Xerse

Dramma per musica

Libretto di Nicolò Minato
Musica di Francesco Cavalli

Prima esecuzione: 12 febbraio 1654, Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo.

Intervenienti

Nel prologo
GIOVE sconosciuto
MERCURIO sconosciuto
PALLADE sconosciuto
La VERITÀ sconosciuto
La VITTORIA sconosciuto
AMORE sconosciuto
[Nel prologo alternativo]
MOMO sconosciuto
APOLLO sconosciuto
[Nel dramma]
XERSE re di Persia contralto
AMASTRE al fine moglie di Xerse. Figlia del re di Susia in abito d’uomo soprano
ARSAMENE fratello di Xerse contralto
ROMILDA sorella di Adelanta, figlia d’Ariodate principe d’Abido soprano
ADELANTA sorella di Romilda, figlia d’Ariodate principe d’Abido soprano
ARIODATE principe d’Abido vassallo di Xerse tenore
EUMENE eunuco favorito di Xerse, e suo maestro di campo soprano
ARISTONE vecchio balio d’Amastre, nobile di Susa basso
PERIARCO ambasciator d’Ottane re di Susia contralto
ELVIRO servo di Arsamene contralto
CLITO paggio di Romilda soprano
SESOSTRE mago tenore
SCITALCE mago basso
CAPITANO della guardia di Xerse basso

Cori: Amorini, Persiani della guardia di Xerse, Damigelle di Romilda, Soldati di Ariodate, Paggi di Periarco, Spiriti alla custodia del platano, Marinari nelle navi sull’Ellesponto, Indiani e Greci delle milizie di Xerse.

L’opera si finge in Abido città sull’Ellesponto, dalla parte dell’Asia, in tempo, che Xerse vi fa piazza d’armi per la guerra, che ebbe contro li ateniesi.

Libretto – Xerse

Illustrissimo…
…ed eccellentissimo signore, e padron colendissimo.
Comparisce questo mio Xerse alla luce, e per non abbagliarsi ha voluto avezzarsi prima a gli splendori del nome di v. e. Solito come re della Persia a tener il sole per insegna non poteva meglio farsi vedere, che con l’impronta del nome dell’e. v. ch’è un sole di gloria: ed era dovere, che dell’ossequentissima servitù, ch’io tengo con la sua nobilissima casa mi facesse attestato soggetto, che ha per impresa il sole, ch’è padre della verità. S’aggiungerà per l’innanzi alle glorie di Xerse, l’essere stato sotto la protezione di v. e. mentre io pure mi pregio della fortune d’essere dell’e. v.
umilissimo, devotissimo, e obbligatissimo servo
N. M.
Di Venezia li 12 gennaio 1654.

Lettore
Talora son necessari, nonché geniali all’umanità I trattenimenti, né vidi mai pianta sì di frutti ferace, che non produca I suoi fiori. Io le poc’ore che mi avanzano dall’oratoria, e che altri forse spenderebbero in trattenimenti più liberi, le dono ad Apollo. Così appunto m’è sortito di comporre questo dramma nel quale avrei saputo adoprar frasi più sollevate, discorsi più allungati, figure, traslati, e altri fregi da me conosciuti per essenziali in altra forma di componimenti, ma come stimati, in quelli di tal sorte, dannosi, in questo a bello studio abbandonati: come che dall’esser stati usati ho veduto talvolta indebolirsi la forza degli affetti, e la naturalezza della rappresentazione, che vuol essere con frase più familiare essendo che in queste composizioni non si scrive per l’ingegno, ma per l’udito. Nel soggetto spero averti recato qualche accidente venuto dagli errari di famosissimo autore, che già scrisse in altra lingua; del quale forse potrai compiacerti. Tutto ho fatto per dilettarti: se l’ho incontrato ne godo, se mi sono ingannato compatiscimi, e sappi, che io non scrivo a altro fine, che del mio solo capriccio. Troverai le solite parole di fato, dèi, stelle, e simili: dichiaro però di averle adoperate per essere tale il costume; nel rimanente sono cristiano, scrivo come s’usa, e credo come si deve. Va’, vedi: e compatisci.

Di quello che si ha dall’istoria
Xerse nacque di Dario, e di Atossa, che fu di Ciro figliola, ond’ereditò la corona di Persia. Ebbe molti fratelli, tra quali Arsamene, forse delli altri più caro. Si maritò ad Amastre figlia d’Ottane grande persiano, che aveva seguite le parti di Dario nelle guerre contro li magi. Successo alla corona in luogo del padre defunto proseguì l’espedizione contro li Ateniesi già destinata dal padre, perché uniti con Aristagora di Mileto servo fuggitivo de’ Persi abbruciassero Sardi città della Persia, per comodo di passare in Europa. A questa impresa fece fabricare sopra l’Ellesponto su le navi un lunghissimo ponte per cui passò con tutto l’esercito; ma prima da fierissimi venti e torbidissime procelle agitato l’Ellesponto si ruppero le navi, che sostenevano il ponte, onde rimasto disfatto gli convenne rifarlo. Occorse anco a Xerse di trovare un arbore di platano, e per la sua bellezza l’adornò di gioie concinte d’oro, e da quello dovendo partire lasciò in sua guardia un uomo immortale, Ita HERODOTUS HALICARNASS. lib. 7 Histor.

Di quello che si finge
Per condurre il dramma all’ultimo oggetto, che sono le nozze di Xerse con Amastre, e aver modo come tesser intreccio dilettevole, si fingono li seguenti verisimili.
Che Dario per gratitudine verso Ottane nobile persiano, che lo aveva seguìto contro li magi li facesse dono della corona di Susia constituendolo signore di quel regno.
Che li Mori avessero portate l’armi all’assedio di Susa metropoli della Susia, perché Ottane non avesse voluto concedere in moglie la figlia Amastre al loro re; e che Ottane avesse invocato in suo aiuto Xerse, il quale vi fosse andato in persona con buon esercito, e che si fosse innamorato di Amastre, e ella ardentemente di lui.
Che stimolato dal senato Persiano d’andar all’impresa contro li Ateniesi per vendicar l’ingiuria dell’incendio di Sardi, gli fosse convenuto lasciar a quell’impresa contro i Mori in aiuto d’Ottane un generale, che fu Ariodate prencipe d’Abido con l’esercito, e che per l’affetto, che portava ad Amastre a fine di sicurezza avesse persuaso Ottane a mandarla in Aracea altra città di Susia, e che il padre così avesse eseguito. Che Xerse poi si fosse portato in Abido città su l’Ellesponto per ivi radunar l’esercito, e passare in Europa come luogo più commodo d’ogn’altro per l’opera del ponte, che faceva su le navi fabricar sopra l’Ellesponto.
Che in Abido fossero due sorelle figlie del prencipe Ariodate, da lui lasciato generale appresso Ottane; la maggiore nominata Romilda e la minore Adelanta: ambe innamorate di Arsamene fratello di Xerse, e che Arsamene alla maggiore corrispondesse. E che di Romilda Xerse pure s’innamorasse, giammai però corrisposto.
Che poi mentre Xerse, avendo eletto per mastro di campo Eumene eunuco suo confidente, stava in Abido raccogliendo le genti per l’impresa d’Europa, si fosse fatta intorno a Susa giornata, e scacciatone l’inimico, e che Ariodate se ne ritornasse in Abido.
Che tratanto d’Aracca si fosse partita Amastre in abito d’uomo con Aristone vecchio suo balio, e fosse venuta in Abido per vedere l’amato Xerse, dove giunta intende la vittoria a favore d’Ottane suo padre contro li Mori, e scopre Xerse innamorato di Romilda.
Che da Susa Ottane mandasse un ambasciatore a Xerse a renderli grazie, che col suo aiuto avesse scacciati li Mori, e ad offerirli il regno di Susia, e la figlia in consorte. Sopra questa istoria, con questi suppositi verisimili si finge il dramma.

Prologo

Scena unica
La scena rappresenta il palazzo di Giove.
Giove, Mercurio, Pallade, La Verità, La Vittoria, Amore.

CORO DI AMORINI
Vedete ciò, che fa
l’ingrata umanità,
e s’a l’occhio di voi, cause feconde,
quella nube l’asconde.
Da questo fulmine;
ch’or cadrà
squarciata, e lacera
se n’rimarrà.
Quante frodi (mirate,) e quanti inganni,
quanto l’odio trionfa, e quanto il lusso,
quanti il proprio fallir chiamano influsso,
corrotti sono, e depravati gl’anni.
Del tiran di Bisanzio, iniquo trace,
volgetevi a mirar gl’empi furori,
l’udite pur con bellici fragori
della mia Creta sovvertir la pace.
Tanta, tanta empietà soffrir non vo
i rei mortali fulminerò.

MERCURIO E PALLADE
Deh fermate.

VERITÀ E VITTORIA
Deh arrestate.

MERCURIO, PALLADE, VERITÀ E VITTORIA
Motor degl’astri il vindice baleno,
tenete l’ire, ancor che giuste, a freno.

VERITÀ
Io svelerò le frodi.

MERCURIO
Io scoterò i letarghi
dell’ozio vil.

PALLADE
Con studiosi modi
io cangerò del lusso il genio impuro.

VITTORIA
Io l’empio trace debellar vi giuro,
se co’ fulmini vostri
voi distruggete gl’Ottomani rei
all’Adriaco leone
usurpate i trofei.
Lasciate, ch’al tonar de’ suoi metalli,
al folgorar de suoi temuti acciari,
cadan Arabi e Mori
farò dell’Adria al merto alla fortuna
trionfata cader la tracia luna.

GIOVE
Itene, ch’io m’arresto: e mentre voi
fate, ch’il mondo suo fallir ravvisi,
per non mirar degl’error suoi l’eccesso,
in me medesmo asconderò me stesso.
A distrugger…

VERITÀ
Le frodi.

PALLADE
I lussi.

MERCURIO
E l’ozio.

VERITÀ, PALLADE E MERCURIO
Andiamo su su.
La Verità trionfi, e la virtù.

VITTORIA
La Vittoria a voi se n’ viene
festeggiate,
trionfate,
dell’Adria felice,
o sponde beate,
o nobili arene.
La Vittoria a voi se n’ viene.

AMORE
E noi qui resterem? Soli? Oziozi?
Amoretti vezzosi.
No, no: colà, dove in teatro altero
degli amori di Xerse
cantan l’adriache scene
trasferirsi possiamo; assai godemmo,
tempo già fu di saettarli il petto,
or della rimembranza avrem diletto.

VERITÀ, PALLADE E MERCURIO
Andiamo sì, sì.

AMORE
Ma s’a tempo opportuno giunger voglismo
non tardisi qui.

VERITÀ, PALLADE E MERCURIO
Andiamo sì, sì.
Prologo alternativo

Scena unica
La scena rappresenta boscareccia col monte Parnaso.
Le Muse, Apollo sul caval Pegaseo.
Momo.
Prima di aprirsi la tenda.

MOMO
Olà signori, olà
l’opra più non si fa,
la povera Virtù,
or ora si partì,
che non trovando chi la premi più,
no ‘l vuol servir più qui;
voleva almen di lode esser premiata,
pur sì poca mercé gli fu negata.
Musica, e Poesia
sue figliuole dilette
son con la madre lor fuggite via,
insomma così fu,
e così interessata la Virtù;
ma voi già vi turbate,
e al partir v’accingete?
fermatevi, sedete,
non partite, ascoltate.
Aria.
Ciò da me sol detto fu,
per dir mal della virtù;
più mi pasco del dir male,
che del nettare divino,
ebbi sempre per destino
mormorar d’ogni mortale.
Ma voi donne vezzose,
che finor speso avete
co’ i vostri fidi amanti
in discorsi d’amor l’ore oziose,
or ch’io qui giunto son perché tacete?
Forse di me temete?
Aria.
Ch’io censuri vostri amori,
donne belle non fia vero,
son parzial del ciel arciero,
compatisco i vostri ardori;
mal di voi mai non dirò,
che già mai con amor lite non vuò;
che io mormori di voi, non dubitate,
seguite, discorrete, amoreggiate.
Ma per qual causa mai tanto dimora
questa turba canora,
che sovra queste scene
all’opra destinate ancor non viene?
Io consolar vorrei
le impazienze vostre o donne belle,
se fussero bastanti i prieghi miei
ad involar di qua
questa tenda, nemica
della curiosità;
ma già che in questo luogo impera Amore,
per la faretra e l’arco,
e per gli strali ardenti
di sì possente nume
benigno il vostro aiuto imploro o venti;
voi con un soffio sol bramato, e caro
tosto involar potrete
quest’invido riparo
se dell’arciero Amore
al gran nome temuto
ubbidì Giove, e Pluto,
ond’arsero ambedue
alle facelle sue,
a secondare i desideri suoi.
Siate pronti anche voi
dall’antro Eolio
su sprigionatevi,
e senza indugio
or qui portatevi,
senza più dimorar qui comparite
e questa tenda agl’occhi altrui rapite.
Qui vengono i Venti, e portano via la tenda.

MOMO
Consolatevi o belle,
né vi lagnate più,
che a’ miei supplici accenti
ubbidirono i Venti;
viva Amor viva su su.
Riverente io t’inchino
splendida deità.

APOLLO
Momo qui che si fa?

MOMO
Le belle abitatrici
dell’italico Reno
in questo di virtù dotto congresso
attendon curiose
il dramma a lor promesso.

APOLLO
A me non giungon nuove
delle felsinee dame
le virtuose brame.
Del magnanimo Xerse,
che le greche falangi
assalì, soggiogò, vinse, e disperse
i successi guerrieri, e amorosi
in sì nobil teatro io già disposi.
Aria.
Or or si vedrà,
che cruda beltà,
alfin disprezzò,
chi un platano amò.
Su su, caste sorelle,
figlie di Giove, e mie fidate ancelle,
i musici canori
all’opre desiate
ite, sollecitate.

CORO DI MUSE A 3
Siam pronte ad eseguir ciò che tu vuoi
che son leggi temute i cenni tuoi.
Aria.

PRIMA MUSA
Su su, al canto

SECONDA MUSA
al suono

TERZA MUSA
all’opra
con mirabile stupore.

PRIMA MUSA
La virtù

SECONDA MUSA
l’arte

TERZA MUSA
il valore
di noi tutte omai si scopra.

PRIMA MUSA
Per far preda d’ogni core
s’udiran in ogni lato,
regolate in dolce fiato
rimbombar voci canore.

SECONDA MUSA
Per combattere col canto
s’armeranno gl’istromenti,
e a gl’armonici concenti
cederan le sfere il vanto.

