La regina sant’Orsola

Azione per musica.

Libretto di Andrea Salvadori.
Musica di Marco Da Gagliano.

Prima esecuzione: 6 ottobre 1624, Firenze, Palazzo Pitti.

Persone, che recitano:

ARNO sconosciuto
URANIA sconosciuto
ASMODEO demonio della libidine sconosciuto
LUCIFERO capo dell’inferno sconosciuto
FURIA INFERNALE adorata nel campo degl’unni per Marte sconosciuto
GENERALE de’ romani difensori di Colonia sconosciuto
TRIBUNO dell’istesso esercito sconosciuto
CENTURIONE dell’istesso sconosciuto
GAUNO re degl’Unni sconosciuto
ISMANO uno de’ suoi capitani sconosciuto
ARIMALTO generale di mare del re degl’Unni sconosciuto
IREO principe d’Inghilterra, preso in mare da Arimalto, e condotto prigioniero al re degl’Unni sconosciuto
OREBO suo gentiluomo ancor egli per altro accidente prigione del re degl’Unni sconosciuto
ORONTEO primo sacerdote di Marte sconosciuto
PERASPE secondo sacerdote dell’istesso sconosciuto
SANT’ORSOLA regina di Cornubia provincia della gran Britannia sconosciuto
CORDULA una delle sante vergini compagne di Sant’Orsola sconosciuto
SAN MICHELE arcangelo sconosciuto

Coro delle Muse. Coro di Demoni. Coro di Soldati romani. Coro di Soldati unni. Coro di Cristiani inglesi prigioni degl’Unni. Coro di Sacerdoti di Marte. Coro di Sante vergini compagne di sant’Orsola, Capi dell’altre. Coro d’Angeli. Coro di Nobili di Colonia. Coro di Santi martiri in cielo.

La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l’idolo di Marte, e dall’altra un bastione, che si sporge in fuori dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl’unni: apresi nella prima scena dell’atto primo, una voragine, dove si vede in un lago di fiamme seder Lucifero sopra un’Idra, e fatto il concilio de’ demoni contro Sant’Orsola, si riserra. Il coro principale, che divide gl’atti è di Cristiani inglesi prigioni degl’Unni. Quest’azione, acciò possa recitarsi senza musica, è stata dal suo autore più allungata in stampa, di quello che fu cantata in scena.

Libretto – La regina sant’Orsola

Al sereniss. ed invittiss.
Vladislao Sigismondo principe di Polonia e di Svezia.
Temistocle, doppo la nobil vittoria di Salamina, andato in Elea per esser quivi spettatore de’ giochi olimpici, fu egli medesimo glorioso spettacolo al popolo: a lui con lietissimo applauso volgendosi allora quella numerosa moltitudine, il giorno destinato alla celebrazione de’ giochi in onor di Giove, consumò tutto nell’ammirare, e lodare quel famosissimo uomo, dal quale era stata liberata la Grecia, e domata la Persia. Quest’esempio di segnalata gloria ha veduto l’età nostra rinovellarsi nella persona di v. a. Ella dopo i suoi illustri trofei, lasciati in lontanissime parti della terra, essendo venuta a veder Italia, teatro dell’universo, ha meritato, che i popoli di essa, lasciando di ragionar d’ogni altro, rivolgano tutte le lingue alle sue lodi, e tutti gl’animi al suo valore. Prima che in questa provincia si mirassero i lampi della sua real presenza, s’erano uditi i tuoni delle sue armi, caduti sopra ferocissime nazioni, Moscoviti, Tartari, e Turchi: allora non si tenne per favola, che Marte avesse la sua abitazione ne’ regni di Tramontana: e Roma cominciò ad augurare, che il settentrione avesse ad esser per lei l’asta di Achille: ella fu da quello oppressa, e per lui spera di sollevarsi; posciaché solo fra tutti i popoli d’Europa il nobilissimo regno di Polonia ha dimostrato, che il turco non è invitto. V. a. avvezza ad essere accompagnata da numerosi eserciti, si è compiaciuta in compagnia di pochi passar per Italia incognita: ma la schiera delle sue reali virtù, le ha fatto in ogni luogo pubblico corteggio, e la fama del suo valore per tutto l’ha palesata: per esser conosciuto basta che Giove abbia il fulmine: e ‘l sole, ben che celato tra le nuvole, dovunque arriva, apporta il giorno. La nostra Toscana onorata da lei con pubblico favore della sua vista, ha cercato con altrettanta dimostrazion d’amore corrispondere all’onor della sua venuta: ella come perpetua nutrice di essi, richiamando alle scene reali gl’Apelli, i Dedali, e gl’Orfei, ha spiegato per dilettarla le meraviglie degl’antichi spettacoli d’Atene, ed all’incontro v. a. in un vivo teatro d’eroica virtù, ha fatto vedere a Toscana, quella perfetta idea di principe, e di cavaliero, che da i più saggi greci ne è stata designata. Quello, che le muse le hanno cantata in scena, ora le porgono in dono: questa è la Regina Sant’Orsola, opera in ogn’altra parte felicissima, fuori che nell’esser parto d’infelice ingegno. Essa con meraviglioso apparato le è stata fatta rappresentare dal serenissimo gran duca mio signore, ed ora da me le è umilissimamente consacrata. A principe difensore della religione, benissimo si conviene poscia in lode di principessa morta per gloria del nome cristiano: si compiaccia però di gradirla, e con i raggi del suo glorioso nome la tolga da quelle tenebre, che porta dal suo autore, ed io umilissimamente inchinandola, le prego fortunati i suoi magnanimi pensieri.

