene
ben tra poco a voi verrò.
Ore placide, e serene
là tra voi goder potrò
poi che qui tra le corone
par che io regni, e son prigione.
Sotto gli ori, e sotto gl’ostri
il timor celato sta;
boschi ombriosi gl’ozi vostri
mi saran felicità,
poiché qui tra le corone
par ch’io regni e son prigione.

Scena undicesima
Agrippina. Germanico.

AGRIPPINA
Non so dir s’in nobil core
possa più
la vendetta o ‘l dio d’amore.
Sol di vincere m’ingegno:
non amo per amor, amo per sdegno.
Sempre furia disdegnata
si mostrò
una femmina sprezzata.
Io sol bramo ‘l mio disegno.
Non amo per amor, amo per sdegno.

AGRIPPINA
Disingannasti ancora,
Germanico, le luci: e l’insegnasti
a creder che io son Nisa?

GERMANICO
Se ciò creder io deggio
è forza ch’io ribelli
le notizie de’ sensi, e insieme accusi
l’occhio di traditore
e ch’io mentisca i moti infin del core.

AGRIPPINA
Dunque per ch’io non sia
rea di questi tuoi falli
cerca di non vedermi.

GERMANICO
Odi signora.
(A’ cenni di Tiberio
ubbidir mi conviene.) Al fatto cedo.
T’inchino qual si deve: e di Tiberio
deggio esporti un desio. Stringerti brama
con nodi d’Imeneo.

AGRIPPINA
(Cieli.)

GERMANICO
Ad uomo insigne.

AGRIPPINA
A chi?

GERMANICO
A Seiano
chiede Tiberio e tutta Roma acclama.

AGRIPPINA
Sempre dunque tu déi,
Germanico, propormi
di Seian gl’imenei?
Sì ch’io sono Agrippina: e venni a Roma
sol per indur Seiano
a compiacermi.

GERMANICO
Ah mi consolo invano.

AGRIPPINA
A Tiberio rapporta,
che de l’opera tua
qui non v’è d’uopo.

GERMANICO
Assenti
dunque a tali imenei?

AGRIPPINA
Grato mi fia
veder Seian pentito.

GERMANICO
E me schernito?

AGRIPPINA
Saprò far sì ch’ei le mie brame adempia.

GERMANICO
Sorte rigida, ed empia.
Aprimi questo seno,
lacera queste vene
pria ch’io d’altri ti veggia, amato bene.

AGRIPPINA
Questa, questa è la fede,
ch’a Tiberio tu déi? così tradisci
ciò che Seian desìa, Tiberio impone?
Germanico ha nel cor genio fellone?

GERMANICO
Quest’è peggio, mia vita,
che darmi morte.

AGRIPPINA
Averti
non ridi ad alcuno,
ch’Agrippina son io,
se gradirmi t’è caro.

GERMANICO
Intesi.

AGRIPPINA
Addio.

GERMANICO
A Seian che dirò?

AGRIPPINA
Ch’ei non ha d’uopo
del ministerio tuo
per movermi a gradirlo.

GERMANICO
Ahimè ch’io moro.

AGRIPPINA
(L’affliggo, lo tormento, e pur l’adoro.)

GERMANICO
Disserratevi a me profondi abissi.
Che la vostra ferità
al par di tal rigor
sarà dolce pietà.
Del sol i raggi d’or
neghi a le luci mie perpetua eclissi,
disserratevi a me profondi abissi.
Se le stelle al mio duol paion di Saceo
e non v’è pietà di me,
né men de’ miei martir
posso sperar mercé;
se per farmi languir
sono eterni rigori in ciel prefissi,
disserratevi a me profondi abissi.

Scena dodicesima
Seiano. Livia.

SEIANO
Bench’instabile
vana e labile
sempr’ogn’un la ritrovò,
che non fa,
che non può,
calva, e cieca deità!
Sempre varia,
or contraria,
or benigna si mostrò,
che non può,
che non fa,
col crin d’or ch’offrendo va!

LIVIA
Ami Nisa Seiano?
Così Livia schernisci,
infedel inumano?

SEIANO
Di che ti lagni mai?

LIVIA
Che mi tradisci.

SEIANO
Non posso amar chi voglio?

LIVIA
Ama chi devi.

SEIANO
S’un oggetto più vago
mi presentan gli dèi,
dimmi, se no ‘l gradissi
stolto, e vil non sarei?

LIVIA
Ah ch’il senso t’accieca.

SEIANO
La ragion mi conduce.

LIVIA
Insegna la ragion mancar di fede?

SEIANO
Troppo ardisci.

LIVIA
Non è mai troppo il vero.

SEIANO
Livia saggia tu sei, cangia pensiero.

LIVIA
Ti flagellino,
mentitor,
de le furie
col rigor
eterne pene.
Né ti splendano mai faci serene.
Sempre cadano
sul tuo crin
tutti gli impeti
del destin
misti di guai.
Né la speranza ti consoli mai.