TERZA MUSA
In mirar con strano affetto
arder Xerse infra gl’amori
resteranno tutti i cuori
prigionieri del diletto.

PRIMA MUSA
Gl’applausi saran miei.

SECONDA MUSA
Mie le glorie saranno.

TERZA MUSA
Io sola avrò di lode i gran trofei.

APOLLO
Or ora si saprà
a chi si dovrà
sì degna mercé.

CORO DI MUSE A 3
A me, a me, a me.

MOMO
Or io da queste scene
fuggo come dal foco,
che dove s’opra bene
il dio mormorator non ha mai loco.
Aria.

APOLLO
Sul dorso leggero
d’alato destriero
io volo alle stelle.

CORO DI MUSE A 3
Noi liete, e festanti,
tra suoni, e tra canti,
andiamo a regolar opre sì belle.

APOLLO
Dunque più non si tardi.

CORO DI MUSE A 3
Alla Musica, all’Opra, all’Armonia.

PRIMA MUSA
Io parto.

SECONDA MUSA
Io vado.

TERZA MUSA
Io corro.

APOLLO
E lieto io sia.

TUTTI
Su, su, dunque su, su,
trionfi in queste scene or la virtù.

 

Atto primo

Scena prima
Villaggio delizioso dietro le mura della città, con veduta di bosco.
Xerse sotto un platano.
Ombra mai fu
di vegetabile
cara e amabile,
soave più.
Bei smeraldi crescenti,
frondi tenere, e belle,
di turbini, o procelle
importuni tormenti,
non v’affliggano mai la cara pace,
né giunga a profanarvi Austro rapace.
Mai con rustica scure
bifolco ingiurioso
tronchi ramo frondoso,
e se reciso pure
fia che ne resti alcuno, in stral cangiato,
o lo scocchi Diana, o ‘l dio bendato.
Ombra mai fu
di vegetabile
cara e amabile,
soave più.

Scena seconda
Sesostre, Scitalce, Maghi, Xerse, coro di Spiriti.

SCITALCE E SESOSTRE
Eccoci o sire, ad inchinar quel piede,
cui fa sostegno de la Persia il trono.
Dalla nostra umiltà Xerse che chiede?

XERSE
Udite: l’armi nostre
già minacciano stragi, e co’ stendardi
diam segno alla fortuna,
ch’è tempo omai, che si rovini Atene.
Quell’Atene superba,
ch’osò portar (ma non andremo inulti)
a Sardi nostra bellicosi insulti.
Poco resta d’indugio
a varcar in Europa: il nostro amato
platano qui riman; di lui dovete
stringere co’ vostri carmi amici spirti
a custodia incessante,
perché non sian da man profana, o avara
svelte le frondi, o pur rapiti i doni,
onde l’abbiam di nostra mano ornate.
Vi lascio: udiste; oprate.

SESOSTRE
Ubbidienti
darem l’opre in risposta.

SCITALCE
Ecco il terreno
di caratteri stampo, e di possente
circolo imprimo.

SESOSTRE
In giro
io tre fiate mi volgo, e l’oriente
dalla magica verga, e in un l’occaso
minacciati oscurarsi omai rimiro.

SCITALCE
Voi tartaree possanze,
del mondo ardente, e dell’oscura Dite,
voi questa pianta a custodir venite.

SESOSTRE
Dalle tenebre
de l’orribile
cieco Tartaro
pur uscite al nostro dì.

SCITALCE
Pluto, ed Ecate
vi disciolgano,
e venir lascin qui.

CORO DI SPIRITI
Per le torbide
vie dell’Etera
sopra i nubili
qui vedeteci pronti già.

SESOSTRE
Noi vi lasciam, vostro dover sapete.

CORO DI SPIRITI
Al bel platano
fida guardia si farà.

Scena terza
Elviro, Arsamene; Romilda, Adelanta sopra una loggia.

ROMILDA
Tutti dormìan ancor dell’alba i rai,
all’or, ch’io mi levai:
movo dormendo il piè;
parlo, né so di che.

ARSAMENE
Caro tetto felice,
albergo del mio amore,
dolce meta del piè: ma più del core.
Care mura beate
il mio vago tesoro
invide mi celate, e pur v’adoro.
Siam giunti Elviro.

ELVIRO
Intendo.

ARSAMENE
Dove alberga?

ELVIRO
Seguite.

ARSAMENE
L’idol mio.

ELVIRO
Dite pure.

ARSAMENE
O se fortuna!

ELVIRO
Così è.
(s’allontana)

ARSAMENE
Dove vai?

ELVIRO
Ad appoggiarmi, ché di sonno i’ cado.

ARSAMENE
Vieni qui, dico. Ma sento
dilettoso concento.

ELVIRO
Andiam vicini.

ARSAMENE
Andiam.

ELVIRO
Son di Romilda
questi villaggi?

ARSAMENE
Sì: lasciami udire.

ELVIRO
Così dalla città poco discosti?

ARSAMENE
Taci.

ELVIRO
Vado a dormire.

ARSAMENE
Non ti partir.

ROMILDA
O voi.

ARSAMENE
Quest’è Romilda.

ROMILDA
O voi, che penate.

ELVIRO
Da voi amata?

ARSAMENE
Sì; non parlar più.

ROMILDA
O voi, che penate
per cruda beltà,
un Xerse mirate…

Scena quarta
Xerse, Arsamene, Elviro; Romilda, Adelanta sulla loggia.

XERSE
Qui si canta il mio nome?

ROMILDA
…che di ruvido tronco acceso sta,
e pur non corrisponde
altro al su’ amor, che mormorio di fronde,
di rami frondosi
lo sterile amor,
con vezzi dannosi
punge i baci sul labbro al baciator;
è di Cupido un gioco
far che mantenga un verde tronco il foco.

XERSE
Arsamene?

ARSAMENE
Mio sire.

XERSE
Udiste?

ARSAMENE
Udii.

XERSE
Conoscete chi sia?

ARSAMENE
Non io, signore.

XERSE
Io sì.

ARSAMENE
Ahimè, che gelosia m’accora!

XERSE
Che dite?

ARSAMENE
Che amerei sentirla ancora.

XERSE
Il suo canto è un incanto,
che con magica forza
a catene d’amor l’anima sforza.
Per mia dama la scelgo.

ARSAMENE
Ahimè, che sento!
Ella è Romilda, è principessa, e parmi,
che non convenga.

XERSE
Mi diceste pure
non conoscerla: or come?

ARSAMENE
Sol la conosco al nome.

XERSE
E al canto ancora.
Se dama non convien, sarà mia sposa.
L’approvate?

ARSAMENE
Non osa
la mia fé d’adularvi. A un re non lice
erger al trono, chi non è regina.

XERSE
Per dama non convien, sposa disdice;
nulla vi piace: è rigido il consiglio;
rammentate Arsamene,
ch’amor ha poca legge, e men puntiglio.
Diretegli ch’io l’amo.

ELVIRO
Nobile impiego invero.

ARSAMENE
Io? Non ho modo
di parlargli.

XERSE
Cercate.

ARSAMENE
Non so poi se potrò.

XERSE
Perché?

ARSAMENE
Sdegnate
parole, e forse pria d’udirmi.

XERSE
Che?

ARSAMENE
Già non vorrei: ma per modestia.

XERSE
Intesi:
io gliel dirò, ch’a parlar meglio appresi.

ARSAMENE
Vanne barbaro, va’,
forse pria, che tu parli il labbro indegno
Giove fulminerà:
l’insidiator disegno
di rubar le mie gioie il dio tonante
forse non soffrirà.
Vanne, barbaro, va’.

ELVIRO
Signor? Meglio è tacere.

ARSAMENE
Stimi lecito, di’?
aver tu i miei trionfi, io le ferite?
Qual legge vuol così?
Ma che mi sian rapite
fuor di mano le mie prede, Amor, ch’è giusto
forse non sosterrà.
Vanne barbaro, va’.

ELVIRO
Vanne in mal punto
maligno, invidioso.

ARSAMENE
Ecco Romilda: stiamo a parte Elviro.

Scena quinta
Romilda, Adelanta; Arsamene, Elviro a parte.

ROMILDA
Vibra pur ignudo arciero
nel mio sen le tue faville,
sin, ch’io spero le pupille
del mio ben ver me pietose,
né ritrose,
non m’affligge ardor cocente,
che corrisposto amor fiamma non sente.

ARSAMENE
O che piacere!

ADELANTA
Che fiera gelosia!

ROMILDA
Vuoti pur la sua faretra
nel piagarmi il cieco Amore,
sin, che impetra il mio dolore
dal mio ben costanza, e fede,
più non chiede,
né si duol di stral pungente
che corrisposto amor fiamma non sente.

ARSAMENE
Speme m’avviva.

ADELANTA
Gelosia m’uccide.

ROMILDA
Non resiste, Adelanta, a stral di foco
alma, qual che si sia robusta, e forte.
Lascia, lascia, ch’io parli
del mio amor.

ARSAMENE
Del mio ben.

ADELANTA
Della mia morte.

ROMILDA
Coroniamo d’applausi
lo stral, che mi piagò,
sempre l’adorerò,
sin ch’io beva dell’aure
i vitali alimenti.

ARSAMENE
O care voci!

ADELANTA
O maledetti accenti!

ROMILDA
Benedetto l’istante, in cui primieri
mi balenaro d’Arsamene i lampi,
eternò quel momento
il mio ben.

ARSAMENE
La mia gioia.

ADELANTA
Il mio tormento.

ROMILDA
Speri ch’ei sia mio sposo?

ADELANTA
Io spero. Ah temo.

ARSAMENE
Sì sarò.

ROMILDA
Chi risponde?

ARSAMENE
Son io Romilda amata.

ADELANTA
Ah sconoscente!

ROMILDA
Idolo mio?

ARSAMENE
Sarò tuo sposo, sì;
a dispetto.

ADELANTA
Di me.

ROMILDA
Di chi?

ARSAMENE
Del re.

ELVIRO
Presto, presto Arsamene:
Xerse viene.

ARSAMENE
Empia sorte!

ADELANTA
O bene a fé.

ROMILDA
Di che temete?

ARSAMENE
Lo saprete poi.

ELVIRO
Su veloce fuggite.

ROMILDA
Sarà meglio celarvi.

ADELANTA
Eh no, partite.

ELVIRO
Suvvia, l’ali alle piante.

ARSAMENE
M’ascondo.

ROMILDA
State cauto.

ARSAMENE
E voi costante.

Scena sesta
Eumene, Xerse, Adelanta, Romilda; Arsamene, Elviro nascosti.

EUMENE
Luci belle che lampeggiano
soglion’anco fulminar,
bionde chiome testoreggiano,
ma poi sanno incatenar.
Rose, e gigli un seno infiorano
ma celato il serpe sta:
di quell’alme, che l’adorano
son tiranne le beltà.

XERSE
Ecco appunto Romilda.
Come qui principessa? Al ciel sereno
forse agl’inviti d’Arsamene usciste?

ROMILDA
Egli non mi chiamò.

XERSE
Parlovvi almeno.

ROMILDA
Sarebbe grave error? D’amor la face.

XERSE
Basta: non giova udir ciò che dispiace.
Restate addietro.

ADELANTA
Che sarà?

ELVIRO
Si scopre.

XERSE
Romilda il fato al trono oggi vi scorge,
amor v’ingemma il serto,
la fortuna ve ‘l porge.

ROMILDA
Ahi qual ver me
fera se n’ viene.

ARSAMENE
Non temete. Ahimè
che feci!

XERSE
Peggior fera
sei di quella Arsamene: il dicon l’opre,
tu m’offendi nascosto, ella ti scopre.

ELVIRO
Io che dovrò mai dire?

ARSAMENE
Tolga il ciel ch’io v’offenda: uscir repente
vidi la principessa, e riverente mi celai
per modestia.

ELVIRO
Io per dormire.

XERSE
Anzi no; per molestia.
Pur li parlasti? Ella no ‘l nega.

ARSAMENE
È vero
s’ella l’afferma. Io vo’ mentir piuttosto.

XERSE
E se lo dice il re?

ARSAMENE
Non so.

XERSE
Mentite,
quasi vorreste dir?

ARSAMENE
Non so se ‘l dite.

ROMILDA
Credete almen ch’io non sapea.

XERSE
Tacete.
Più di scitico stral, più di torrente
veloce il piè togliete
da questa corte.

ARSAMENE
Andrò, benché innocente.

ELVIRO
A me non dice niente.

EUMENE
Sire, Arsamene non credea.

XERSE
Non più.

EUMENE
Chiedeteli perdon.

ARSAMENE
Io non ho colpa.

EUMENE
Deh, ch’ei resti; signor.

XERSE
Mentre prometta
non amar più Romilda il lascerò.

EUMENE
Principe promettete.

ARSAMENE
O questo no;
signor, la gelosia
meglio s’estinguerà col mio partire;
vado a vostro piacere; al mio morire.

XERSE
Va’ seco Elviro.

ELVIRO
Anch’io, lasso, bandito?
Uh, uh, quant’era meglio aver dormito.

Scena settima
Xerse, Eumene, Adelanta, Romilda come immobile.

XERSE
Or che senza rival parlar mi lice
uditemi Romilda: io sono amante;
voi regina di Persia: a me di questo
scettro regal, di queste,
che mi fascian il crine attorte bende
preziose son più le mie ferite.
Romilda mi sentite?
Deh rimirate un re,
che supplicante sta,
che vi chiede mercé,
che ricerca pietà.
Deh men superba una sol voce aprite.
Romilda mi sentite? E pur tacete?
Son pur de’ vostri lumi
spoglia, preda, trofeo; qual mai si vide
alle prede, ai trionfi
rigido vincitor d’un guardo avaro
un’anima di bronzo, un cor d’acciaro,
come, come chiudete
sotto spoglia sì bella? E pur tacete?
e pur tacete ancora?
Dite un sì, dite un no, dite, ch’io mora,
è dover ch’io vi tolga
il modo di schernirmi: ahi sorte dura!
Anco il silenzio contro me congiura.

Scena ottava
Eumene partendosi, Romilda, Adelanta.

EUMENE
Romilda, la fortuna
vi chiama, voi dormite, e non vi cale
di stringer l’aureo crin: fuori di tempo,
come il parlar; così ‘l tacer è male.

ROMILDA
Eumene dite al re, ch’io l’amo.

EUMENE
Sì?

ROMILDA
Ch’io l’amorose fiamme ancor non sento
no, no; ditegli il ver, dite così,
che per lui vivo.