Di Fior. Il dì 29 di Genn. 1625.
Di v. a. sereniss.
umilisss. e devotiss. servo
Andrea Salvadori

All’istesso sereniss. ed invittiss. principe
Della Vistola al nome omai si scote
pallido Eufrate, ed atterrito Oronte:
e ‘l Nilo là sovra ‘l nativo monte
la negra faccia per dolor percote.
Già piange l’Asia in dolorose note
temendo lacci alla superba fronte:
ove la Tana, ove la Volga ha fonte
sospira Scizia le provincie vote.
Per voi sol gl’eroi di nuovo Achille
teme la riva, ove già sorse Antandro,
e ‘l sol d’Ilion nuove faville.
E in mesto mormorar s’ode Scamandro
piangendo dire all’inondate ville,
che s’appresta il sarmatico Alessandro.

Andrea Salvadori

Del sig. abate Agnolo Capponi all’autore
Di bella neve alato alzarsi a volo
ai forti omeri tuoi non è chi vieti,
varcar le sfere, trapassar pianeti,
l’orse stellate, e l’uno, e l’altro polo.
Non così quei, che van radendo il suolo,
cigni di Citerea, cigni di Teti;
tu, tu trasvoli, tu contempli i lieti
campi celesti, ove ogni pregio è solo.
Quindi l’alta armonia, che lece a pena
bramarsi in terra, e l’ammirabil canto
Urania ti dettò d’ambrosia piena.
Per te volse ella risonarsi il vanto
d’Orsola pia su la real scena,
onde sorgesse, e meraviglia, e pianto.
Dell’istesso signor abate
Che Troia eccelsa, e l’alte moli spente
giaccino a terra, e troppo acerbi, e rei
rimirar congiurati uomini, e dèi
la Regia stirpe funestar repente.
Che volga i dì canuti egra, e dolente
Ecuba schiava in fra mestier plebei,
e tra forzati Andromaca imenei;
sazi di Pirro la lussuria ardente.
Sì fiero aspetto de’ coturni argivi,
e l’empio gioco di fortuna indegna
seco han dolor d’ogni conforto privi.
Ma ne’ bei canti tuoi vittrice insegna
Orsola spiega, e come al ciel s’arrivi
per dio cadendo, e trionfar c’insegna.

Del sig. Gabriello Chiabrera
I nostri grandi, a cui rifulge in fronte
or di diadema egregio
soleano i cigni del Castalio fonte
aver quagiuso in pregio
quanto sentiasi ornar dal nobil canto
lor proprio nome, o de grandi avi il vanto.
Da l’altra parte il popolar diletto
a Clio solo permise
chioma d’oro cantar, che l’altrui petto
legasse in varie guise,
o chiaro sguardo, che vibrasse ardori,
o man di neve, che rapisse i cori.
Scemo Parnaso, or al gran re superbo
non hassi a dar sua gloria?
E de lo stato de’ beati eterno
non si dée far memoria?
Non celebrargli a le devote genti?
Non mostrar su la scena i lor tormenti?
Muse al fallir, che trapassava il segno
dite voi, chi s’oppose?
Certo fu Cosmo, al cui reale ingegno
nulla virtù s’ascose;
di cui l’altiera fama in guardia avete,
e per cui non s’addensa ombra di Lete.
Poi la gentil, cui par non vede il sole
donna, che l’Arno affrena,
e sen va cinta d’ammirabil prole
Bercintia terrena
spose a’ teatri l’alta Istoria; e quivi
fu trionfato de coturni argivi.
Or siasi in fondo, favoloso esempio,
col caro Admeto Alceste,
siasi di Filomena il grave scempio,
siasi non men Tieste;
chi di cantata vanità s’avanza?
Verità bella ha di giovar possanza.

