Zaira

Tragedia lirica in due atti

Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Prima esecuzione: 16 maggio 1829, Parma, Nuovo teatro Ducale.

Personaggi

OROSMANE sultano di Gerusalemme basso
CORASMINO visir tenore
ZAIRA schiava del sultano soprano
FATIMA schiava del sultano soprano
MELEDOR ufficiale del sultano baritono
LUSIGNANO principe francese del sangue degli antichi re di Gerusalemme basso
NERESTANO cavaliere francese mezzosoprano
CASTIGLIONE cavaliere francese tenore

Cori e Comparse: Ufficiali del sultano, Guardie, Schiavi e Schiave, Odalische, Cavalieri francesi.

La scena è in Gerusalemme nell’harem del Sultano.

Libretto – Zaira

Proemio dell’autore
Una giovane schiava, cresciuta in un serraglio, che, amante del sultano e da lui riamata, nel giorno istesso delle sue nozze ritrova il padre e il fratello, eroi cristiani, i quali la richiamano ad una fede che tai nozze le vieta; un’anima ardente, combattuta fra la religione e l’amore, vicina a cadere alla più possente delle passioni che nacque per così dire con essa, e sgomentata dall’impero di una legge che da un sol giorno conosce; gli spasimi infine e le dubbiezze di un cuore straziato che inorridisce di amare, e di amare non cessa: soggetto egli è questo sommamente tragico, ed atto al pari d’ogni altro a commuovere e intenerire gli spettatori d’ogni tempo e d’ogni nazione. – Ma corre presso che un secolo dacché i teatri ripetono i sospiri di questa giovane infelicissima; e il pubblico non sarà egli noiato della sua compassione medesima? E dove a me riesca di far dimenticare nel mio lavoro il difetto di novità; potrò io sostenermi a confronto del Voltaire, al quale era dato un libero campo dove spaziare a sua voglia, io che inceppato mi trovo da tutte le parti, principalmente dalla barbara legge di un’estrema brevità? Potrò io mutare tutto ciò che mi cade in acconcio in un genere dì componimento tanto diverso dalla tragedia, senza aver taccia d’ardito per aver raffazzonato a mio comodo un soggetto sì conosciuto e sì celebre? Potrò io adoperare, come vuolsi, tutti gli attori che mi sono assegnati, ed aggiungere alcuna cosa del mio, che non nuoccia alla semplicità dell’azione, ed al lume in cui vanno posti i principali personaggi? Queste e mille altre difficoltà ch’io non dico, mi faceano restio dal trattare così scabro argomento. Ma come avviene in tutte le opinioni, specialmente nelle letterarie, vi fu chi sostenne che, nelle opere per musica invece di nuocere, giova moltissimo che il soggetto sia noto; che ognuno conosce abbastanza gl’intoppi che si presentano ad un poeta melodrammatico, per negarmi lode se alcuno ne avessi saputo sormontare; che omai le convenienze delle parti dovevano cedere alla ragione della poesia… D’altronde il tempo premeva… e la mia renitenza fu vinta.
Ecco pertanto la Zaira, non già ravvolta nell’ampio manto che la tragedia le diede, ma ristretta nelle anguste spoglie che le dà il melodramma. Coloro che ad ogni costo (e ne conosco più d’uno) condannarono il mio lavoro anche prima di leggerlo, ne ingrosseranno ogni menda, e ne scemeranno il benché menomo pregio; ma i lettori cortesi (che molti pur ne conosco) diranno aver io conservati i caratteri, e sparso dov’io potea quella tinta orientale che loro manca nella tragedia: diranno ch’io feci bene a lasciare da parte un tal quale ostentamento di filosofia ch’era in voga ai tempi, del Voltaire per attenermi al linguaggio della passione: riconosceranno che il personaggio di Corasmino, il quale mi conveniva ingrandire, non iscapita punto per essere cambiato, di un freddo confidente ch’egli era, in un severo musulmano; e che devoto, qual è, alle leggi e alle usanze dell’harem, serve, per così dire, di contrapposto al sultano che le pone tutte in oblio. So bene che lo stile voleva essere più curato, e che qua e là andavano tolte alcune ripetizioni di frasi e di concetti; ma la poesia fu scritta a brani mentre si faceva la musica, di maniera che più permesso non era di riandar sul già fatto: e poesia e musica furono compiute in meno di un mese. So pure che a chi si scusa col tempo, l’Alceste dì Molière è pronto a gridare che le temps ne fait rien a l’affaire; nulladimeno è da osservarsi che l’Alceste di Molière è un misantropo.
Qualunque sia il giudizio del pubblico intorno a questo mio lavoro, andrò sempre superbo che siasi adoperato in così solenne circostanza; e il pensare alla fiducia che nel mio scarso ingegno fu posta, addolcirà qualunque amarezza io abbia potuto e potessi ancora provare.

Felice Romani

Atto primo

Scena prima
Coro di Donne e Uomini.
Magnifica galleria che mette all’harem del Sultano: di fronte ampia gradinata che conduce a lunghe logge praticabili, adorne di vasi di fiori e di profumi. Altre gradinate dalle parti comunicano con le logge e con gli appartamenti superiori.

[N. 1 – Introduzione e coro]

È festa nell’harem, e si celebrano le vicine nozze del Sultano con Zaira. Escono da vari lati gli Schiavi e le Schiave: al suono di orientali strumenti le Odalische intrecciano danze: gli Eunuchi ardono profumi: tutti cantano il seguente inno:

DONNE
Gemma, splendor di Solima,
bella, gentil Zaira,
qual cor più schivo e indomito
ti vede e non sospira?

UOMINI
Sembiante a vergin Uri,
premio dei dì futuri,
fede tu fai del giubilo
a noi promesso in ciel.

DONNE
Ma chi sarà fra gli uomini
diletto al ciel cotanto,
ch’ei sol riporti, o vergine,
di possederti il vanto?

UOMINI
Egli è il sultan possente,
è l’astro d’oriente,
delle battaglie il folgore,
terror dell’infedel.

TUTTI
A che pudica e timida
stai nel tuo velo ascosa?
Non può sottrarsi al zefiro
la vereconda rosa:
invan celar si sforza
nella sua dura scorza
conca del golfo persico
le perle al pescator.
L’eroe ti vede, e fervido
di te desio l’accende;
già nell’harém recondito
letto d’onor t’attende.
O de’ credenti speme,
ambo splendete insieme;
sia desso il sol di gloria,
l’astro sii tu d’amor.
(ascendono le gradinate ed entrano nell’harem)

Scena seconda
Corasmino con séguito di Ufficiali musulmani.

CORO
Odi tu? Già suona intorno
lieto canto nuzïale.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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