EUMENE
Io vado.

ROMILDA
Udite pria,
vivo priva del sol degl’occhi miei.

EUMENE
Non è ciò, ch’io credei.

ROMILDA
Piano fermate,
sì, sì, ditegli: no; non gli parlate.

EUMENE
Miseria de’ viventi,
flagello del pensier,
insania delle menti,
perfidissimo arcier, bendato dio,
non avrai loco no nel petto mio.

ROMILDA
Ho inabili, Adelanta, a gl’usi loro
le potenze dell’alma e mal distinguo
nel tumulto importun, ch’il cor mi preme
dal foco il gelo, e dal timor la speme.

ADELANTA
Eh risolvete.

ROMILDA
Che?

ADELANTA
D’amar il re.

ROMILDA
Voi fareste così?

ADELANTA
Senza pensarci.

ROMILDA
Risolvereste?

ADELANTA
Eccome: ho già risolto.

ROMILDA
D’amare il re?

ADELANTA
D’amarlo sì: Arsamene.

ROMILDA
Non sete amante.

ADELANTA
È ver; che tu no ‘l sai.

ROMILDA
Temo che l’idol mio
a dispetto del re voglia seguirmi.
Eccolo ahimè!

ADELANTA
L’ardire
e ‘l rischio è grande in ver: fatel partire.

Scena nona
Elviro, Arsamene, Romilda, Adelanta.

ELVIRO
Eccolo qui signor.

ARSAMENE
Dove? Il timore
fa che travedi.

ELVIRO
A fé
ella è Romilda, e lo credevo il re.

ROMILDA
Dove? Dove Arsamene?

ARSAMENE
A dirvi addio mio bene.

ROMILDA
Così a Xerse ubbidite?
Partite, oh dio, partite;
col labbro, che mi parla,
con l’occhio, che mi vede
il vostro re tradite.
Partite, oh dio, partite.

ARSAMENE
Romilda? al vostro core
i nodi amor strinse per me sì poco,
che in sì brev’ora li scioglieste? il foco,
che mi giuraste eterno estinto fu?

ROMILDA
Partite, oh dio, non m’affliggete più.
Non sentite sul fiato
palpitarmi la voce?
Gioia, di cui pavento,
diletto, ch’a voi nuoce
piacer con mio tormento
non ammetto, non voglio, itene, su
partite, oh dio, non m’affliggete più.

ARSAMENE
Han dunque le corone
la smemorata qualità di Lete?
E col solo sperarle han dell’oblio
la più forte virtù?

ROMILDA
Partite, oh dio, non m’affliggete più.

ARSAMENE
Ch’io parta eh? Dispietata! ahi ben m’avvedo;
che pria d’esser regina
sapete esser tiranna.
Parto; e già non vi chiedo
il cor, che s’ha i flagelli
ceder lo deggio delle furie, e quale,
qual mai furia di voi più cruda fu?

ROMILDA
Arsamene? Intendete.

ARSAMENE
Tacete, oh dio, non m’affliggete più.

ROMILDA
Arsamene? Arsamene?

ADELANTA
Eh lasciatelo andar.

ROMILDA
Chiamalo Elviro.

ELVIRO
E che volete?

ROMILDA
Io gli vo’ dir che l’amo,
e che male il mio dir inteso fu.

ELVIRO
Partite, oh dio, non m’affliggete più.

ROMILDA
Così parte adirato, e non l’offesi.

ADELANTA
È un pretesto.

ROMILDA
Perché?

ADELANTA
Per mancarvi di fé.

ROMILDA
Me crede infida.

ADELANTA
E fors’egli è incostante.

ROMILDA
Io ‘l credo assai fedele.

ADELANTA
Io poco amante.

ROMILDA
Cadrei, se così fosse, esanimata.

ADELANTA
Se così fosse io vivrei beata.
Amor se frangi un dì
il rigor di quell’ingrato,
se quel no sì dispietato
si converte in dolce sì,
caro Amor, soave dio
ti vo’ sempre albergar nel petto mio.
Se tu del mio ribel
pieghi un dì la rigidezza,
se vedrò quella bellezza
men feroce e men crudel,
caro Amor, soave dio
tu la gioia sarai del petto mio.

Scena decima
Cortile.
Amastre in abito d’uomo, Aristone.

AMASTRE
Fiamma che accesa fu
per virtù di due bei rai
non cessa mai.
Libertà non speri più
chi d’amar un dì s’avvezza,
che catena d’amor giammai si spezza.
Sguardo, che ferir sa
piaghe fa, ch’in aspre tempre
durano sempre.
Più non speri libertà
chi tra i ceppi un dì s’avvezza,
che catena d’amor giammai si spezza..

ARISTONE
Or ditemi: chi sete?

AMASTRE
Il padre?

ARISTONE
No ‘l sai.

AMASTRE
Eh rispondete.

ARISTONE
Amastre.

AMASTRE
Ottane re di Susia.

ARISTONE
E di virili
spoglie, perché vestite?

AMASTRE
No ‘l sai?

ARISTONE
Eh dite, dite.

AMASTRE
Per venire a veder l’amato Xerse,
di cui m’accesi all’or, che del mio regno
portò l’armi in aiuto
contro il re moro assalitor irato,
perché delle sue nozze i’ fei rifiuto.

ARISTONE
Al genitor è noto,
che voi Xerse cercate?

AMASTRE
Non sai?

ARISTONE
Non vi sdegnate.

AMASTRE
Non sai che all’or, che dal persian senato
contro i Greci invitato
Xerse partì, per meglio assicurarmi
de gl’eventi incertissimi di Marte,
Ottane il padre mio
fe’ condurmi in Aracca?

ARISTONE
Onde non sa,
che di là voi partite?
Or chi son io?

AMASTRE
Che chiedi?

ARISTONE
Eh non stupite.

AMASTRE
Aristone mio balio, e mio fedele.

ARISTONE
Se così è ver partiamo.

AMASTRE
E veder Xerse?

ARISTONE
Non si deve.

AMASTRE
Io voglio
fermarmi.

ARISTONE
Eh no signora.

AMASTRE
O dio, perché?

ARISTONE
Saremo conosciuti.

AMASTRE
Eh certo no.

ARISTONE
Or ora lo saprò; chi sete?

AMASTRE
Amastre.

ARISTONE
Non mi fermo. Chi siamo ogn’un saprà,
ch’a voi lo chiederà,
di finger vi scordaste, e nome e stato.

AMASTRE
E teco vuoi, ch’io finga?

ARISTONE
E se con altri
così faceste?

AMASTRE
Non temer; dirò,
che siam due peregrini
scorti da rio destin di stelle irate.

ARISTONE
Ma se ve lo scordate? Ecco vien gente.

AMASTRE
Ritiriamci.

ARISTONE
Tacete,
non parlare sapete.

Scena undicesima
Ariodate, coro di Soldati; Amastre, Aristone a parte.

ARIODATE
Già la tromba
che le stragi risuonò,
le vittorie a noi rimbomba.
Pugnammo, amici, e stette
la vittoria per noi; di Susa i piani
a gl’estinti Africani
sono angusti a formar bastevol tomba.

AMASTRE
Dunque è vinto il re moro? O noi felici!

ARIODATE
S’obbligò la fortuna
Ottane da quel dì, che l’armi perse
invitò a sua difesa; il fato stesso
vuol, ch’al fato di Xerse
quel d’ogn’altro soccomba.
Già la tromba
che le stragi risuonò,
le vittorie a noi rimbomba.

ARISTONE
Ecco Xerse.

AMASTRE
(O che luce! o che splendore!
Adoralo mio core.)

Scena dodicesima
Xerse, Eumene, Ariodate, coro di Soldati; Amastre, Aristone a parte.

XERSE
V’abbraccio, Ariodate; il vostro ferro
sempre porta vittorie.

ARIODATE
Il vostro fato
le dona a chi vi serve;
più volte provocato
venne al fine a giornata il re de’ Mori.
Formidabile, orrenda
fu la battaglia; in sì brev’ora il campo
fu seminato de’ nemici estinti,
che ben parean le morti
prevenir le ferite,
furo le stragi più, che i colpi, e lenta
la vittoria non venne.
Questi di nobil moro illustri figli,
e questi per valor, per nobiltade
nell’Etiopia insigni
a voi presento, e insieme
dell’armi perse trionfate prede
ecco le regie insegne al vostro piede.

EUMENE
Sta col vostro valore
confederata la fortuna, e ‘l fato.

XERSE
Del vostro merto e delle vostre glorie
saran memorie: or dite
come portossi Ottane?

ARIODATE
A cento vite
troncò lo stame la sua spada, e mai
si stancò la sua destra.

EUMENE
Si mostrò dunque degno
degli aiuti di Xerse.

XERSE
Abbiam diletto
delle vittorie sue, del vostro merto.
E ‘n premio de’ disagi, e de’ disturbi,
che diamo a questa vostra
città, col farne piazza all’armi nostre
per l’impresa d’Atene,
Romilda vostra figlia
avrà sposo reale
de la stirpe di Xerse, a Xerse eguale.

ARIODATE
Così arditi fantasmi
nel pensier non ammetto.

XERSE
Ite, così prometto.

ARISTONE
E noi partiam signora?

AMASTRE
Fermiamci un poco ancora.

Scena tredicesima
Xerse, Eumene; Amastre, Aristone a parte.

XERSE
Queste vittorie, Eumene,
augurano vittoria anco al mi’ amore.

AMASTRE
Hai già vinto, mio core.

EUMENE
Talvolta cor di donna è più feroce,
che barbaro spietato, o moro atroce.

AMASTRE
Costui dall’amor mio cerca ritrarlo.

XERSE
Angelica beltà
non nutre crudeltà, non ha fierezza.

AMASTRE
E se l’avesse, stral d’amor la spezza.

EUMENE
Oggetto a voi più grato
ben saprei rammentarvi.

AMASTRE
Oh scellerato!

XERSE
Io l’amo, e più serene
altre luci non vidi.

AMASTRE
O caro bene!

EUMENE
Vo’ dirlo piano; voi tradite Amastre.

AMASTRE
Che disse mai?

XERSE
Non voglio
pensar d’altra beltà.

AMASTRE
O vera fedeltà?

XERSE
Forse i rai di quel sol che m’abbagliò.
Dovrò ceder ad altri?

AMASTRE
Come? a chi?

EUMENE
Forse sì.

AMASTRE
Certo no.

EUMENE
Dirò liberi sensi;
a sponsali indecenti
dell’esser vostro v’applicate.

AMASTRE
Menti.

Scena quattordicesima
Aristone, Amastre, Xerse, Eumene.

XERSE
Che fate, ahimè?

EUMENE
Chi parla? Olà.

XERSE
Chi sete?

ARISTONE
Forestieri, signor; di novità
curioso desio vagar ci fa.

XERSE
A chi mentita diè costui, ch’è teco?

ARISTONE
A me, ma per discorso, e non per sdegno.

AMASTRE
Io dissi, che…

ARISTONE
Disse, ch’il vasto Eufrate.

AMASTRE
Che l’amor che portate…

ARISTONE
Ah sì, alle vostre genti.

AMASTRE
È degno.

ARISTONE
Oh dio, lascia parlar a me.
È degno d’un sì grande, e nobil re.

XERSE
Che d’amor, che di genti, e ché d’Eufrate?
Sciocchi mi rassembrate.

ARISTONE
De’ sempre vari oggetti
i diversi fantasmi
rendon del peregrin confusi i detti.

EUMENE
Sire, lasciam costor. Come imponeste
sin ch’il marte dell’Asia
passi a invader l’Europa
a vicenda tra lor squadre d’armati
denno finger battaglie, acciò dall’ozio
non fia vinto l’ardire;
tempo è già, che venire
qualche squadra dovrà; signor salite
nelle sale a vedere.

XERSE
Andiamo: in quelle
pugne feroci del guerriero ardore
contemplerò la ferita d’amore.

XERSE E EUMENE
Del nume guerriero
più crudo ferisce il
piccolo arciero.

EUMENE
Col dardo
d’un guardo,
col vezzo, che scocca
dolcissima bocca
fa colpo più fiero.

XERSE E EUMENE
Del nume guerriero
più crudo ferisce il
piccolo arciero.

EUMENE
Con strale fatale
all’or, che diletta
Cupido saetta
feroce, severo.

XERSE E EUMENE
Del nume guerriero
più crudo ferisce il
piccolo arciero.

Scena quindicesima
Aristone, Amastre.

ARISTONE
Ahi principessa, ed in qual grave errore
trasportovvi il furore?

AMASTRE
Indecenti sponsali
le mie nozze reali?

ARISTONE
Eh, dite piano! È tempo di partire.

AMASTRE
Sì presto ahimè!

ARISTONE
Poiché finir le guerre
per levarvi d’Aracca
Ottane manderà;
dunque torniamo là.

AMASTRE
Su via partiamo: al lito
legno appresta spedito,
intant’io qui dimoro,
vedrò forse di nuovo il sol, ch’adoro.

ARISTONE
E resterete sola?

AMASTRE
Amor sta’ meco.

ARISTONE
Cauta non è la compagnia d’un cieco.

AMASTRE
Va’, non temer.

ARISTONE
Voi qui
vi fermerete?

AMASTRE
Sì.

ARISTONE
S’alcun chiede chi sete,
ditemi che direte?

AMASTRE
Dirò, che son d’Egitto.

ARISTONE
No, ch’il candor vi mente.

AMASTRE
Dirò, che nacqui sotto l’Orsa algente.

ARISTONE
No, ch’a curiosità si moverebbe.

AMASTRE
Basta; dirò ch’ei parta.

ARISTONE
No, che si sdegnerebbe.

AMASTRE
Gli dirò, che si fermi.

ARISTONE
Ed a qual fine? A fé partir non voglio.
Darete in qualche scoglio.

AMASTRE
Non temer no, s’ei non vorrà partire,
io di qui partirò.

ARISTONE
O bene! E dove poi vi ritroverò?

AMASTRE
Va’ dico e non temer, sano consiglio
mi trarrà di periglio.

ARISTONE
Vado con gran tormento.
Signora vi rammento.

AMASTRE
Intesi.

ARISTONE
Udite
a chi si sia non date più mentite.

Scena sedicesima
Clito, Amastre.

CLITO
A fé mi fate ridere
amorosi lascivetti;
d’ogni dama, che mirate
v’infiammate;
come, come in cento affetti
un sol cor si può dividere?
A fé mi fate ridere.

AMASTRE
È scaltrito costui; certo è di corte.