Scena tredicesima
Agrippina. Germanico. Seiano.

GERMANICO
Io peno.

AGRIPPINA
Lo so.

GERMANICO
E non ti movi?

AGRIPPINA
No.

GERMANICO
Chi tanto sdegnosa
ti rese?

AGRIPPINA
L’offese
d’un’alma ritrosa.

GERMANICO
Io peno.

AGRIPPINA
Lo so.

GERMANICO
E non ti movi?

AGRIPPINA
No.
Tu ‘l merti.

GERMANICO
Lo so.

AGRIPPINA
E non mi fuggi?

GERMANICO
No.

AGRIPPINA
E che mi sprezzasti
pur sai?

GERMANICO
Penai.
Già parmi, che basti.

AGRIPPINA
Tu ‘l merti.

GERMANICO
Lo so.

AGRIPPINA
E non mi fuggi?

GERMANICO
No.

AGRIPPINA
Ecco Seian.

GERMANICO
Io moro.

SEIANO
Principessa?

AGRIPPINA
Di Roma
arbitro fortunato.

SEIANO
Avrà signora
espresse le mie brame,
con sensi affettuosi,
Germanico finora.

GERMANICO
Il tutto esposi.

SEIANO
Acconsenti a bearmi?

AGRIPPINA
Molto deggio al destino,
che tua bontà infinita
rende pronta a giovarmi.

GERMANICO
Ahi che ferita.

SEIANO
Sarai mia sposa?

AGRIPPINA
Facciano le stelle
che secondi Seian gl’affetti miei.

GERMANICO
Io son perduto: oh dèi.

SEIANO
Trovo in te le mie gioie.

AGRIPPINA
Ed io felice sorte
da te spero ottener.

GERMANICO
Ed io la morte.

AGRIPPINA
Né certo ami Agrippina,
che la loquace diva
pubblicò per tua sposa?

SEIANO
Che memoria noiosa!
L’aborrisco, la sdegno, e la detesto.

AGRIPPINA
Sì eh?

SEIANO
Tu mi ristori
con celesti splendori.
Tu sarai la mia vita.

AGRIPPINA
Io la spero da te.

SEIANO
Tosto a vedervi
tornerò, del mio ciel faci serene.

AGRIPPINA
Dimmi: né certo mai
Agrippina amerai?

SEIANO
No, no, mio bene.

GERMANICO
Che dici?

AGRIPPINA
A te che sembra?

GERMANICO
Ei t’aborre.

AGRIPPINA
M’adora.

GERMANICO
Perché Nisa ti crede.

AGRIPPINA
Oprar io spero
sì, che quando sia noto,
ch’Agrippina son io
prontamente ei secondi il mio desio.

GERMANICO
Dunque estinto mi vuoi.

AGRIPPINA
Vivo ti bramo.

GERMANICO
Sol per tormentarmi,
mentre a Seian ti doni.

AGRIPPINA
Vuò conseguir chi amo.

GERMANICO
Ore dolenti
trarrò dunque ripiene
d’aspri martiri.

AGRIPPINA
(Ei non m’intende bene.)

GERMANICO
Addio spietata addio.

AGRIPPINA
Vanne pur! (Quasi dissi idol mio.)
Fingete, fingete,
voi belle ch’amate,
e ciò che volete
accorte celate.
Menzogna di donna
giammai si condanna,
e sol vince in amor colei ch’inganna.
Mentite, mentite;
ripulse, e speranze
se n’ vadano unite
con finte sembianze;
tal volta chi è pia
si mostri tiranna,
che sol vince in amor colei ch’inganna.

Scena quattordicesima
Ligdo. Plancina. Eudemo.

LIGDO
Io non presto fede alcuna
a la voce del gioir,
che gli sforzi di fortuna
tosto sogliono svanir.
Del mortale i dì felici
non son fermi nel piacer;
piante son senza radici,
che son facili a cader.
Troppo innalzò Seiano
sorte propizia.

EUDEMO
(A fé nulla farai.)

PLANCINA
E buona pezza ormai
ch’io lo seguo (ei mi piace, e nulla perdo).
Addio signor.

LIGDO
Addio

PLANCINA
Scusa s’io ti molesto.

LIGDO
Nulla.

EUDEMO
(A pena ti mira.)

PLANCINA
Egl’è modesto.

LIGDO
Che vorresti?

PLANCINA
S’io chiedo
temo poi che t’adiri.
(Non ti par ch’ei sospiri?)

EUDEMO
Eh tu sei pazza.

LIGDO
No, ché bramo gradirti.

PLANCINA
Arde d’amore.

LIGDO
Chiedi: che tardi?

PLANCINA
Egli si strugge, e more.
Pietà, mercé.

LIGDO
Son pronto.

PLANCINA
(Io lo sapevo affé.)

LIGDO
Prendi.