Argomento
Orsola figliuola di Dionoco re di Cornubia, provincia della gran Britannia, era stata dal padre promessa per consorte ad Ireo, (o secondo alcuni altri Conano) principe d’Inghilterra ma da dio era destinata per sua sposa in cielo. Questa mentre accompagnata da moltitudine di nobili donzelle, navigava lungo la paterna marina, fu da improvvisa tempesta, o per meglio dire da divino volere, portata a’ lidi della bassa Germania. Allora, (o fosse per differire in tal maniera le nozze, o pure perché era presaga del martirio da dio preparatole,) entrando per le bocche del Reno, pervenne non lontano da Colonia Agrippina, ivi incontrando l’esercito di Gauno re degl’Unni, ebbe all’ora combattuta quella città, tutte le sue donzelle, per difesa della propria pudicizia, e per l’onor di dio, furono da quegl’empi idolatri crudelmente uccise: ed Orsola loro regina per l’estrema sua bellezza conservata viva, e venuta in potere del re di quei barbari, fu da lui (vedutala ogn’ora più costante nel divino amore) vinto da immensa rabbia, col proprio arco saettata. L’azione eroica di questa real vergine, e per l’episodio gl’accidenti del principe Ireo, spiegati in poesia drammatica, sotto le note di musica recitativa, due volte con pompa degna dell’antica grandezza romana; è stata rappresentata a due de’ maggiori principi d’Europa: la prima volta al sereniss. arciduca Carlo d’Austria, ed ultimamente al serenissimo Vladislao Sigismondo, principe di Polonia, e di Svezia, sotto l’ombra della cui protezione è venuta in luce. Né forse è poca gloria del nome toscano, che siccome sotto gl’auspici de’ sereniss. gran duchi, prima in questo teatro fu rinnovato l’uso de gl’antichi drammi di Grecia in musica, così oggi in questo medesimo, sia stato aperto un nuovo campo, di trattare con più utile, e diletto, lasciate le vane favole de’ Gentili, le vere, e sacre azioni cristiane.

Prologo

Scena prima
Arno, ed Urania con il coro delle Muse in una particolar prospettiva di Fiorenza fanno il Prologo.

ARNO
Io, dell’alto Appennino ondoso figlio
di cento irrigator tirrene valli,
fuor de’ vaghi cristalli
al sen della mia Flora innalzo il ciglio:
e qui, mi specchio al tuo guerriero sole
del sarmatico Giove invitta prole.
Là, nell’ampio oceano, onde se n’ viene,
ed a cui torna il mio famoso fonte,
vidi in squallida fronte
sanguigni entrar la Volga, e ‘l Boristene,
ed estinti da te negl’ermi boschi,
pianger i figli lor, Tartari, e Moschi.
Udii, ch’armato in quell’eterno gelo,
ne’ monti lontanissimi Rifei,
drizzasti alti trofei,
e l’orse algenti gl’inchinar dal cielo:
e Borea inascoltando il suo gran nome
sparse d’orror, più che di gel le chiome.
L’Istro poi mi narrò, dov’egli bagna,
vicine al Nero mar l’ampie contrade,
dalla sarmate spade
l’ottomano infedel vinto in campagna
e che per te discolorata, e bruna,
allor de’ traci inorridì la luna.
Arsi quinci, signor, d’eterna brama
sì chiaro sol di rimirar d’appresso;
e ‘l mio dotto permesso
bramai tutto sacrare alla tua fama:
or qui ti veggio, e a riverirti intanto
sveglio le tosche muse a nobil canto.
Oggi l’alma real, cui sol fan lieta
i guerrieri metalli, e ‘l suon dell’armi,
a pacifici carmi
volgi signore, e l’alte cure acquieta:
e cangia in vaga, imitatrice scena
armato campo, e bellicosa arena.
Marte così, poiché Geloni, e Sciti
ha flagellati al tempestar dell’asta,
ed or l’Ercinia vasta.
Or dell’Ircania ha funestati i liti;
stanco in Parnaso, ov’un bell’antro adombra,

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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