CLITO
V’imprigiona, v’incatena
ogni crin, ch’un poco adorno
vada intorno;
da beltà veduta a pena
vi lasciate il cor uccidere.
A fé mi fate ridere.
Ma chi è quel, che m’ascolta?
Guerrier, chi sei?

AMASTRE
Non so.

CLITO
Dimmi il nome.

AMASTRE
Non voglio.

CLITO
Di’, dove vai?

AMASTRE
Non posso.

CLITO
Donde vieni?

AMASTRE
Non deggio.

CLITO
Di’, che vorresti?

AMASTRE
Nulla.

CLITO
Chi ricerchi?

AMASTRE
Niuno.

CLITO
Sei pazzo?

AMASTRE
Che t’importa?

CLITO
Se non ci pensi tu, men ci pens’io,
così ‘l ciel ti mantenga addio, addio.

AMASTRE
A fé questa riuscì.
O buon vecchio Ariston se fossi qui.
Regie stelle, che fatali
risplendeste a’ miei natali,
con luci sdegnate.
Non mirate
le pazzie d’un cor errante;
cieco amor, fa cieco amante.
Quanto può vezzoso sguardo!
Trasse pur con simil dardo
il picciolo imbelle
dalle stelle,
fatto armento il dio tonante;
cieco amor, fa cieco amante.

Scena diciassettesima
Arsamene, Elviro.

ARSAMENE
Ecco la lettera, Elviro.

ELVIRO
Sete risolto?

ARSAMENE
S’ho da star tra i vivi.

ELVIRO
Ch’a Romilda la porti?

ARSAMENE
O scenderò tra i morti.

ELVIRO
Che parlar li volete
altro non li scrivete?

ARSAMENE
No.

ELVIRO
Vado signore; io l’ho pensata bene.
State lieto Arsamene.
Dite, ch’io vada con felicità.

ARSAMENE
Così t’auguro, va’.

ELVIRO
Lasciate far a me.
Voglio servirvi a fé.

ARSAMENE
Innamorato cor
trafitto
dal rigor
di perfida beltà,
s’a morte avanza
altra vita non ha, che la speranza.
Il luminoso dì
del mio gioir sparì,
e un’ombra di seren
sola m’avanza:
altra vita non ho, che la speranza.

Scena diciottesima
Ariodate, Romilda, Adelanta.

ADELANTA
Romilda vostra figlia
avrà sposo reale
de la stirpe di Xerse, a Xerse uguale.
Con queste stesse voci
parlommi il re.

ROMILDA
Signor non so, non oso
pensar qual sia lo sposo.

ADELANTA
Signor credete a me,
sarà lo stesso re.

ARIODATE
No, figlia, no; il pensier tropp’alto sale
altra cosa è l’istesso, altra l’eguale.
S’ei non fosse Arsamene
fratel di Xerse.

ROMILDA
Non saprei da vero.

ARIODATE
Ma tanto non s’innalza il mio pensiero;
della stirpe di Xerse? A Xerse uguale,
faccia Giove immortale.

Scena diciannovesima
Adelanta, Romilda.

ADELANTA
Faccia che siate sposa al vostro Xerse.

ROMILDA
Mio Xerse non è.

ADELANTA
Meno Arsamene.

ROMILDA
Egli sì, perché l’amo.

ADELANTA
Egli no, perché parte esule, errante.
Perdete un re, per un perduto amante.

ROMILDA
Perduto amante? E come?

ADELANTA
D’altro strale, Arsamene il cor ferito,
si scuserà sopra del re; le fiamme
in tanto Xerse estinguerà; sarete
priva d’ambi gli amori; ah correggete
il pensier vaneggiante,
perdete un re, per un perduto amante.

ROMILDA
Sbarbicar dal terreno alta radice
lente scosse non ponno, e vi si chiede
violenza improvvisa. Odio Arsamene,
amo il re; che direte
Adelanta?

ADELANTA
Che sete
prudente; dunque ora, ch’il re bramate,
io chiederò Arsamene.

ROMILDA
E che? L’amate?

ADELANTA
Non l’amo; l’amerò.

ROMILDA
Si tosto v’accendete?

ADELANTA
Ogni cosa ha principio.

ROMILDA
Ma l’amor mio non avrà fine; intesi
intesi adesso; udite
s’impresso è ‘l vostro cor di questo amore,
pregate Giove che vi cambi il cuore.

ADELANTA
Ch’io preghi Giove che mi cambi il core?
Lo pregherò ben prima
che te con giusto stral perfida opprima.
Invidia del mio bene,
un re tu prendi a sdegno
per togliermi Arsamene?
Fai rifiuto d’un regno,
pregiudichi a te stessa
per tradire il mio amore?

Scena ventesima
Eumene, coro d’Indiani, che combattono.

EUMENE
Arcieri,
guerrieri
scoccate,
pugnate,
fingete d’avere
a fronte le schiere
dell’oste nemica.
Ben suole a fatica
trionfo seguire,
e l’ozio corrompe
di Marte le pompe,
chi studia il ferire
a vincer impara
gl’assalti più fieri.
Arcieri,
guerrieri
scoccate,
pugnate.
Tra questi sudori
d’innalzan gl’allori,
s’innaffian le palme,
s’avvezzan l’alme
a nobili glorie;
con arte maestra
il brando s’addestra,
da finte vittorie
ne seguono poi
trionfi più veri.
Arcieri,
guerrieri
scoccate,
pugnate.
Qui gli Etiopi combattono.

EUMENE
Non più guerrieri; assai
di coraggio, e valor saggio mirai.
Se colà tra nemici
contro l’armi d’Atene
pugnerete così,
vinceremo sì, sì.

Scena ventesima (alternativa)
Reggia d’Abido.
Clito, Paggi di corte, che giocano.

CLITO
Che gioco gradito
è quel della palla
si gira, si varia
con gusto infinito
quel globo per l’aria
tenendolo a galla,
che gioco gradito
è quel della palla.
Affligger quel globo
con colpi frequenti
è pur gran contento
con moto spedito
a un stesso momento
si gioca e si balla,
che gioco gradito
è quel de la palla.

CLITO
Ma cessate o compagni
di più tener fra’ le percosse vostre
quel globo prigioniero.
Qui con passo leggiero
il moto girate
e snelli danzate
sì che renda il brillar di vostre piante
di più moti capace un solo istante.
Qui segue il ballo de’ Paggi.

 

Atto secondo

Scena prima
Amastre, Elviro, vestito da vendifiori.

AMASTRE
Speranze fermate;
sì tosto fuggite?
Ancora non sete
speranze tradite.
Voi dunque m’avete
sì poca pietade?
Speranze fermate.
Pensieri sperate;
sì presto temete?
Ancora ingannati
pensieri non sete.
Già d’esser sprezzati
a torto giurate.
Pensieri sperate.

ELVIRO
Ah, chi voler fiora
de bella giardina.
Giacinta indiana,
tulipana, gelsomina.
Ah, chi voler fiora
de bella giardina.
Argo, ch’avea cent’occhi
non scoprirebbe a fé, ch’io son Elviro.

AMASTRE
Costui si ferma: ahimè!

ELVIRO
Misero sarei morto,
se del foglio, ch’io porto
sapesse il re.

AMASTRE
Che parla egli di re?

ELVIRO
Ma credo, ch’Arsamene,
nell’onde, e nell’arene
i pianti spargerà,
e che per moglie al fine il re l’avrà.

AMASTRE
Il re? per moglie? chi? Oh dèi, che sento.

ELVIRO
Xerse però dovrebbe,
sposa di regio sangue, e non vassalla
sceglier delle sue nozze al sommo onore.

AMASTRE
Dunque i’ sono schernita. Ah traditore!

ELVIRO
Ahimè! Chi voler fiora,
de bella giardina.
Non vedo alcuno, e parmi aver udito
a gridar traditore;
ma questi scherzi son del mio timore.

AMASTRE
Ah Xerse infido amante!

ELVIRO
Pur anco il cor mi trema.

AMASTRE
Così tradisci la mia fé costante!
Amico?

ELVIRO
Ah ci fui colto.
Ah chi voler fiora
de bella giardina.

AMASTRE
Ei finge altro linguaggio; è messo, o spia.
Una parola, olà.

ELVIRO
Gelsomina, tulipana.

AMASTRE
Ma non vo’ dir d’averlo udito pria.

ELVIRO
Giacinta indiana.

AMASTRE
Ferma, olà, dico a te.

ELVIRO
Da mia, che cercar?
Voler fiora comprar?

AMASTRE
No, ma senti. Che Xerse omai sia sposo
mormoran liete voci in questo dì;
vorrei saper di chi.

ELVIRO
Ti chi star,
e perché dimandar?

AMASTRE
Viator curioso e ciò ti basti.

ELVIRO
Ariodate de chista
città signor, che star a re vassallo
aver figlia Romilda, e re voler
chista sposar, e dir,
se nu sposar morir.

AMASTRE
Ma di Romilda il seno
arde al fuoco del re?

ELVIRO
No, de fratello,
ch’aver nome Arsameno.

AMASTRE
E questo forse i dolor suoi li scrive?

ELVIRO
Ahimè! Chi voler fiora
de bella giardina.

AMASTRE
Dimmi?

ELVIRO
Nu saper altro.
Tulipana, gelsomina.

AMASTRE
Speranze fuggite
adesso, che sete
speranze tradite.
Ritogliti, o fortuna
quelle, che fin dal dì de’ miei natali
preparasti al mio piè, soglie reali;
a un’alma disperata
si convengono più balze romite,
speranze fuggite
adesso, che sete
speranze tradite.
Xerse, barbaro Xerse,
dunque perché li dispergessi ai venti
tutti posi in tua mano i miei contenti?
Ah sì fier non flagella
impetuoso gel piagge fiorite,
speranze fuggite
adesso, che sete
speranze tradite.

Scena seconda
Elviro, Clito, Adelanta.

ELVIRO
Pur al fin s’è partito;
ecco un maggior disturbo, arriva Clito.
Ah, chi voler fiora.

CLITO
Hai tu bei nastri? olà ferma, ch’io veda.

ELVIRO
E che star nastro? Quale sorta fiora?
Ei mi conosce or ora.

CLITO
Nastro non sai, che sia?

ELVIRO
Star viola, o narciso?

CLITO
Ah, ah, mi muovi, a riso; un nastro è questo.

ELVIRO
Chisto? Mi a ti donar.
Addio, andar, andar.

CLITO
Grazie ti rendo.

ELVIRO
Eh va’ in buon’ora.

CLITO
Addio.
Sai, che non voglio far.

ELVIRO
(Non parte più.)

CLITO
Voglio darlo alla mia vaga vezzosa.

ELVIRO
Anco rosa donar.
Addio, andar, andar.

CLITO
Sarò del viver mio per tutti i giorni
memore del favor.

ELVIRO
Temo ch’ei torni.

ADELANTA
Figlio del genio amor.
Che legge non hai,
che nudo te n’ vai,
che vuoi dal mio cor?

ELVIRO
Ecco Adelanta a fé.

ADELANTA
Scherzi col mio desir
aligero ignudo
a dir, che quel crudo
mi debba gradir.

ELVIRO
Ah chi voler fiora
de bella giardina.

ADELANTA
Olà vien qui. Co’ fiori
nutre il veleno suo vipera ancora.

ELVIRO
Voler giacinta, voler gelsomina.

ADELANTA
Di strano, che cos’hai?
Strani son anco del mio cor i guai.

ELVIRO
Dimandar, respondir.

ADELANTA
Tieni amaranti?
Convien l’amaro nome ai mesti amanti.

ELVIRO
Chisto no aver.

ADELANTA
Avresti un vago croco,
spiegherà l’ardor mio color di foco.

ELVIRO
Chisto no aver. Ma mi chi star?

ADELANTA
Non so.

ELVIRO
Voler sapir?
Dimandar, rispondir.

ADELANTA
Chi sei?

ELVIRO
Chi son? Mi conoscete adesso?

ADELANTA
Tu quivi? O sventurato!

ELVIRO
Gran rischio è ver? Or ora
aggiusto ogni rovina;
ah chi voler fiora
de bella giardina.

ADELANTA
Il ciel ti guardi bene; ora che porti?

ELVIRO
Lettere d’Arsamene
all’amata Romilda.

ADELANTA
A me le porgi
io le darò, tu parti, fuggi, vola.

ELVIRO
Ecco a voi le consegno, ella dov’è?

ADELANTA
Sta nelle stanze sue scrivendo al re.

ELVIRO
Al re, ma che li scrive?

ADELANTA
Ch’in lui spera, in lui vive.

ELVIRO
E d’Arsamene?

ADELANTA
Punto non li sovviene.

ELVIRO
Così dunque s’inganna
un fedel amator? Empia, tiranna!
disleale, infedele,
aspe, tigre crudele.

ADELANTA
Parti Elviro, ch’il re già s’avvicina.

ELVIRO
Ah chi voler fiora
de bella giardina.

Scena terza
Adelanta, Xerse, Eumene.

XERSE
Aprasi questo foglio;
s’al mio intento s’adegua, usar lo voglio.

XERSE E EUMENE
Fortunato quel cor,
che vive in libertà;
che del bambino Amor
seguace non si fa.
Misero chi cadé
d’amor in servitù;
sciolto da lacci il piè,
gioir non speri più.

EUMENE
Ecco Adelanta.

ADELANTA
Ecco opportuno il re.

XERSE
Di quel foglio Adelanta,
lice saper gli arcani?

EUMENE
Saran forse amorosi.

ADELANTA
È ver; ma strani.

XERSE
Più ne son curioso, e volentieri
li leggerei.

ADELANTA
Negar non deggio, ma…

EUMENE
Ma che?

ADELANTA
Oh dio, temo.

XERSE
Di che temete?

ADELANTA
Mi perdonate?

XERSE
Sì.

ADELANTA
Dunque leggete.
(Deh seconda l’inganno ignudo arciero.)

XERSE
Scrive Arsamene.

ADELANTA
È vero.

XERSE
(legge)
«All’or, che nell’Ibero ascoso il sole
scintilleranno in ciel l’auree facelle,
verrò notturno, ove talor mi suole
il raggio balenar di vostre stelle.
Ivi a dispetto di maligna sorte,
o sarò vostro, o pur sarò di morte.»
A chi scrive Arsamene?

ADELANTA
A me.

XERSE
A voi?

ADELANTA
Vi sdegnate?

XERSE
Stupisco, non mi sdegno;
non ama egli Romilda?