PLANCINA
Che?

LIGDO
L’elemosina ti porgo.

PLANCINA
Elemosina a me?

LIGDO
Non la chiedesti?

PLANCINA
Chiedo mercé, chiedo pietà d’amore…

LIGDO
D’amor? Stolta canuta,
decrepita figura;
già per gl’anni infiniti
anco posta in oblio da la natura…

PLANCINA
Quest’è costume, questo
di cortese romano?

EUDEMO
Egl’è modesto…

PLANCINA
A una mia pari?

EUDEMO
Egli si strugge, e more.

PLANCINA
Non irritar Eudemo il mio furore.

EUDEMO
Giovinette vezzose,
che di rode il seno avete,
godete, godete
l’età fiorita e verde,
ché non ritorna il ben ch’un dì si perde.
Bellezza incanutita
è schernita da gl’amanti,
e solo tra pianti
si strugge, e si disperde:
ché non ritorna il ben ch’un dì si perde.

Scena quindicesima
Seiano. Agrippina. Livia. Germanico. Genti. Cavalieri.

AGRIPPINA, SEIANO
O giorno sereno,
s’al seno
stringerò quel bel ch’adoro.

LIVIA
(Io languisco.)

GERMANICO
(Ed io mi moro.)

SEIANO
Nisa imeneo le faci
già, già per noi accende:
con quel bel che gioie crea,
deh mio ben.

LIVIA
Infelice destin!

GERMANICO
Fortuna rea!

AGRIPPINA
Solo temo, Seiano,
che tu Agrippina adori
e meco sian mendaci i tuoi amori.

SEIANO
Amerò pria le furie.

AGRIPPINA
Certo poi?

SEIANO
Su le tempie
cadami di saette
grandine impetuosa,
s’io non l’aborro.

GERMANICO
E lo sopporta l’empia?

AGRIPPINA
Dunque sì abominosa
ell’è fatta al tuo core?

SEIANO
Non conosco di lei mostro peggiore.

AGRIPPINA
Or perché vieti altrui le nozze sue?
Quest’atto invidioso
mi rende ‘l cor geloso.

GERMANICO
A che mai piega
d’Agrippina il pensiero?

SEIANO
Siasi pur di chi vuole.
Germanico Agrippina
ti lascio, ti concedo.

GERMANICO
Ah fosse vero?

SEIANO
Quietati arpia,
oggetto de’ miei sdegni,
centro degl’odi miei.

GERMANICO
Che sento! O cieli! o dèi!

AGRIPPINA
Temo ancor.

SEIANO
Di che mai?

AGRIPPINA
Che ti rincresca, e te ne penta.

SEIANO
È vano
questo timor.

AGRIPPINA
Lo giuri?

SEIANO
Immutabile, e fermo
al gran Giove di Roma, al ciel l’affermo.

AGRIPPINA
Dunque se così è vero,
Agrippina son io,
e Germanico è mio.

SEIANO
Tu Agrippina?

AGRIPPINA
Io la furia,
l’oggetto de’ tuoi sdegni,
centro degl’odi tuoi.

GERMANICO
Me fortunato.

SEIANO
Avvampo d’ira.

AGRIPPINA
E ritrattar non puoi
ciò ch’al cielo giurasti.

GERMANICO
O me beato!

SEIANO
M’ingannasti Agrippina.

AGRIPPINA
A questo fine
tutto finsi, ed oprai.

GERMANICO
Tu respirar mi fai.

LIVIA
Sperar io posso.

AGRIPPINA
M’offesero i sospetti,
che di me concepisti:
ove d’amor si tratta
van mutue le vicende;
e chi offese riceve offese rende.

GERMANICO
Tu ravvivi un estinto.

SEIANO
Agrippina tu hai vinto.
Cedo al voler del fato.

LIVIA
Ora Seiano
Livia, cui promettesti
gioie, grandezze, amori
non sarà tua?

SEIANO
Conosco
il voler de gli dèi.
Livia tornano a te gl’affetti miei.

AGRIPPINA
Germanico.

GERMANICO
Agrippina
amor trionfò.

AGRIPPINA
Mia gioia sarai.

GERMANICO
Tua gioia sarò.
Insieme

LIVIA
Tu porgimi o caro
la candida destra,
la tenera mano.

SEIANO
Tu porgimi o cara
la candida destra,
la tenera mano.

Scena ultima
L’ombra di Druso. Seiano. Agrippina. Livia. Germanico. Genti. Cavalieri.
Si vede un fulmine, che dà nella statua di Seiano che sarà nel mezzo della scena.
Poi comparisce l’Ombra di Druso, che impedisce Seiano di porgere la destra a Livia.

TUTTI
Ahimè.

OMBRA DI DRUSO
Ferma Seiano.
Segue poi l’opera intitolata la Caduta di Seiano, che si rappresenta la sera seguente alla recita di questa.

Fine del libretto.