ADELANTA
Ella ben l’ama; ei finge, acciò sdegnosa
de’ nostri amori non disturbi il nodo;
ella dell’ombra, io della luce godo.
(Bell’inganno se riesce.)

XERSE
Siamo felici, o cor?

EUMENE
Strana avventura.

ADELANTA
Pur da gelosa cura
l’ore esenti non passo; e ben desio,
e voi ne prego, o sire,
che pubblico imeneo lo faccia mio.

XERSE
Farollo in questo die;
o vostro sposo, o preda all’ire mie.

ADELANTA
Sire, ei dirà, che pria sarà nud’ombra,
fredd’ossa, poca polve, e spirto errante,
che lasci d’esser di Romilda amante.
Ma voi, ch’il ver sapete
alle menzogne sue nulla cedete.

XERSE
Ite; lasciate il foglio a me per prova.

ADELANTA
(Bella frode, se giova.)

Scena quarta
Eumene, Xerse, Romilda.

EUMENE
Ecco Romilda.

XERSE
A fé giunge opportuna.
Ingannata Romilda
questo foglio leggete;
dite poi s’Arsamene amar dovete.

ROMILDA
Leggo.

XERSE
E di giusto sdegno
tutta non avvampate?

ROMILDA
A chi scrive?

XERSE
Alla sua cara Adelanta.

ROMILDA
Dov’è la sopra carta?

XERSE
Qual si costuma a terra
quando l’aprì gettolla; io già non mento.

ROMILDA
Non m’uccider tormento.

XERSE
Che farete?

ROMILDA
Piangente ogn’or vivrò.

XERSE
L’amerete?

ROMILDA
L’amerò.

XERSE
Sebbene ei vi tradì?

ROMILDA
Empia sorte vuol così.

XERSE
Sebbene ei v’ingannò
l’amerete?

ROMILDA
L’amerò.

XERSE
Un’anima sì dura
cieli tempraste sol, per mia sventura.

ROMILDA
L’amerò non fia vero.
Amante traditor, sorella indegna?
Empia fortuna, scellerate stelle
non fulminate il perfido ribelle
mentitor, menzognero?
L’amerò? Non fia vero.
Figlio di Dario tu? fratello a Xerse?
O che non chiudi in seno anima umana
o che libico serpe, o tigre ircana,
o ti produsse, o t’allattò spietato,
barbaro, menzognero,
l’amerò? non fia vero.

Scena quinta (aggiunta)
Ellesponto col ponte sulle navi.
Eumene.
Umanità infelice!
Scopo delle miserie,
scherzo della fortuna: i primi uffici
del nascente mortal son pianti, e doglie,
e perché questa vita è sempre amara
pria sospirar, che respirar impara.
Altri l’inopia affligge,
altri delle grandezze opprime il pondo,
è tutto alfine una miseria il mondo.
E s’altro ch’il tormenti
con rigido tenore
non trova l’uom, lo tiranneggia amore.
Xerse il mio rege è grande,
è regnante, e monarca, e ciò non basta,
ch’un cieco ignudo ogni suo ben contrasta.
Non ha pace, non ha bene
chi ritiene
dentro il petto le scintille,
che due lucide pupille
sanno accendere.
Chi si lascia un giorno prendere
d’un bel crin fra le catene
non ha pace, non ha bene.
Quando il core fu piagato
del bendato
nudo arcier dell’aureo strale
ogni schermo è lieve, e frale
per resistere.
Ei non sa dal mal desistere,
e chi cede alle sue pene
non ha pace, non ha bene.

Scena sesta
Aristone, Amastre.

ARISTONE
Lasciate questo ferro.

AMASTRE
Io vo’ morire…

ARISTONE
Tanto credete a un vil plebeo? Che dunque
degl’affetti reali
interpreti saranno i giardinieri?
Che dalle lor follie
andate a mendicar sciocco martire?
Lasciate questo ferro.

AMASTRE
Io vo’ morire.

ARISTONE
Dunque a rapir a Cloto
di vostra vita il filo
immaturo destin sforzar volete?

AMASTRE
Sì ch’io voglio morir.

ARISTONE
Ahimè tacete.
Voi donzella reale
sul margine d’un lito
così morir? Della mordace plebe
favola vi farete.

AMASTRE
Eh lascia ch’i’ m’uccida.

ARISTONE
Ahimè, tacete,
e di me che dirassi?
Della mia fede incanutita omai
tutto il pregio si perde. Amastre di dio,
vi mova il vostro onore, vi mova il mio.
Del genitor languente
figuratevi i pianti,
le disperate note;
il Caucaso non ha sì dura cote,
ch’al suo dolor non si frangesse.

AMASTRE
Hai vinto,
va’ ch’io cedo alla tua
pietade insidiosa. Andiamo.

ARISTONE
E dove?

AMASTRE
A Xerse.

ARISTONE
Ed a qual fine?

AMASTRE
A dirli almeno
ch’è un traditor, un scellerato, un empio.
Andiamo.

ARISTONE
Oh ciel, che fate?
Uditemi, fermate.

Scena settima
Arsamene, Elviro.

ARSAMENE
Chi te ‘l disse?

ELVIRO
Adelanta.

ARSAMENE
E che ti disse?

ELVIRO
Ciò, che v’ho detto già,
che Romilda ama il re,
ch’a lui scrivendo sta.

ARSAMENE
E non s’apre il terreno?
E l’iniqua non porta
voragine profonda a Pluto in seno?
Così ti disse?

ELVIRO
Così appunto.

ARSAMENE
Come?

ELVIRO
Come v’ho detto già.

ARSAMENE
Che Romilda ama il re?
Che a lui scrivendo sta?
Adelanta te ‘l disse?

ELVIRO
Ella signore.

ARSAMENE
Nell’Ircania colà belva più fiera
di Romilda inumana
qual mai si ritrovò?
Adelanta te ‘l disse? E non scherzò?

ELVIRO
Me ‘l disse, e non scherzò.

ARSAMENE
Sciocco è ben chi crede a femmina,
che del vento è lieve più,
genio mutabile,
pensiero instabile,
cor senza fé
non dà mercé,
stringe l’aura, e l’onde semina
chi li presta servitù.

ELVIRO
Fuggiam di Xerse l’ire.

ARSAMENE
Non cerca di fuggir chi vuol morire.

Scena ottava
Eumene, Xerse, coro di Marinari.

EUMENE
La bellezza è un don fugace,
che si perde in pochi dì,
il suo sereno,
come baleno
tosto fuggì.
Chi s’accese, e ne languì
speri pure nel tempo edace
la bellezza è un don fugace.
L’alterezza d’un bel volto
si castiga con l’età,
il fresco, il verde
tosto disperde
fior di beltà,
e struggendo ogn’or si va,
come al vento esposta face.
La bellezza è un don fugace.

XERSE
Eumene?

EUMENE
Alto signor.

XERSE
Vediamo il ponte.

EUMENE
Ecco in onta de’ flutti,
giunto Sesto ad Abido.

XERSE
Un lito all’altro
accomuna il passaggio; e ‘l mar infido
macchina inutilmente ondoso oltraggio.

CORO DI MARINARI
Viva Xerse lunga età,
che cavalcabili quest’onde fa.
Viva Xerse lunga età.

XERSE
Per passar in Europa
è già in ordine il tutto, in Asia ancora
non voglio ch’aspettiam la terza aurora.

CORO DI MARINARI
Queste fiamme, ch’ardon già
mostrano il giubilo,
ch’in sen ci sta.
Viva Xerse lunga età.

XERSE
Quanto di queste, Eumene,
la fiamma del mio cor, è più vorace.
Ma qui giunge Arsamene.

EUMENE
Costanza pertinace! Ama Adelanta,
finge d’amar Romilda,
e per celar il ver con l’apparente,
seco stesso crudel, al bando assente.

Scena nona
Xerse, Arsamene.

XERSE
Arsamene? Ove andate?

ARSAMENE
A ber l’onda di Lete,
sol per scordarmi che fratel mi sete.

XERSE
Vuò parlarvi, fermate.

ARSAMENE
Letal portento è che favelli un mostro.

XERSE
Cessi lo sdegno vostro.

ARSAMENE
Cessi vostra empietà.

XERSE
Voglio sposarvi
a colei che bramate.

ARSAMENE
Ancora mi beffate?

XERSE
So di qual fiamma ardete,
lessi le vostre note.

ARSAMENE
(Ah che Romilda
il foglio palesò.)

XERSE
So quanto è forte
il nodo, che vi stringe, e stimerei
colpa il disciorlo; e solo
col nasconderlo a me, foste a voi stesso
cagion di duolo.

ARSAMENE
E or, che lo confesso?
E che già lo sapete?

XERSE
Per consorte l’avrete.

ARSAMENE
Ora lasciate,
ch’io vi baci la destra.

XERSE
Tanto l’amate?

ARSAMENE
Più che l’alma mia.

XERSE
E no ‘l diceste pria? Lieti saremo
ambi in un stesso dì
io sposo di Romilda.

ARSAMENE
E io di chi?

XERSE
D’Adelanta, ch’amate.

ARSAMENE
Ah m’ingannate
finor, che mi diceste?

XERSE
Di Romilda intendeste?

ARSAMENE
D’Adelanta parlaste.

XERSE
So ch’amate Adelanta.

ARSAMENE
Amo Romilda.

XERSE
So che fingete.

ARSAMENE
So, che mi schernite.

XERSE
Eh non fingete più.

ARSAMENE
Dunque Romilda
a me non concedete?

XERSE
Eh, che non la volete.

ARSAMENE
La voglio, e l’otterrò,
e se del cielo avrò nemici i numi
le forze di Cocito invocherò.

XERSE
Non la volete, no.

ARSAMENE
E s’avessi nemico anco l’inferno
in onta delle stelle, e degl’abissi
la voglio e l’otterrò.

XERSE
So che fingete, so.

Scena decima
Adelanta, Xerse.

ADELANTA
V’inchino eccelso re.

XERSE
Negò pur ora
Arsamene costante
di non esservi amante.

ADELANTA
Voi che diceste, o sire?

XERSE
Che so che per Romilda è finto il foco,
ei si diè ‘n preda all’ire.
Credete a me; Romilda è l’adorata,
voi sete l’ingannata
dall’empio scellerato;
non l’amate l’ingrato.

ADELANTA
Voi mi dite, ch’io non l’ami,
ma non dite se potrò.
Troppo belle
son le stelle,
ch’al suo volto il ciel donò.
Troppo stretti quei legami,
onde amor m’incatenò.
Voi mi dite , ch’io non l’ami,
ma non dite se potrò.
Troppo caro
benché amaro
è lo stral, che mi piagò.
Dico al cor, che non lo brami,
ma fuggirlo il cor non può.
Voi mi dite, ch’io non l’ami,
ma non dite se potrò.
Il cinabbro
di quel labbro
troppo vago amor formò:
del mi’ amor s’io tronco i rami
le radici in sen pur ho;
voi mi dite, ch’io non l’ami,
ma non dite se potrò.

Scena undicesima
Elviro.
Me infelice! ho smarrito il mio signore,
ma mi confesso reo? Son pazzo a fé:
egli ha smarrito me.
Forse per questo ponte ei se n’andò;
no, ch’io no ‘l vedo no.
Ma qual adombra il ciel repente nubilo
l’onde fremono, l’aria sibila.
Vacilla il ponte, e fa danzar il piè,
pietà, pietà Nettuno: ahimè, ahimè!
Tutto si spezza il ponte, e non poss’io
tornar al lito: oh dio!
Cieli s’il mio morir punto v’incresce
cangiatemi in un pesce,
mar di qua, mar di là,
questo, che mi sostien lacero avanzo
tosto s’affonderà,
chi mi soccorre? chi per carità?
I lampi m’acciecano,
i folgori m’assordono,
quante montagne d’acqua
sorgon di qua, e di là:
chi mi soccorre? chi per carità?

Scena dodicesima
Stanze terrene che portano alle sale.
Ariodate.
O ben sparsi sudori! O ben di Marte
non temute fatiche!
O felice per me guerra de’ Mori!
Onde lieto ritorno,
e l’Asia di trofei spargo, e adorno.
Chi brama
di gloria, di fama
memoria lasciar,
né campi guerrieri
se n’ vada a pugnar.
Un animo forte
acquista vita in disprezzar la morte.
Un core,
che cerca splendore,
che fugge viltà,
se n’ vada tra l’armi,
che pregio n’avrà,
a nobil desire
è per la patria sua gloria il morire.

Scena tredicesima
Amastre, Xerse.

AMASTRE
Morirò: volete più?
Stelle crude al mio martir
s’il mio duolo a raddolcir
vostri rai non han virtù.
Morirò: volete più?
Se tradita la mia fé
se non posso aver mercé
di costante servitù
morirò; volete più?

XERSE
Gran pena è gelosia.

AMASTRE
Lo sa ‘l mio core.

XERSE
Per altri son sprezzato?

AMASTRE
Ed io schernita.

XERSE
Aspra sorte!

AMASTRE
Empie stelle!

XERSE
O Romilda crudel!

AMASTRE
Xerse ribelle!

XERSE
Chi parla?

AMASTRE
Un infelice.

XERSE
(Ei rassomiglia
tutto ad Amastre.) Chi sei tu?

AMASTRE
Io sono
uno, che v’ha servito.

XERSE
In guerra forse.

AMASTRE
In guerra e fui ferito.

XERSE
Vuoi tornar a servirmi?

AMASTRE
Ci penserò.

XERSE
Perché?

AMASTRE
Perché vo’ servir, senza mercé.

XERSE
Che? mi trovasti ingrato?

AMASTRE
Son rimasto ingannato.

XERSE
Chiedi la tua mercede.

AMASTRE
Altri l’usurpa.

XERSE
Ti darò cosa eguale.

AMASTRE
Non serve; e non l’avete.

XERSE
E che vorresti?

AMASTRE
Ciò, che a me dovete.

XERSE
Ecco ‘l mio bene: parleremo appresso.
Torna, che per brev’ore
tengo affar, che m’importa.

AMASTRE
Ah traditore.

Scena quattordicesima
Xerse, Romilda, Amastre, Capitano della guardia di Xerse.

XERSE
Romilda, e sarà ver, ch’al foco mio
non si distempri il vostro gelo? Invano
pianger mi lascerete?

AMASTRE
(Oh che inumano!)

XERSE
Abbiatemi pietà.

AMASTRE
(Qual tu l’hai meco.)

XERSE
È vostro questo core.

AMASTRE
Avvertite signore
ciò, che dovete a me non date altrui.

XERSE
Va’, che sarai premiato.

AMASTRE
Non m’intende l’ingrato.

XERSE
Il mio destin reale
si piega al vostro fato.

AMASTRE
Ah disleale!

XERSE
Se cedete al mio amor, di regie fasce
il crin vi circondate.

AMASTRE
Signor non v’impegnate,
che forse quel ch’è mio non disponeste.

XERSE
Quante istanze moleste!
Avrai premio a suo tempo:
io premiai sempre servitù fedele.

AMASTRE
Non m’intende crudele.

XERSE
Romilda, mia regina esser dovete,
che dite? Rispondete.

ROMILDA
L’alto grado mi rende
confusa, e meritarlo
prima desio, che d’ottenerlo aspiri.

XERSE
No: risolvete pure.

ROMILDA
Datemi luogo ch’io ci pensi.

XERSE
Errate,
vo’ conchiuder adesso.
Porgetemi la destra.

AMASTRE
Ah no fermate,
ch’il re v’inganna.

XERSE
Che ardimento è questo?
Olà, costui prendete: a noi dinanzi
tosto condotto sia.

AMASTRE
M’ucciderete pria.

XERSE
Vo’ che ragion mi renda
di questa sua temerità importuna.
O che strano disturbo.

ROMILDA
(O che fortuna.)

Scena quindicesima
Xerse, Romilda, Amastre, Capitano della guardia di Xerse.

AMASTRE
Addietro vil canaglia.

ROMILDA
Olà cessate.
Libero vada quel guerriero.
SOLDATO
Il re
prigion lo chiede.

ROMILDA
Ed io libero il voglio.

CAPITANO
È l’arbitrio del re maggior ch’il vostro
e l’amor, che a voi porta
ben gli tolse del cor la libertà,
ma non l’autorità.

ROMILDA
Ubbidite; tacete.

CAPITANO
Egli da noi
fia che ragion ne voglia.

ROMILDA
A me la chieda.

CAPITANO
Contro di noi s’accenderà di sdegno.

ROMILDA
Io v’assicuro: dite,
ch’io v’imposi così.

CAPITANO
Dunque ubbidiamo;
ite pur, non temete: e voi partite.

AMASTRE
Le fortune, la vita, e l’esser mio
in eterno obbligate.

ROMILDA
Ite, non vi fermate,
che non venisse il re,
se non quanto mi dite
perché ardiste di lui sturbar le voglie?

AMASTRE
Perché so, ch’ei vi sforza, e so, ch’amore
di fiamme più gradite
v’accende il sen.

ROMILDA
Partite.
E pur è ver, che chi mi segue i’ fuggo,
per chi mi fugge i’ moro.
Tradita sono, e ‘l traditor adoro.
Amante non è
chi cede al furor
d’irata fortuna,
tutto quel, che Pluto aduna
più perfido rigor
non vince il mio core,
non turba mia fé,
chi teme il dolore,
amante non è.
Ardito nocchier
sa vincer del mar
l’ondose procelle,
quante può serpi rubelle
Tesifone vibrar
quest’alma sostiene
costante in sua fé,
chi teme le pene
amante non è.

Scena sedicesima
Clito, Elviro.

CLITO
T’accolsi meco in nave, e ti salvai
dall’impeto de’ flutti,
ora lieti cantiamo.

ELVIRO
Che canteremo?

CLITO
Sai
la canzonetta della donna avara?

ELVIRO
La so.

CLITO
Cantiamla dunque
e così lieto passeremo il dì.

ELVIRO
Cantiamo sì, sì.

ELVIRO E CLITO
A labbra di rose,
a guance vezzose
riguardo non ho.
Amanti vi dirò
sensi liberi e chiari,
se voi volete baci, io vuò danari.
A chioma pomposa
di polve odorosa
non pongo pensier
chi dunque vuol goder
questo precetto impari
se voi volete baci, io vuò danari.

Scena diciassettesima (aggiunta)
Adelanta.
E te pur vero, o core,
che persisti costante,
e sei d’un marmo, e sei d’un aspe amante!
Come per abbruciarti
può trovar tanto ardor chi ardor non sente?
A che da selce algente
nascon le mie facelle:
questo è vostro rigor; v’intendo, o stelle.
Luci mie, che miraste
quel bel sol, che m’abbagliò,
voi che semplici cercaste
il crin d’or che mi legò,
voi che del mio penar la colpa avete
di dover lagrimar non vi dolete.
Occhi miei voi che godeste
lo splendor d’una beltà,
ch’al mirarla par celeste,
ma infernale al duol che dà,
voi che del mio penar la colpa avete
di dover lagrimar non vi dolete.

Scena diciottesima
Periarco, Aristone.

PERIARCO
Beato chi può
lontan dalle corti,
goder quelle sorti,
ch’il ciel li donò.
Cercando si va
i fior tra le spine,
e in tanto di brine
ci sparge l’età.

ARISTONE
Lo sguardo lagrimoso
il debil fianco annoso
dove rivolgo più?
Amastre, ove sei tu?

PERIARCO
Chi favella d’Amastre? Egli mi sembra
sì, ch’è desso Aristone?

AMASTRE
E chi mi chiama, o dio?
Che impaccio! Fingerò. Per dove n’andate?

ARISTONE
Signor, a chi parlate?

PERIARCO
Mi conoscete?

ARISTONE
No, signor.

PERIARCO
Io sono
Periarco di Susa, amico vostro
vengo d’Ottane, genitor d’Amastre
ambasciator a Xerse.

ARISTONE
(Amastre, Susa, Periarco, Ottane,
nomi non conosciuti,
come nuovi li sento;
né voi certo più vidi, oh quant’io mento!)

PERIARCO
Non siete voi balio d’Amastre?

ARISTONE
Errate.
Mi prendete in iscambio.

PERIARCO
Voi non sete Ariston?

ARISTONE
Ch’io sappia no.

PERIARCO
Eh sete d’esso, e mi burlate.

ARISTONE
A fé
rider mi fate: addio.

PERIARCO
Ascoltatemi un poco.

ARISTONE
Eh voi prendete a gioco
farmi perder il tempo. Ahimè, respiro.

PERIARCO
Resto in dubbio, se sogno, o se deliro.

Scena diciannovesima
Periarco, Aristone, Amastre.

AMASTRE
Pur ti trovo Ariston.

ARISTONE
Di qui partiamo.

PERIARCO
Chi gli parla?

AMASTRE
Perché?

ARISTONE
Siam rovinati; ahimè.

PERIARCO
Che miro? Amastre è questa.

ARISTONE
Vi dirò.

AMASTRE
Dimmi adesso.

PERIARCO
Mente l’abito e ‘l sesso!

ARISTONE
Oh dio venite.

PERIARCO
V’inchino principessa.

ARISTONE
Or non m’udite.

AMASTRE
Che veggio ahimè!

ARISTONE
Negate.

PERIARCO
Deh, principessa, qual avversa sorte
vi scinge estraneo arnese? Eccomi pronto
se fa d’uopo alla morte.

AMASTRE
Io donna? Io prencipessa?

ARISTONE
Oh questa è bella.

PERIARCO
Deh riverita Amastre,
meco non simulate.

AMASTRE
Qual è ‘l mio nome?

PERIARCO
Amastre.

AMASTRE
Eh delirate.

PERIARCO
Tutto m’onora ciò, che dite. Io vengo
ambasciator d’Ottane
ad offerir le vostre nozze a Xerse.

AMASTRE
Xerse vuol altra sposa.

ARISTONE
Andiamo prencipessa; ahimè che dissi!

PERIARCO
O pur diceste il vero.

ARISTONE
Ah, ah, ch’io scherzo,
con il vostro pensiero.

PERIARCO
Sogno? Veglio? Che fo?
Vaneggio sì, o no?

Scena ventesima
Xerse, Periarco.

XERSE
Quante son d’amor le pene
il mio cor omai lo sa,
di Cocito fra l’arene
duol più fiero non si dà.

PERIARCO
Ecco Xerse. De’ Persi alto monarca
v’inchina il re di Susa, e vi desia
dal ciel salute; e questo
real foglio v’invia.

XERSE
Le sue memorie
a noi son care, e liete,
il foglio è di credenza.
L’ambasciata esponete.

PERIARCO
Egli dall’armi vostre
riconosce gl’allori,
che riportò de’ Mori; e immortali
ed obblighi, e memorie
ne registra nel core, e ne gl’annali.

XERSE
Molto dobbiamo a queste
dimostranze cortesi.

PERIARCO
Altre maggiori
a loco più secreto
ne rimetto, e riserbo.

XERSE
Io sarò pronto
sempre ad udir: ditemi intanto. Amastre
la vostra principessa ov’è? Che fa?

PERIARCO
Oh dio, che deggio dir? Forse lo sa:
no, che saper no ‘l de’.

XERSE
Dite che fa? Dov’è?

PERIARCO
(Io fingerò.) Signor, duolo improvviso
il cor m’assale e sento
quasi svenirmi.

XERSE
Entriam: nulla temete
da dotta man celere aita avrete.

Scena ventunesima
Romilda, Eumene.
Coro di Soldati, che combattono.

CORO DI SOLDATI
La fortuna è variabile,
incostante il dio d’amor
questo cangia suo tenor,
quella è più dell’onda instabile,
sol costante ne’ miei guai,
né fortuna, né amor si cangia mai.
I pianeti in ciel si girano,
altro alcun fermo non sta;
ostinata ferità
l’altrui stelle ogn’or non spirano;
solo ferme né’ miei guai
né le stelle, né ‘l ciel si cangian mai.

ROMILDA
O sete qui? Direte a Xerse, Eumene,
che a un re non si conviene
l’insidiar donzelle.

EUMENE
Spesso chi dice il ver perde l’amico.

ROMILDA
Ditegli, ch’io lo dico.

EUMENE
Chi presume dar legge a un cor amante
potrà tener a fren l’aura volante.
Mai ricetto
nel mio petto
al tuo strale, amor, darò
da bei sguardi
vibra dardi
quanto sai, non amerò.
A faville
di pupille
il mio cor non arderà,
a fierezza
di bellezza
l’occhio mio non piangerà.
Ma già di Marte agl’esercizi pronte
vedo venir le schiere,
mi ritiro a vedere.
Qui segue combattimento.

EUMENE
Arrestatevi, o prodi,
o valorosi, o forti,
con prospere sorti
pugnando così;
nel giro d’un dì
dell’armi nemiche
d’Atene colà
vittoria s’avrà.

 

Atto terzo

Scena prima
Giardino.
Romilda, Arsamene, Elviro.

ROMILDA
Non mi dir, che ti distruggi
in acerba servitù,
che non voglio udirti più.
Già t’ho detto fuggi, fuggi,
non amar chi non ha fé:
ostinato mio cor non dir di me,
non mi dir, ch’è gran durezza
adorar, chi ti tradì:
tu sei quel, che vuoi così.
Già t’ho detto spezza, spezza
le catene, e sciogli il piè:
ostinato mio cor non dir di me.

ARSAMENE
Lasciami.

ELVIRO
Verrà Xerse.

ARSAMENE
Io non ci penso.

ELVIRO
Saremo carcerati,
cercate il precipizio.

ARSAMENE
Uso de’ disperati.

ROMILDA
Che rumore? Chi sete?

ARSAMENE
Chi son? Chi son? Strana richiesta! Io sono.

ROMILDA
Troppo lo so, fermate.

ARSAMENE
No ‘l sapete, ascoltate.
Son un scoglio di fé, dall’onda insana
della perfidia vostra,
agitato, percosso: un’elce annosa,
lacera, e dissipata
dagl’aquilon malvagi
della vostra fierezza.

ROMILDA
Oh dio tacete:
ascoltate chi sete.
Un angue sete, un aspe,
una fera, una furia,
un traditor ribelle.
Per pena amor, non per pietà, le stelle
tardano a fulminarvi,
parto, che più non posso
sostener di mirarvi.

ARSAMENE
Ite, ch’il re v’aspetta.

ROMILDA
Ite pur voi,
che vi aspetta Adelanta.

ARSAMENE
Che Adelanta? Infedele!

ROMILDA
Che re? Tigre crudele!

ARSAMENE
Eh non fingete, so che al re scriveste.

ROMILDA
Io scrissi? Oh dispietato!
Ad Adelanta voi scriveste, ingrato.

ARSAMENE
Bel pretesto, inumana.

ROMILDA
Elviro il sa.

ARSAMENE
Adelanta il dirà.

ROMILDA
Che potrà dir?

ARSAMENE
Che scritto a Xerse avete
che sposa omai li sete.

ROMILDA
V’ingannate Arsamene.

ARSAMENE
Elviro è qui.

ROMILDA
Ecco Adelanta viene.

Scena seconda
Adelanta, Romilda, Arsamene, Elviro.

ADELANTA
(Ahi scoperto è l’inganno.)

ROMILDA
Opportuna giungete.

ADELANTA
Io torno a dietro,
se voi v’ingelosite.

ROMILDA
Ah perfida! Venite Elviro?

ARSAMENE
Elviro?

ELVIRO
Signor.

ARSAMENE
Vien qui, rispondi.

ELVIRO
A chi?

ARSAMENE
A Romilda.

ELVIRO
Son bandito.

ROMILDA
Egli sfugge
d’offendervi col vero.

ARSAMENE
Olà, dico?
Ubbidisci.

ELVIRO
Ubbidisco.

ROMILDA
Che ti disse Adelanta allor, ch’il foglio
d’Arsamene li desti?

ELVIRO
Signor deh fate, che lo chieda a lei,
ch’io parlar non vorrei.

ROMILDA
Ditegli, ch’ei dirà ciò, che volete.

ARSAMENE
Parla, e vanne colà.

ELVIRO
O me infelice poi, s’il re lo sa.
Signora dite voi che mi diceste?

ADELANTA
Che Romilda ama il re.

ARSAMENE
E che volete più?

ROMILDA
Dunque ingannate.

ADELANTA
Piano; non v’adirate: udite pria.
Elviro, con un foglio
d’Arsamene, venia;
io per recarlo a voi
lo presi, e perché il servo
ostinato, partir non si volea,
se voi pria non vedea,
acciò non visto ritogliesse il piè
finsi, che foste voi scrivendo al re.

ROMILDA
Zelo troppo affettato.

ELVIRO
Io non li ho già parlato.

ADELANTA
Xerse mi sopraggiunse, e della carta
i trattati mi chiese; io per oppormi
a motivi di sdegno
finsi a me scritto il foglio, e d’Arsamene
amata mi chiamai:
questo titolo solo infruttuoso
per giovarvi usurpai.

ROMILDA
Fatte quanto sapete
Arsamene il mio ben non mi torrete.

ADELANTA
Sentenza iniqua, e ria!

ARSAMENE
Or, che dite Romilda?

ROMILDA
Or che dite Arsamene?

ARSAMENE
Che v’amo.

ROMILDA
Che v’adoro.

ARSAMENE
Che sol vivo per voi.

ROMILDA
Che per voi moro.

ROMILDA E ARSAMENE
M’amerete?
V’amerò sempre sì, sì.
Insieme

ARSAMENE
Per vivere felice
mi basta così.

ROMILDA
Per vivere beata
mi basta così.

ADELANTA
Per vivere dannata
mi basta così.

ROMILDA E ARSAMENE
Se pietose mi girate
pupille adorate,
il vostro splendor,
di sorti adirate
non temo il furor.
Ad essermi benigne, o luci belle,
da’ vostri raggi impareran le stelle.
M’amerete?
V’amerò sempre, sì, sì.
Insieme

ARSAMENE
Per vivere felice
mi basta così.

ROMILDA
Per vivere beata
mi basta così.

ADELANTA
Per vivere dannata
mi basta così.

ROMILDA
Ecco in segno di fé la destra amica.
Adelanta mirate.

ADELANTA
Ecco Xerse: che fate?

ROMILDA
O che sciagura!

ARSAMENE
Oh disturbo!

ADELANTA
O ventura!

ELVIRO
Signor v’aspetterò fuor de le mura.

ROMILDA
Nascondetevi.

ADELANTA
Anch’io m’asconderò.

ROMILDA
Fermatevi, non vuò.

ARSAMENE
Siate fida avvertite.

ROMILDA
Se qualche fera vien voi non uscite.

Scena terza
Xerse, Romilda, Adelanta, Arsamene nascosto.

XERSE
Romilda, che vi mosse
a dar la libertade a quel guerriero,
ch’io volea prigioniero?

ROMILDA
Il suo valor, che con un ferro solo
ribattea mille colpi.

XERSE
A voi, che avete
merto d’incatenar lo stesso Xerse,
non so disdir, che poi
scioglier possiate i prigionieri suoi.
Già sete mia regina.

ROMILDA
Signor, volo tropp’alto
è infallibil ruina.

XERSE
Deh non negate più;
sì dura crudeltà
è vizio, non virtù.
Deh non negate più.

ROMILDA
Negherò sempre
ciò, ch’affermar non mi concede il fato.

XERSE
Uso d’ogni ostinato,
scusarsi col destin. Lacera, e svelta
dagl’Austri furiosi alfin si vede
quercia, ch’all’aure molli
non si piega, non cede:
intendete Romilda?

ROMILDA
Ah, troppo intesi.

XERSE
Non partirò, se pria. Basta. Che dite?

ROMILDA
Che del mio genitor vi vuol l’assenso.

XERSE
E poi, che dubbio v’è?

ROMILDA
Ubbidirò al mio re.

XERSE
Vado a chiederlo: intanto
mi stillo in gioia.

ROMILDA
Ed io mi struggo in pianto.

Scena quarta
Arsamene, Romilda, Adelanta.

ARSAMENE
Ubbidirò ‘l mio re?
Così dite Romilda? E che non dite
son sposa d’Arsamene? Empia, v’intendo:
il fulgido tesor dell’aureo serto
e v’abbaglia, e vi compra: or dite, ingrata,
che del Tanai lontan l’onda gelata
a ber io vada, onde s’ammorzi il mio
foco sprezzato; su ditelo: ahimè,
presto, ubbidite il re.

ROMILDA
Ahi chi toglie a’ miei lumi
del sol i raggi d’oro?
Ahimè cado, ahimè moro.

ARSAMENE
Sostenetela.

ADELANTA
O dèi, m’intenerisco.

ARSAMENE
Come l’angue del Nilo
si duole, or che m’ha ucciso
Romilda.

ROMILDA
Fermatevi
non mi toccate! Xerse
sovvenirmi dovrà,
quando m’ucciderà.

ARSAMENE
Tanto m’odiate?

ROMILDA
Tanto v’adoro: addio vi lascio.

ARSAMENE
Addio,
vi fuggo.

ROMILDA
Dove andate?

ARSAMENE
Dove vuol fiera sorte.
E voi dove?

ROMILDA
Alla morte.

ARSAMENE
Eh dite al trono
che promesso vi fu.

ROMILDA
Vi lascio, addio, non mi vedrete più.

ARSAMENE
Ne’ mostri della Libia,
nelle fere d’Ircania,
vostre immagini vere,
ben vi potrò vedere.

ADELANTA
Arsamene, Arsamene! Io posso darvi
un’anima costante, un cor fedele;
non mi sente il crudele.
Dammi, amor, la libertà,
che non voglio più languir
per tirannica beltà,
che non ha de’ miei sospir
una stilla di pietà.
Dammi amor la libertà.
Se dai ceppi uscir potrà
questo cor, che preso fu,
ad amar non tornerà,
che la prima servitù
ebbe troppa crudeltà.
Dammi, amor, la libertà.

Scena quinta
Periarco, Eumene.

PERIARCO
Pur conosco Ariston, conosco Amastre.
E pur ambi li vidi,
o vederli mi parve,
se di spettri, o di larve
non mi scherne, o delude ombra apparente,
o mi tradiscon gl’occhi
o d’espresso delirio è rea la mente.

EUMENE
Quel, ch’il re vuole è legge,
e quel, ch’è legge, è giusto.

PERIARCO
Ove, signore,
con quest’alto diadema?

EUMENE
A Romilda, che Xerse oggi destina
della Persia regina.

PERIARCO
Cieli! che sento mai? Xerse dov’è?

EUMENE
Quand’il lasciai, fuor della reggia uscia.

PERIARCO
Deggio parlarli pria.

EUMENE
La figlia del suo re
forse offerir in moglie a Xerse brama.
Ma Xerse più non l’ama,
e s’un tempo l’amò
incostante di fé pensier mutò.
Sete pazze a innamorarvi,
miserelle
donne belle;
tocca all’uomo l’adorarvi,
voi perdete del decoro,
se cercate,
se pregate,
a noi tocca supplicarvi.
Sete pazze a innamorarvi.

Scena sesta
Xerse, Ariodate.

XERSE
Come già v’accennammo
sposo del nostro sangue, a piacer nostro
destiniamo a Romilda.

ARIODATE
Il grado umile
dell’esser mio, vostra bontade eccede.

XERSE
Così da noi richiede
il vostro merto, e ‘l valor vostro; or dite
l’approvate? Assentite?

ARIODATE
Bramo solo ubbidirvi.

XERSE
Udite dunque.
Verrà tra poco nelle vostre stanze
persona eguale a noi: del nostro sangue.
Fate che vostra figlia
per suo sposo l’accetti.

ARIODATE
È poco un core
di tante grazie all’immortal onore,
chi sarà?

XERSE
Lo saprete.

ARIODATE
Del vostro sangue?

XERSE
Sì.

ARIODATE
Conosciuto da me?

XERSE
Quanto ch’è Xerse.

ARIODATE
Simile a voi?

XERSE
Vedrete.

ARIODATE
Eguale a Xerse? Del suo regio sangue?
Conosciuto da me?
Arsamene, Arsamene altri non è.
O me lieto, o me beato!
Quante aduna
la fortuna
liete sorti a un fortunato.

Scena settima
Villaggio delizioso dietro le mura della città, con veduta di bosco.
Eumene, Romilda, Clito.

EUMENE
Di donar i serti, già
la fortuna si stancò,
e ‘l bambin, che nudo va
in suo loco delegò;
ma v’è poca varietà,
che da un cieco all’altro va.
Fu beata quell’età,
ch’a virtù li dispensò:
sorte poi rapiti gl’ha;
oggi amor se li usurpò,
ma v’è poca varietà,
che da un cieco all’altro va.

EUMENE
Ecco la favorita. A voi signora
Xerse invia questo dono.

ROMILDA
A me?

EUMENE
A voi.

ROMILDA
Di Persia la corona?

EUMENE
E questa, e ‘l regno, e ‘l proprio cor vi dona.

ROMILDA
Ahimè! Che deggio far? Prendila Clito.
Dite al mio re, cieli, fortuna, amore,
consigliatemi voi. Ditegli. Oh dio!
Dite.

EUMENE
Che gli dirò?

ROMILDA
Ditegli che: che poi gli parlerò.
Che chiedete da me fasce reali?
Ch’io ribelli mia fede?
Ch’io tradisca Arsamene? Ah v’ingannate
v’adoro, e vi rinunzio,
vi bacio, e vi rifiuto: andate, andate.
Ma che? Vorrò piuttosto,
che sciogliermi dal cor nodi servili
trarmi di capo le corone? E vili,
e sconsigliati son questi pensieri
dir insidie agl’imperi?
Chiamar frode ai diademi?
Che deliro? Son stolta?

CLITO
E finite una volta.

ROMILDA
Candidi invogli, preziosi lini
è viltà non gradirvi,
sprezzarvi è fellonia: su questi crini
per trionfo v’innalzo. E che trionfo?
D’infedeltà? Di tradimento? Clito
scostati, ché non voglio esser regnante,
mi basta esser amante.

CLITO
Ecco se n’ viene il re.

ROMILDA
Pàrtiti.

EUMENE
È ora a fé.

Scena ottava
Xerse, Romilda.

XERSE
Mia regina? Mia sposa?

ROMILDA
Che dite, ahimè! Così non mi chiamate.

XERSE
Perché?

ROMILDA
Perché oscurate
il decoro real.

XERSE
Come?

ROMILDA
Sentite.

XERSE
Che sarà? Tosto dite.

ROMILDA
Arsamene mi amò.

XERSE
Principio infausto!

ROMILDA
Fu modesto, e fedel, forse tra quanti.

XERSE
Bene passate avanti.

ROMILDA
Scoprir appena ardì,
tacito m’adorò, muto servì.
Che maniere! Vedete.

XERSE
Romilda m’uccidete.

ROMILDA
Al fine ardito
m’arrossisco, signor, non lo dirò:
parto, e lo scriverò.

XERSE
No, no seguite,
ch’aspettar non poss’io.

ROMILDA
Non so, se ardir, o se fortuna fu.

XERSE
Ah, ch’io non posso più.

ROMILDA
Le sue labbra accostò.

XERSE
Dove?

ROMILDA
Alle mie, e, e…

XERSE
E vi baciò?

ROMILDA
Appunto.

XERSE
Ah ben m’avveggio,
che per fuggir le nozze mie, mentite.
Ma sia sì, o no, l’aver sue colpe udite
m’obbliga a castigarle. Olà, veloci
Arsamene seguite, e l’uccidete.
Vedova di quel bacio,
sposa poi mi sarete.

ROMILDA
Fermate, oh dio! Mio re, mio sposo, sia
ciò che volete, bene;
ma non mora Arsamene. Ah parlo invano
al fugace inumano.
Che barbara pietà!
Per dar vita ad altrui darli la morte!
O mia perfida sorte!
Che m’insegnasti mai cielo inclemente?
Dar colpa a un’innocente
di falsa reità,
che barbara pietà!
Che misero destin!
Per mantenermi alla mia vita in dono
omicida gli sono.
Sicaria fedeltade, amor spietato!
affetto scellerato!
pietosa crudeltà,
che barbara pietà!

Scena nona
Amastre, Romilda, Clito.

AMASTRE
Questo foglio all’iniquo invierò,
e se poi mi disprezza a morte andrò.

ROMILDA
(Romilda, il ciel questo guerriero invia.)
Se cortese, se pia
nutrite alma nel sen, guerrier gentile,
le mie preghiere udite.

AMASTRE
A me dovete
porger leggi, e non preghi: ho ben memoria,
c’oggi toglieste il mio infelice piè
dai ceppi di quell’empio,
ingratissimo re.

ROMILDA
Ingratissimo, appunto, Egli comanda
ch’Arsamene s’uccida; oh dio vi prego,
cercatelo, avvisatelo: d’alcuno
di corte non m’affido.

AMASTRE
Al re crudele
fate recar questo mio foglio, e io
nulla a servirvi tarderò.

ROMILDA
Tu Clito
a Xerse lo darai.

CLITO
V’ubbidirò.

ROMILDA
Ite dunque cortese.

AMASTRE
Io vado.

ROMILDA
Il core
con la speme lusinga il rio timore.

Scena decima
Clito, Elviro.

CLITO
Lasciami andar a Xerse.

ELVIRO
Eh vieni un poco,
vedi quanti monili, e quante d’oro
preziosissime masse.

CLITO
Il re, di tutto
gli fece inutil dono.

ELVIRO
Cieli, perché ancor io
un platano non sono?
Quanti son, ch’adesso dicono
tra sé stessi dentro ‘l cor,
oh s’io trovassi un arbore,
che facesse frutta d’or;
pur farei,
pur direi,
e ‘l pensier s’aggira, e varia,
quanti fan castelli in aria.
Quell’amante alla bellissima
vaga sua lo vorria dar;
quel, ch’inclina all’arte chimica
lo farebbe in fumo andar;
quanti strani
sensi umani
il pensier aggira, e varia,
quanti fan castelli in aria.

CLITO
Senti Elviro: vogliamo
coglier di quella frutta?

ELVIRO
A fé possiamo:
pria, che ci sturbi alcun, facciasi presto.
Vedesti?

CLITO
Che?

ELVIRO
Due mori.

CLITO
Io nulla vidi.

ELVIRO
No? M’eran parsi invero:
io son pur timoroso.

CLITO
Ahimè, ahimè.

ELVIRO
E che cos’hai?

CLITO
Mi parve
di vedere i due mori.
Me li hai posti in pensiero.

ELVIRO
Ahimè.

CLITO
Ahimè.

ELVIRO
Uh son diavoli a fé.

CLITO
Oh me infelice, e dove mi guidate?

ELVIRO
Uh, uh non mi toccate.
Via, che mi tingerete.

CLITO
Aiuto, aiuto!
Che mi portate a Pluto?

Scena undicesima
Stanze reali del palazzo d’Ariodate.
Amastre, Arsamene.

AMASTRE
Va’ speranza, vanne, va’;
non mi dir
che soffrir io debba più;
chi ribelle un giorno fu,
più fedel non diverrà
va’ speranza, vanne, va’.
No, mio cor, non creder più,
s’il crudel,
infedel m’abbandonò,
a quel nodo, che spezzò
prigionier più non verrà.
Ma qui giunge Arsamene.

AMASTRE
Signor, contro di voi brandi omicidi
suscita Xerse, e insidia i vostri passi,
comandata la morte; or voi fuggite,
non tentate la sorte;
ve ne avvisa Romilda.

ARSAMENE
Romilda? Quell’ingrata?

AMASTRE
Altro non so.

ARSAMENE
E di me pensa ancora,
Romilda, che m’inganna?

Scena dodicesima
Romilda, Arsamene.

ROMILDA
Romilda, che v’adora
di voi pensa ad ogn’ora.

ARSAMENE
Pensa, ma di tradirmi.

ROMILDA
D’amarvi.

ARSAMENE
Di schernirmi.

ROMILDA
Di salvarvi dall’ire.

ARSAMENE
Di Xerse è ver, so che così direte?
Per spronarmi a partire?

ROMILDA
E non credete.

ARSAMENE
Voglio,
voglio a vostro dispetto, allor, che a Xerse
giungerete la destra ivi trovarmi,
uccidermi, svenarmi.

ROMILDA
Oh dio! Xerse; sentite.

ARSAMENE
So, che sempre mentite,
m’avrete ogn’or squallido spettro intorno.
Individuo, sanguigno, e nudo teschio,
vi scuoterò da’ sonni, ombra insepolta;
con flagel di Ceraste
all’ombre della notte, ai rai del giorno
m’avrete ogn’or squallido spettro intorno.

ROMILDA
Deh m’ascoltate.

ARSAMENE
Tacete.

ROMILDA
Ahi che martiro!
Giunge il mio genitor; vado a morire.

Scena tredicesima
Ariodate, Romilda, Arsamene.

ARSAMENE
Ecco lo sposo. A fé m’apposi al vero.
Romilda non partite.

ROMILDA
E che sarà?

ARIODATE
A colmarmi di grazie,
signor, so che venite; ad alta sfera
così di sollevar piccioli augelli
usa l’aquila altera.

ARSAMENE
Or che mi dite?

ARIODATE
Che vi do Romilda
per serva, umile, e sposa, come m’impose il re.

ARSAMENE
Il re.

ARIODATE
S’io ben l’intesi.

ROMILDA
Oh ciel ch’ascolto?

ARIODATE
Non sete voi, cui piace
d’accettarla in consorte?

ARSAMENE
Altra non amo.

ARIODATE
E perciò qui veniste?

ARSAMENE
Altro non bramo.

ARIODATE
Dunque non erro.

ROMILDA
(Attenta ascolto, e appena
a ciò che sento i’ credo.)

ARIODATE
Romilda acconsentite?

ROMILDA
Altro non chiedo.

ARIODATE
Sete pur voi, signore,
che Romilda bramate?

ARSAMENE
Ella è ‘l mio core.

ARIODATE
Stringete omai le destre: e a vostre gioie
Atropo sia, che fili
in lungo stame d’or giorni senili.

ARSAMENE
O diletti improvvisi.

ROMILDA
O gioie insperate!

ARIODATE
O cieli amici!

ROMILDA, ARSAMENE E ARIODATE
O fortune beate! O noi felici!

ARIODATE
Restate: i’ vado a render grazie a Xerse,
ch’il mio destin di regia luce asperse.

ARSAMENE
Stupido resto, che le nostre nozze
Xerse comandi.

ROMILDA
E che deposte l’ire,
lasciarmi sì contenti.

ARSAMENE
La ragion l’avrà mosso.

ROMILDA
L’avran mosso i miei pianti.

ARIODATE
E i miei tormenti.

ARSAMENE
Ch’io vada a ringraziarlo ei si conviene.

ARSAMENE
Parto mio cor, mio bene.

ROMILDA
Anch’io verrò tra poco,
mia speranza, mio foco.

ARSAMENE
Resta…

ROMILDA
Viene…

ROMILDA E ARSAMENE
Il cor.

ARSAMENE
Parte…

ROMILDA
Resta…

ROMILDA E ARSAMENE
Il piè.
Sol in te vivo son io.

ARSAMENE
Resta, o vita.

ROMILDA
Va’ cor mio.

Scena quattordicesima
Aristone.
Colà sul lito, ove m’impose Amastre
finora attesi invano,
che sarà mai? Quai pene
oggi provar mi tocca!
Quanti, gelida tema,
strali di ghiaccio al dubbio cor mi scocca?
La donna caduta
in lacci d’amore
di senno è perduta,
se priva di core,
e perché spesso amor pazzia diviene,
amor per i suoi pazzi ha le catene.
Né legge, né freno
ha femmina amante;
ma chiude nel seno
un cor delirante,
e perché son pazzie d’amar le pene
amor per i suoi pazzi ha le catene.

Scena quindicesima
Periarco, Xerse.

PERIARCO
Dunque fate rifiuto
delle nozze d’Amastre? E non vi cale
d’un diadema reale?

XERSE
Non è rifiuto, è sorte,
che lo divieta.

PERIARCO
Inclina,
ma non sforza il destino.

XERSE
Sforza il nume bambino;
riportate ad Ottane
ch’a noi sposa è Romilda, e che non siamo
in grazia alla fortuna
quant’ei mostra pensarsi; avremo sempre
di sue cortesi offerte
memorie al cor immobilmente inserte.

PERIARCO
Ed è fermo così?

XERSE
Non può mutarsi
ciò, ch’il fato ordinò.

PERIARCO
Parto, e riferirò.

Scena sedicesima
Xerse, Ariodate.

XERSE
Se n’ viene Ariodate; è tempo ormai
di scoprir, che son io,
che Romilda desio.
Eccomi Ariodate.

ARIODATE
Invitto sire
v’inchino riverente.

XERSE
Or che vi sembra?
Lo sposo è qual vi dissi?

ARIODATE
Il mio desire
giammai tanto fallì.

XERSE
Sete contento?

ARIODATE
Son beato.

XERSE
Romilda
ne sarà soddisfatta?

ARIODATE
Anzi felice.

XERSE
Ma perché omai non viene?

ARIODATE
Or, or verrà.

XERSE
Dov’è?

ARIODATE
Con Arsamene.

XERSE
Che?

ARIODATE
Con lo sposo.

XERSE
Come?

ARIODATE
Con lo sposo, signor.

XERSE
Che sposo? Ahimè!

ARIODATE
Come imponeste.

XERSE
Io? Che v’imposi? Che?

ARIODATE
Eguale a voi, del vostro sangue, e venne
in queste stanze.

XERSE
E tanto ardì!

ARIODATE
Credei…

XERSE
Non più v’intendo; e del divieto mio
nulla curò?

ARIODATE
Signore.

XERSE
E sono sposi?

ARIODATE
Sono.

XERSE
Ah traditore!
Empio, perfido, indegno
di quell’aure, che spiri,
di quel cielo, che miri.

ARIODATE
Mio re!

XERSE
Che re? se m’hai tradito,
che re? se m’hai schernito.

ARIODATE
Uccidetemi.

XERSE
Il ferro
avvilirei. Romilda, tu, Arsamene
tutti morrete; e perché resti insieme
sazia del mio destin la ferita
anco Xerse morrà.

Scena diciassettesima
Clito, Xerse, Ariodate.

ARIODATE
Ecco il misero Clito,
rifiuto degli spirti, e dell’inferno
avanzo non gradito.

XERSE
Ecco dell’empia
il paggio; che riporti?

CLITO
Questo foglio signor.

XERSE
A me l’invia?

CLITO
A voi.

XERSE
Che pensi, o ria
con magiche figure, e inchiostri indegni
incantar i miei sdegni? Al re di Persia
che re? Re sono, e mi dileggi?
Leggi barbaro, leggi.

ARIODATE
Oh dèi, perché non moro!
(leggendo)
«Ingratissimo amante.»

XERSE
Ingrato anco mi chiama?

ARIODATE
«Venni per esser vostra.»

XERSE
E altrui si sposa?

ARIODATE
«Trovai, che mi sprezzate.»

XERSE
E di beffarmi
anco ardisce? ancor osa?

ARIODATE
(O note scellerate!) «Parto.»

XERSE
Ti seguirò sin ch’io ti sveni.

CLITO
Egli è sdegnato; io vo’ partir a fé.

ARIODATE
«Punirà giusto ciel le vostre colpe.»

XERSE
Colpe d’averti amato.

ARIODATE
«Io piangerò, sin che l’estremo fiato
spiri infelice. Amastre.»

XERSE
Che?

ARIODATE
Non scrive Romilda;
sire, che grave duol, non m’avvisai
del carattere ignoto.

XERSE
Porgimi il foglio; indegno.
«Amastre». Scrive Amastre?
Non restava altro tedio in tanto sdegno.

Scena diciottesima
Reggia d’Abido.
Adelanta.
Arsamene è già sposo, amor va’ in pace,
non scherzerò più mai con la tua face.
Più rigido,
che scoglio asprissimo,
che gel durissimo
sarà il mio cor.
Né frangere
mia crudeltà
pregar, o piangere
giammai potrà.
Più fulgidi
ch’il sol fiammeggiano
e più lampeggiano
rai di beltà.
Risplendere
potranno a fé,
ma non accendere
fiamma per me.

Scena diciannovesima
Xerse, Arsamene, Eumene.

XERSE
Lasciatemi morir stelle, spietate,
che ‘l mantenermi in vita è crudeltà.
Anima disperata,
rifiuto d’un’ingrata,
privo d’ogni speranza, e di pietà
al pianto moverò l’alme dannate,
lasciatemi morir stelle, spietate,
che ‘l mantenermi in vita è crudeltà.
Di vilipeso re pompe sprezzate,
scettro e benda real non curo più;
s’a comprarmi un affetto,
o mio scettro negletto,
bastevole non sei, ben vil sei tu.
Sì da poco non son l’ombre gelate,
lasciatemi morir stelle, spietate,
che ‘l mantenermi in vita è crudeltà.

ARSAMENE
Signor, grazie bastanti
non ha il mio cor.

XERSE
Inanti
osi ancora venirmi?

ARSAMENE
(famigliarmente)
Umile e ringraziarvi.

XERSE
Empio a schernirmi.

ARSAMENE
Come, signor?

XERSE
Romilda pur m’hai tolta.

ARSAMENE
L’ebbi da Ariodate, ei pur mi disse,
ch’era vostro comando.

XERSE
Empi pretesti
ei ti diè ‘l ferro in man, tu m’uccidesti.
Prendi, va’; quest’acciaro
nel seno all’empia immergi
poscia del sangue reo tinto me ‘l rendi;
prendi, barbaro, prendi.

ARSAMENE
Ch’io sveni colei,
ch’in vita mi tiene
pensieri sì rei il cor
non sostiene,
col solo riflesso
a detti sì enormi
pensieri m’offendi.

XERSE
Prendi, barbaro, prendi.

ARSAMENE
Il cor, ch’è già fatto
dell’idolo mio
un vivo ritratto
svenar ben poss’io.
Or dammi quel ferro,
e quanto il tuo sdegno
sia perfido attendi.

XERSE
Prendi, barbaro prendi.

Scena ventesima
Amastre, Xerse, Arsamene, Aristone, Periarco, Romilda, Ariodate, Adelanta.

AMASTRE
Datelo a me, signore!

XERSE
E chi sei tu
c’oggi sempre mi sturbi?

AMASTRE
Uno che giunge
a vendetta opportuna.

ARSAMENE
O strano evento!

AMASTRE
Volete, che si sveni
un’alma che tradì,
chi pur l’adora?

XERSE
Sì.

AMASTRE
Che si laceri un cor d’alpina selce,
che chi l’amo schernì?
Così volete?

XERSE
Sì.

AMASTRE
Te dunque, indegno
mostro di tradimenti, e d’empietà
Amastre ucciderà.

ARSAMENE
O strana sorte!

XERSE
Io resto muto.

ARISTONE
O cieli,
che veggio? Che fai qui?
Signor costui vaneggia, ed è ben spesso
da deliri assalito.

PERIARCO
Eccoli a fé, son dessi.

AMASTRE
No, no Aristone, ch’oggi mai finito
è ‘l tempo di mentire.

PERIARCO
Io già non delirai.

XERSE
Uccidetemi sì; che s’ho perduta
Romilda la mia vita,
ben è ragion, che sia
questo del viver mio l’ultimo dì.
Uccidetemi; sì.

AMASTRE
Romilda è la tua vita?
Con la figlia d’Ottane
ch’allettasti al tuo amor? Che per seguirti
veste indecenti a sé spoglie virili,
empio, parli così.

XERSE
Uccidetemi sì.

AMASTRE
No, no: morir degg’io. Tu vivi iniquo.
E per eccesso d’empietà inumana,
se calpestasti la mia viva fede,
con barbarie sacrilega, e infesta
il cadavere mio premi, e calpesta.

XERSE
Ahi qual mi serpe in sen pietoso affetto!

AMASTRE
Così ‘l fato richiede,
che tu viva, ch’io mora,
tu di perfidia esempio, e io di fede.

XERSE
Fermate, ahimè, pentito son, v’adoro:
se v’uccidete, i’ moro.

AMASTRE
Ritornate ad amarmi?

XERSE
Torno, ma so ch’indegno,
bella, son di perdono, e di pietade
Amastre, vita, cor, idolo mio
ecco il seno, piagate.

ARSAMENE
Io respiro.

PERIARCO
Io stupisco.

ARISTONE
Io mi consolo.

AMASTRE
Vada pur lungi, vada irato ferro,
or, che s’apre in quel core
per me piaga d’amore.

XERSE
O mia bella pietosa
vi sarò servo umile.

AMASTRE
Io fida sposa.

XERSE
Voi ciò, ch’ora vedete
ad Ottane direte.

PERIARCO
Mi prostro a’ vostri piedi,
nel conoscervi già non feci errore.

ARISTONE
Di finger c’insegnò zelo d’onore.

XERSE
Arsamene, Romilda, Ariodate,
Amastre è questa, mio rinato foco,
mia sposa, mia regina.

ARSAMENE, ROMILDA, ARIODATE
Umile il cor l’adora, e ‘l piè l’inchina.

XERSE
Compatite i miei sdegni e i miei furori,
e godete felici i vostri amori.

ADELANTA
Io, che sorte non ho
celibe viverò.

ROMILDA, AMASTRE, ARSAMENE E XERSE
Amante di me
più lieto non è
non fu, non sarà.
Delizie più care,
più dolci contenti,
o gioie più rare
tra gl’astri lucenti
non sono colà.
Amante di me
più lieto non è
non fu, non sarà.
Fine del libretto.